18 spesso spaventosamente arretrata rispetto alla storia dell'umanità nel suo complesso. La mia prima esperienza politica di rilievo risale all'inverno del 1962, quando partecipai a un'assemblea del l'Intesa universitaria milanese nel teatrino di un oratorio di via del Carmine. Si discuteva dell'autonomia dei laici nell'azione politica, Maritain veniva considerato un eretico, e la maggioranza (organizzata dall'associazione integralista di Gioventù studentesca) metteva sotto accusa gli intesini che, all'Interfacoltà, avevano osato solidarizzare con l'editore dei Canti della resistenza spagnola, sequestrati in seguito a una stroncatura dell'Osservatore romano. Il coup de théiitre, in quell'assemblea, fu l'intervento di un prete ex partigiano, assistente della FUCI, contro gli integralisti: ma grazie ad interventi di quel genere - e a un telegramma inviato al cardinal Montini per salvare la vita dell'anarchico spagnolo Conill - quel prete venne confinato in una casa alpina, all'Alpe di Motta, e li credo che stia ancora. L'insipienza di certi • laici • nell'affrontare la questione dei cattolici ci testimonia della sconoscenza che c'è del problema: dei cattolici si riconosce, si subisce, e spesso si accetta il predominio; ma non se ne approfondisce mai la problematica propria. Succede cosi che quello cattolico resta un mondo a sé, la cui subcultura raramente viene scalfita da interventi esterni, succede - quel che è peggio - che il predominio cattolico viene accettato come quello di una razza diversa, ma tutto sommato sconosciuta, verso la quale si può soltanto dialogare con gli specchietti - come i conquistadores coi selvaggi d'America - o procedere allo sterminio. Per questo penso che sia utile questa cronaca: che non è ancora una storia della sinistra cattolica negli ultimi dieci anni. Sono appunti, sui quali lavorare per una ricerca piu sintetica: penso che servano. Uno scaricabarile fra sconfitti Presentarsi al le elezioni senza alibi tipo • presenza dimostrativa • e prendere 120.000 voti, pari allo 0.4% del corpo elettorale, è evidentemente sgradevole per più motivi: non ultimo quello di dover subire le più varie ricostruzioni dei motivi del proprio insuccesso. Non parlo degli sberleffi democristiani, e tanto meno delle soddisfazioni di Pirro di quelle sinistre DC le quali, dopo aver svolto fino in fondo il loro compito di copertura nei confronti della centralità forlaniana, recuperando voti a sinistra per il partito, ne sono state ripagate col governo Andreotti e con la svolta a destra nella Cisl. Parlo dei commenti da sinistra, pochi dei quali mostrano di aver compreso fino in fondo motivi da un insuccesso che - pur essendo innanzitutto nostro - ha comunque coinvolto complessivamente la credibilità di un'alternativa all'egemonia democristiana sul sistema politico. Ne scelgo due, emblematici del desiderio di allontanare da sé ogni riflessione autocritica, e di scaricare su chi visibilmente è stato sconfitto ogni responsabilità negativa E' il caso di Massimo Teodori, che su Tempi moderni spiega perché MPL e Manifesto hanno fallito, affermando che • sicuramente esiste una fetta sociale, culturale e politica costituita dall'uomo comune, poco politicizzato, non appartenente ai gruppi militanti di avanguardia ed estraniato dalla politica istituzionale come è fatta da tutti i partiti •. Secondo Teodori • le rivolte nelle università, nelle fabbriche, i nuovi gruppi di base nei quartieri, i fermenti e le tensioni di questi ultimi anni hanno visto protagonisti proprio questa massa abbastanza vasta anche se difficilmente organizzabile nei periodi di "prosa" che seguono quelli caldi •, e fin qui siamo più o meno d'accordo. Ma quando si tratta di spiegare perché, il 7 maggio del 1972 e non del 1968, MPL e Manifesto hanno fallito, Teodori se la cava affermando che • questa massa è rimasta estranea, non ha capito l'interpretazione che le nuove formazioni ideologizzanti hanno voluto dare dei movimenti reali, cosi come negli anni scorsi non sono state interpretate dalle cosiddette "avanguardie" che cercavano di nutrirsi ed esaurire i grandi movimenti collettivi spontanei di natura libertaria •. Il dubbio che • questa massa • - al di là degli errori di impostazione che senz'altro Manifesto e MPL hanno commesso - non sia più quella del '68, il dubbio che il • movimento reale• sia oggi un ricordo, il dubbio che in quattro anni qualcosa sia cambiato rispetto alla combattività delle masse popolari, non sembra sfiorare Teodori, il quale anzi se ne libera affermando apoditticamente: • L'alternativa di fronte alle elezioni non poteva che essere da una parte il tentativo di interpretare i movimenti reali attraverso
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