Leonardo Sciascia inverno 1964 La mia esperienza di scrittorein provincia 1. Tu pensi che si possa parlare oggi di una • morte della provincia • nella accezione delineata da Massimo Ferretti (In un articolo sul Giorno)? O che si debba piuttosto parlare di • neopro• vincia • e di • neoprovinclalismo •, cioè di mumentl effettivamente avvenuti ma che riguardano solo certe zone della provincia e, comunque, nei loro aspetti esteriori e di costume? La provincia è morta perché tutto il mondo. oggi, è provincia. Provincia dico, nel senso deteriore. Non c'è niente di più decisamente provinciale, per esempio, degli avanguardismi che si svolgono oggi a livello delle capitali culturali e che nella provincia geografica trovano immediate rifrazioni: velleità ed escogitazioni in cui si raccoglie, in definitiva, la cattiva coscienza di un paese (espressione che giustamente Ferretti usa nei riguardi della provincia di ieri). La provincia. quella che fino a quindici anni fa (all'incirca) era area di ritardo e confusione culturale (ma che pure, nonostante i I ritardo e dentro la confusione. obbediva a un compito, per così dire. • preparatorio •I oggi non esiste più: e non occorre enumerare quegli strumenti che l'hanno portata al livello dei • centri • e che, piuttosto, hanno portato i • centri • al livello della provincia. Perché si va tutti a scuola, ormai: ma non è poi un gran guadagno se la scuola subisce un evidente processo di degradazio• ne. E se vent'anni fa la provincia consumava ancora D'Annunzio mentre i • centri • già consumavano Proust, e Invece tre anni fa Musil è stato uniformemente consumato da Torino a Pechino, non c'è gran che da esultare: ché dopo tutto D'Annunzio lo si consumava leggendolo e Musll semplicemente acquistandolo. Ed è senza dubbio un fatto positivo che la provincia abbia perduto, nel livellamento, quei caratteri dannunziani che le erano propri (anche prima di D'Annunzio); ma bisogna considerare che ha perduto anche quei caratteri • umanistici • che pure resistevano sotto il ciarpame dannunziano e che erano poi viatico ai migliori che se ne svincolavano. La scomparsa degli eruditi locali, che non raramente arrivavano a dignità di storici. io ritengo significhi perdita per la cultura nazionale. Un giovane si sentirebbe sminuito, oggi, a dedicarsi a un'onesta ricerca sulla storia del paese natale: vuol • meditare • sulla storia, occuparsi delle teorie storiche di Toynbee e di Ortega. Il che è propriamente provinciale. Ma ciò non accade soltanto nella provincia geografica. 2. Una volta - rispondendo all'Inchiesta promossa da 11Paradosso sulla • generazione degli anni perduti• - ti dichiarasti • profondamente sic/I/ano•• profondamente radicato cioè nella provincia. In che senso tale tua condizione si riflette e determina le tue scelte letterarie (di tema. di linguaggio, ecc.)? Hai mal provato ad emigrare e, in caso affermativo, quale lmpres• slone ne hai ricevuto? La mia scelta a vivere in provincia realizza in effetti quel proverbio che dice • meglio soli che male accompagnati •. Poiché tutto il mondo è provincia, preferisco vivere nella mia: ché almeno mi consente di star solo invece che male accompagnato. E questa mia scelta si è confermata in una breve esperienza di emigrazione: a Roma, come quasi tutti oggi; e sono tornato senza alcun rimpianto; come ad una riguadagnata libertà, anzi. Questo per quanto riguarda il mio rapporto con la società letteraria, culturale. C'è poi, nel mio stare in provincia, una piu profonda ragione. Noi siciliani siamo condannati (la parola è di Gaetano Trombatore) a scrivere della Sicilia (ma per la verità, dentro questa condanna, lo mi sento molto libero): e io ne ho avuto coscienza da sempre. Perché dunque sradicarsene, col rischio di farne memoria e nostalgia, favola e mito? Senza dire che. in senso piu generale, è assolutamente ragionevole che lo scrittore risieda nei luoghi umani che meglio conosce, che dia testimonianza di una realtà di cui, per vincoli di sentimento di linguaggio di consuetudini, non gli sfugge nessun movimento nessuna piega nessuna sfumatura.
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