Luciano Amodio autunno 1966 Marxismo e filosofta in Korsch Della carriera politica di Korsch ho solo i pochi elementi a disposizione di tutti e già illustrati adeguatamente nella nota storica di Giorgio Backhaus (che accompagna la traduzione italiana) e nell'articolo di Paul Mattick su Survey n. 53 (The Marxism of Karl Korsch). Perciò penso di evitare il problema Korsch, il problema della sua evoluzione sia politica che teorica, sebbene, se qualcosa è da dire a questo proposito, questo sarebbe che i testi ivi tradotti tanto teoricamente quanto psicologicamente preannunciano un inevitabile distacco da un interesse politico attivo e anche dallo spirito del marxismo rivoluzionario. Aggiungo che quanto precede è da parte mia solo una constatazione di fatto, non un giudizio politico né tanto meno morale. Vogjio solo dire che affrontare nel 1923 i problemi sia pure filosofici del marxismo - essendo per di piu fortemente legati al movimento comunista tedesco fino a diventare l'anno stesso il rappresentante come ministro della giustizia nel governo di coalizione socialcomunista della Tunisia; e l'anno dopo redattore di un organo di stampa del peso di Die internationale, nonché membro comunista al Reichstag - proprio per tutto questo complesso di legami pratici e politici affrontati con una tale astrattezza (molto maggiore indubbiamente che In un puro intellettuale qual era ed è sempre stato Lukacs). con tale genericità e infine con tale gusto prima di tutto di aver ragione, denota, prima di ogni altra cosa, al di là della qualità e della natura del pensiero, un temperamento assolutamente antidialettico. Naturalmente questo giudizio può essere viziato da ignoranza dell'attività politica e pratica, della letteratura politica di Korsch nello stesso periodo. Ma devo anche aggiungere che tale giudizio si accompagna e non credo si contraddica con un'approvazione quasi incondizionata almeno delle formule filosofiche in quanto formule di Korsch nel suo saggio centrale (che mi sembra differire per alcune importanti sfumature dai tre saggi di appendice nonché ovviamente dalla tarda anticritica del 1930). Giustamente Spinella nella sua introduzione al testo accenna al fatto che molte delle posizioni del Korsch sono oggi scontate. Ora che queste posizioni di Korsch appaiono scontate, per quanto giuste esse siano, probabilmente da punti di vista anche diversi. conferma che queste posizioni hanno in sé qualche cosa di ben generico non casualmente, come semplice parte di tutto un discorso culturale, ma intrinsecamente, perché in esse tende in realtà ad esaurirsi il discorso culturale stesso. E' inevitabile a questo punto un confronto con il comportamento di Lukacs di fronte agli attacchi mossigli dal Comintern. Egli non ha certamente avuto e non avrebbe mai avuto le penose cadute di tono e di pensiero nel passare dalle enunciazioni generali alle applicazioni concrete, cadute che caratterizzano Korsch in questo stesso testo - forse proprio perché Lukacs è un filosofo autentico, mentre dall'altra parte siamo di fronte ad un intellettuale che si occupa di filosofia, ne coglie anche profondamente certi principi, ma è poi totalmente incapace di applicarli al caso concreto, di uscire dalle formule sia pur giuste, di applicare nella realtà e nel dialogo a cui inevitabilmente è spinto, quell'unità di forma e contenuto che egli stesso proclama come fondamento della dialettica. Naturalmente tutto questo avviene perché le formule, i principi dialetticamente sono ambigui, presentano parecchie facce, e in Korsch per esprimerci in termini hegeliani esse sono verità come sostanza, non come soggetto, sono appunto dei principi, non dei risultati. Cosi Korsch ha ben ragione quando ad un certo punto osserva che Marx non ha dialettica (e questo forse anche perché la logica hegeliana gli poteva essere sufficiente), l'ha solo applicata nel Capitale e In tutta la sua opera: non per sdegno astratto dell'astrazione e amore sviscerato e cieco per la prassi, ma appunto perché il metodo
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