giovane critica - n. 31/32 - autunno 1972

cambiare) i nostri vizi antichi, le nostre vecchie pelli che puzzano di naftalina e di polvere invernale; una sorta di spregiudicatezza moderna, di maggiore felicità nella forza che ci aiuta a vivere e nelle idee che si complicano per la felicità della crescenza, deve offrirci i primi strumenti per superare gli scompensi che in ogni modo accompagnano il • serio lavoro • (Lenin), e il fastidio che la burocrazia partitica produce e l'orrore che scelte politiche condizionate da contingenze sbagliate propongono. Ma nonostante tutto, questo è il campo del nostro operare, se la scelta è assunta con coscienza e si pone sulla base di una corretta assimilazione di idee. Il mondo non è che riposi. Problemi enormi si pongono quotidianamente di fronte agli uomini consapevoli; bisogna risolverli, o intanto cominciare almeno e proporsi di farlo, se vogliamo vivere e se, vivendo, dobbiamo procurare un progresso nell'ordine della chiarezza intellettuale e morale a ciascuno di noi; se dobbiamo ogni giorno raccogliere le forze, pur nella lotta senza tregua, per organizzare la nostra coscienza. • Il Partito non può passare dal mondo della lotta delle masse lavoratrici e della loro organizzazione contro gli sfruttatori, al mondo delle frasi dolciastre, delle declamazioni leccate e assolutamente vuote, delle reiterate promesse, fondate come per il passato sulla politica di conciliazione con I capitalisti • (Lenin). Per questi squallidi spettacoli di capitolazione ci basta e avanza l'episodio socialista, ormai consumato. Noi viviamo, avendo fatta una scelta che ci esime dal considerare i particolari mentre ci interessano soltanto (o intanto) le condizioni di base; e possiamo decidere fra noi le nostre colpe, gli aiuti, le mancanze, gli errori; ma questo occorre fare senza fuggire da noi stessi devastando il raccolto come bisonti impauriti. Raduniamo questa volontà di durare nell'alternativa che sta di fronte alla nostra vita: là le macchine cantano e offrono fiori e frutta, pampini alle tempie e molta possibilità di un successo in qualche modo; qua si nuota alle volte nell'equivoco, c'è la risacca dello scontento - che una generazione di uomini valenti ma altrettanto romanticamente utopici ha fatto defluire come un'ultima elargizione; eppure qua è il nostro posto, perché da questo fronte, da questa linea di orizzonte si lotta per Il futuro del mondo; e si lotta contro tutte le 41 guerre, perché le guerre non sono l'alternativa alla nostra vittoria. Le guerre le vincono sempre i capitalisti. Capitalismo = militarismo; e perciò bisogna anche cominciare non tanto a obiettare con la coscienza ma rifiutare la obbedienza. Chiudendo queste semplici note e conside• razioni stese a fil di lama su una cronaca episodica, propongo di considerare come urgente la necessità di rendersi a un piu temperato rigore operativo, meno irto di isterici risentimenti ma piu fitto e qualificato, contrassegnato, da operazioni • quotidiane • comunque utili. Perché questo è vero, o a me sembra vero soprattutto: • La disperazione e l'indifferenza hanno forse mai vinto? •. Lo chiedeva Lenin. Consideriamo questo in dettaglio.

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