questi interventi, in se stessi, bensì nei provvedimenti amministrativi che talvolta ad essi facevano séguito). Ero abbastanza giovane, uscivamo tutti da un periodo in cui si era letto magari molto, ma disordinatamente, e si era visto poco. Vi era una lotta politica assai dura, in corso. Vi era l'impegno e il • realismo socialista•. Feci i miei errori, li scontai, cercai di andare avanti nella elaborazione, e scontai anche questo, attraverso discussioni estenuanti e che oggi sembrerebbero pazzesche anche al piu testardo dei funzionari. Fui radiato dal Partito comunista per avere diretto una rivista, Città aperta; ricordo che uno dei motivi di maggiore scandalo fu la pubblicazione, in quella rivista, di una proposta di Elio Petri, il quale suggeriva un film su quel che avvenne al capezzale di Curzio Malaparte, con preti e comunisti che si contendevano l'eredità spirituale dell'ex (ma poi ex?) fascista. SI disse in quella occasione, ad esempio, con logica allucinata, che un giudizio negativo sullo scrittore avrebbe significato il giudizio negativo su una linea politica e culturale: e la linea politica e culturale era appunto il fatto che Rinascita si apprestava a pubblicare la autobiografia inedita del noto playboy delle lettere, e a rivelare orgogliosamente che costui, in anni passati, aveva chiesto la iscrizione al PCI. Radiato, mi si presentavano due strade: o andare a scrivere di cinema per giornali che mi repugnavano, facendo violenza a me stesso e dando implicitamente ragione a chi mi aveva allontanato, o tacere nella disoccupazione. Scelsi la seconda strada. E provvidenzialmente, due anni dopo, un giornale di sinistra, Il Paese, mi offri - senza condizioni, debbo dire - la critica cinematografica. Durò relativamente poco, e mi ritrovai al punto di prima. Stavolta le ragioni erano piu complesse: non vi era soltanto una ipoteca politica, sulla critica, ma aleggiaiva su di essa, soprattutto, l'ombra della industria. Per pazzesco che sembri si sarebbe preferito una critica tranquilla, generosa, che tenesse conto delle necessità pubblicitarie del giornale, piuttosto che una critica tendenziosa, severa, non episodica, fruttuosa. Si faceva appello addirittura alla favola della oggettività e alla necessità della • informazione •, oltreché, si intende, alla intoccabilità di certi tabu. La valanga di interventi che, 13 sollecitati e organizzati in sede politica ed editoriale, si riversò su di me quando • dissi male • del Viva l'Italia! di Roberto Rossellini è abbastanza esemplare e può costituire una utile antologia (specialmente considerando i nomi di alcuni firmatari e il tipo di film che essi, come registi hanno poi realizzato, trionfi squallidi della sessuologia per caserme). Insomma, fini con una precisa scelta da parte del giornale: scelta tra gli interessi pubblicitari e quelli culturali a favore dei primi. Dico questo senza scandalizzarmi e senza rivelare nulla di nuovo, perché la intenzione fu esplicita. Mi rimase Mondo Nuovo: un giornale che era nato con un'aria di ribellione assai simpatica, una possibilità di dire quel che occorreva dire senza intricarsi nella selva dei • se •, dei • ma • e dei • dissitinguo •. Ma Mondo Nuovo, purtroppo. è divenuto organo di un partito. E benché questo partito ami presentarsi come il piu a sinistra dello schieramento italiano, o forse proprio per questo, cerca di ricommettere in campo culturale, tutti gli errori delle burocrazie culturali piu grandi e antiche. E dunque si è sentito parlare di necessità di una • linea • da stabilire e alla quale adeguarsi e - ancor peggio - di una • fascia di protezione• di intellettuali piu o meno famosi, da non disgustare con intonazioni • settarie •, ma anzi da stimolare con dolcezza ad una generica adesione. Voi stessi avete parlato di un • esaurimento interno • della rubrica di Mondo Nuovo. Per me ha significato, brutalmente, fine di una collaborazione. Questo è il punto di arrivo, E certo, benché una situazione personale resti una situazione personale, oggi sarei un po' meno ottimista di quanto lo ero a Porretta, a proposito delle possibilità di condurre una certa battaglia. Dove condurla? La critica cinematografica è la mia professione, non posso mettermi a fare il chimico o l'architetto o il docente. Debbo fare il critico, e debbo farlo in un certo modo, se il mio problema non è solo quello di sopravvivere, ma di essere vivo. Ebbene, l'area in cui si può fare la critica cosi non solo è ristretta, ma praticamente non esiste: certo non è piu l'area della sinistra. Vi è tutto l'altro campo, vastissimo, nel quale si può certamente, riveriti e insigniti di molte cariche, andare a scrivere cose
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