giovane critica - n. 31/32 - autunno 1972

rapporti con gli altri individui. Chi si ribella ai divieti codificati e alle istruzioni degli specialisti, o semplicemente li pone in forse col uso stesso comportamento, si espone senza scampo alle angherie non solo dei custodi ufficiali dell'ordine, ma anche di tutti quello che esasperatamente si identificano con questi e con l'ordine da essi rappresentato. Nella sezione automatizzata di una fabbrica è proibito agli operai che debbono badare soltanto al controllo e alla pulizia degli impianti, sedersi e fumare durante l'orario di lavoro, sebbene ciò non vada assolutamente a detrimento della loro attività. L'ideologia non sopporta neppure una parvenza di pigrizia. Il caposezione impegna l'operaio che al suo arrivo ha nascosto la pipa accesa in tasca, in un lungo e assurdo colloquio pur di costringerlo alla volontaria e dolorosa confessione dell'infrazione commessa. Nelle razionalizzazioni tecniche della sfera di produzione e di consumo si introducono come parassiti alcuni relitti di forme sociali arcaiche. L'autorità dell'esperto pare necessaria anche dove è evidentemente superflua. Tra gli indizi che anche nel caso di conflitti cosi meschini si tratti pur sempre di camuffate disfunzionalità sociali, uno dei più notevoli è la loro irrazionalità. La loro motivazione è solo pretesto, non la vera ragione. Il tentativo di interpretare tali osservazioni soggettive e asistematiche si espone naturalmente al sospetto che si eserciti una semplice tautologia e si accarezzi l'orgoglio del • l'abbiamo sempre saputo •. Ma l'accidiosa tenacia con cui ci si rifiuta di riconoscere in conflitti apparentemente casuali gli indizi d'un antagonismo oggettivo fra lavoro reificato e individui viventi, comprime e riduce le possibilità di nuove esperienze, conduce al dogmatismo e ad una prassi ottusa. La reificazione della coscienza non trova limiti nella coscienza di coloro che questa reificazione dovrebbero riconoscere e distruggere. Nel ghigno collettivo a spese d'un vecchio impigliatosi fra le porte automatiche del tram e nell'osservazione conclusiva: • Ha avuto una bella fifa per quel suo capoccione! •· la brutalità si ritualizza socialmente. Le sua razlonallzzazlone è data dalla presente necessità che tutto funzioni 137 senza inconvenienti, da quel buon senso che non ha più riguardo alcuno per gli uomini: il fatto stesso che essi esistano fa potenzialmente l'effetto del bastone fra le ruote. Secondo questo schema il riso compare come fenomeno sociale là dove l'eccezionale viene, per la sua stessa forma logica, condannato come intralcio alla norma. Secondo la teoria di Bergson il riso - il cui valore sociologico egli aveva già pienamente considerato - dovrebbe restaurare nel rapporto interumano la vita distorta dalle convenzioni. Questa forse era già allora l'ideologia della minoranza privilegiata che, sfruttando a sua volta la reificazione, poteva permettersi atteggiamenti liberi, gesti disinvolti e mondani - e di essi aveva anzi bisogno per far mostra della propria superiorità. Comunque sia, il riso ha oggi, come tait social, un significato esattamente opposto: esso non libera la vita dalle sue calcificazioni, ma restaura proprio le calcificazioni quando siano minacciate di smentita da parte di impulsi vitali troppo anarchici per le regole stabilite. Come si rida e su che cosa fa parte della dinamica storica della società. Attualmente il riso Integra forzatamente ciò che scivola fuori dai binari posti dalla società. Un tale parla con un ubriaco e contemporaneamente, con un sorriso di complicità rivolto agli altri, cerca di distanziarsi da lui. Servilmente egli anticipa la possibile disapprovazione del proprio atto umanitario. Deformati dall'oppressione sociale gli uomini si alleano spesso proprio con quella forza che ha alterato il loro carattere. Si sentono in un certo senso risarciti dalla costrizione sociale da loro stessi patita, al veder altri portarne palesemente le stigmate. La risata che si scarica su una comica macchietta d'uomo serve a trasferire inconsciamente l'oppressione, che è in realtà responsabile della sua stravaganza. Il riso collettivo è sempre permeato dalla mentalità del capro espiatorio, e un compromesso fra il desiderio di liberarsi dalla propria aggressione e i meccanismi inibitori che tale desiderio contrastano; talvolta si esaspera in una sghignazzata sonora - non dissimile dall'esplosione di rabbia - con cui l'orda costringe al silenzio I dissenzienti. Se le condizioni ambientali lo permettono,

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