© SAPERE S p A V,a Molino delle Armi n 25 te!. 8390027 • 8370(,74 20123 Milano DISTRIBUZIONE SAPERE DISTRIBUZIONI S r I Via Molino delle Armi n. 12 te!. 863280 20123 Milano Edizione ed Amministrazione SAPERE SpA Via Molino delle Armi 25 20123 Milano / tel. 8390027. 8370674 direttore Giampiero Mugbmi responsabile Pio Balde/li redazione via della Trinità dei Pellegrini 19, 00186 Roma / tel. 06/653448 autorizzazione 3.1.19633 n• 292 Tribunale di Catania progetto grafico fantastici 4, Roma stampato dalle lnd. Grafiche A. Nicola S.n.c .. Varese abbonamento annuale (4 numeri) L. 2 000 estero L. 2 700
I testi q11i pubblicati sono traili dai numeri 1-18, oggi tu/li esauriti, di Giovane critica. La liratura media dei nn. 1-17 fu di 1000 copie. li n. 18 venne tirato in 2500 coP.ie. La vendita attuale di Giovane critica è sulle 3000 copie. 1 nn. 1-6 ebbero una diffusione esclusivamente locale e per abbonamento. Gli abbonati erano tutti interessati alla materia cinematografica.I nn. 7-1) vennero distribuiti a/Jraverso un'agenziache apparteneva a un futuro professore universitario. Lo implo111mmo. Lui, magnanimo, accel/Ò. Chiese un paio di versamenti anticipati, L. 140.000 in 111110. Dopo aver distribuito circa 5.000 copie, il professore ci inviò un assegno di L. 6.000 e rolli. In piU le librerie di tu/la /Ja/ia ci tempestavano di proteste perché non avevano la rivista. Minacciammo il professore. Ma non fummo gli unici, evidentemente, perché lui cambiò dri-:ticilio, di sera tardi. A cominciare dal n. 14 organizzammo alla buona e con t,rande sforzo un tessuto di distribuzione. Lo Libreria Feltrinelli di Roma vendé IO copie del n. 14; oggi vende 190 copie. Lo Libreria Hellas di Torino vendé 12 copie del n. 15-16; oggi vende 150 copie. Economicamente la rivista « tenne » perché il Centro Universitario Cinematografico,cui era originariamente collegata, versò un milione e forse qualcoseJta in piU. Inoltre dis-ponevamo di una discreta pubblicità locale; e di tre abbonamenti sostenitori, nello spazio di cinque anni. L'attrezzatura redazionale consisteva in uno schedario Buffe/li e in un telefono giallo. Le collaborazioni erano gratuite. E cosi pure il lavoro redazionale, in tutti i suoi aspe/li. A un collaboratore che viveva a Parigi e che stava per bai/ere il record europeo di digiuno inviammo qualche lira. A un altro, che ha firmato alcuni dei pezzi piU belli dell'antologia, consentimmo un rimborso in libri: da scegliere alla Feltrine/li di Milano. Ci scrisse, rosso dalla vergogna, che ne aveva pr1so u,ro un po' costoso. Nello scegliere i testi abbiamo alterato la fisionomia originaria della rivista. Per ragioni di spazio abbiamo dovuto omettere i saggi di Pio Balde/li sulla politica culturale, che pure caratterizzarono una stagione della rivista; i due saggi di Goffredo Fofi sul cinema e sul teatro del Fronte Popolare in Francia; lo studio di Mario Cannella sul neorealismo italiano. Abbiamo cercato di non pubblicare testi disponibili al, lettore moderno. Ad esempio quello di Franco Fortini sulla « fine dell'antifascismo ecc.» che ha avuto un'importanzaformativa determinante per noi. Un'eccezione a questo criterio è costituito dallo seri/lo di Edoarda Masi, oggi compreso nella TI edizione omp/iata di 11nsuo volumello einaudiano. Ma ci era necesrarioper allestare l'interesse della rivista per i falli della Repubblica Popolare Cinese. Interesse che, come è noto, ha caratierizzalo la generazione del '68. Non senza risvolti farseschi, purtroppo. Giampiero Mughini Dieci anni di milizia intellettuale tuttofare Dieci anni di « milizia intellettuale tuttofare» (l'espressione è di A. L. De Castris) non sono un'inezia. La qual cosa, di per sé, non autorizzerebbe il replay cli vecchie carte. Se non ci fosse di mezzo un elemento strettamente quantitativo: si tratta di materiale in grandissima parte inedito per l'attuale pubblico di Giovane critica, tre volte piu numeroso e completamente mutato. Chi sfogli le 200 pagine che seguono, stralciate da un lavoro editoriale che copre il periodo 1963-1968, non pensi trovarvi la rivendicazione di una qualche nostra primogenitura. Vi troverà solo, ma non è poco, uno specchio obliquo che rifrange le idee, le tensioni, le speranze di una generazione intellettuale. Una sorta di sintesi, culturalmente parlando, tra Lacerba e le riviste gobettiane; un pasticciaccio vitale, genuino, perché in quel modo lo vivemmo fin nel fondo delle nostre scelte personali. In politica eravamo operaisti; chi perché abitava a un tiro di schioppo dalla Fiat, chi perché aveva letto Mario Tronti. La concezione generale della Società, della Storia, i Fini ultimi ci straripavano da tutti i pori. Era un effetto di reazione, certo. Nel frattempo siamo andati mutando tutti, in questi dieci anni intendo. Se dovessi incontrare oggi alcuni di quei miei soci di generazione, accadrebbe come in un western: a chi estrae per primo la colt. Eravamo figli del '56. Muovemmo i primi passi in un rifiuto furibondo dell'esperienza staliniana. Ci parve dover tornare a Marx, alle fonti, come sempre accade quando una cultura ne aggredisce un'altra. E noi aggre-
2 dimmo il « realismo» all'italiana, lo stori• cismo, M. Alicara e la politica culturale da lui interpretata, il centro-sinistra che ci parve divisione vigliacca del movimento operaio, il Comitato Centrale del PCI, le « vie nazionali » ( di cui non capivamo nulla), le Riforme. E ciò in un contesto politico dove solo a proporla, una Riforma, i governi cadevano a picco. La transustanziazione di quelle nostre idee non fu poi quale ce l'eravamo proposta. E il 7 maggio 1972 le ha bocciate inesorabil• mente; bocciando PSIUP (che ne era stato il covo politico originario, vi ricordate Mondo nuovo?), Manifesto e MPL (che le ripetevano, un po' alla buona). E bocciando quell'analisi della società, da un canto i padroni dall'altro gli operai della Fiat e di Porto Marghera, che era loro retrostante. Analisi che invece alcuni abatini, pallidi per lo sforzo, proseguono nei loro laboratori universitari. Dico abatino un giovane che ha let10 Keynes e Dutschke, e che dice di saperla piu lunga di tulli; che va dettando lezioncine al movimento operaio; che se la prende con Guido Carli e con Palmiro Togliaui, rimandandoli a ouobre; che vota, talvolta, per il Manifesto ma con un ghigno di sufficienza perché per lui ci vuole ben altro; che in prima fila non c'è mai stato, perché se la farebbe sollo dalla paura; che dal Festival nazionale dell'Unità è tornato indignato, perché lui i gnocchi non li mangia mai: nei saloni che frequenta si mangia solo riso, alla maniera del giovane Mao e dei suoi straordinari compagni, Liu Shao-Chi, Lin Piao, ecc. Le scelte di chi scrive, e dunque di Giovane critica, sono semplici. Lealmente e senza reticenze con il movimento operaio storico, qual è, nella sua concreta artico• !azione, sen1a rinnegare di una virgola quanto di vivo e di storicamente necessario c'è stato nella nostra esperienza. Oggi si fa un gran parlare di articolazione d_ell~sinistra. Non per questo, credo, qual. s1as1galantuomo può inalberare un cartello con su serino « Articolo, dunque sono». Se di articolazione reale si traila, quella che conta nella politica e che crea nella cultura, allora bisogna partire dalla constatazione che in Italia esiste il piu dinamico e piu moderno Partito Comunista del mondo, su cui forte è rimasto impresso il marchio del genio politico toglianiano. E che esiste altresl un Partito Socialista, con connotati originali nel panorama politico europeo, un Partito che forse non sarà piu un partito di massa com'era nella sua tradizione ma che pure ha dato un Viuorio Foa, un Riccardo Lombardi, un Ranirro Panzieri; un Partito le cui diflicoltà e i cui problemi sono lo specchio di una società il cui accesso alla maturità industriale e democratica è recentissimo. A noi e a quanti, la stragrande maggioranza dei giovani per i quali la politica non è stata solo lo happening di un 10/i mai del '68, condividono le nostre scelte rivolgiamo un unico augurio. Di lavorare nel prossimo decennio con la stessa rie• chezza di interessi culturali, con la stessa passione, con la stessa autoironia con cui abbiamo lavorato nel decennio appena trascorso.
VladimirPoliakov inverno 1963 Storia di un racconto Pubblicato a Mosca nel 1953. Da noi tradotto dalla Partlsan Review (L'azione si svolge nella redazione di una rivista sovietica. Una scrittrice - una principiante - entra timidamente nell'ufficio del redattore-capo). Lei: Scusatemi ... Non vorrei disturbare ... Lei è il direttore della rivista, non è vero? Lui: Proprio cosf Lei: Il mio nome è Krapivina. Ho scritto una novelletta per la vostra rivista. Lui: Sta bene, lasciatela qui. Lei: Mi chiedevo se non potrei averne subito un vostro giudizio. Se permettete, ve la leggo. Non prenderà piu di tre o quattro minuti. Vi dispiace? Lui: Va bene, leggetela. Lei: I: intitolata • Un gesto nobile • (Comincia a leggere). Eravamo nel cuore della notte, le tre. Tutti In città dormivano. Non una sola lampada era accesa. Tutto era awolto In una silenziosa oscurità. Ma lmprowlsamente una rossa lingua di fuoco balzò fuori dalla finestra del terzo piano di un grande Isolato grigio. • Aiuto •, gridò qualcuno. • Al fuoco •. Era la voce di un Inquilino disattento che, nell'andare a letto, aveva dimenticato di spegnere il fornello elettrico, causa dell'incendio. Inseguito dal fuoco l'Inquilino saltellava per la stanza. Ecco ululare la sirena del pompieri. I pompieri saltarono giu dalla macchina e piombarono nella casa. La stanza dove l'Inquilino stava saltellando era preda delle fiamme. Il pompiere Prockorcluk, un ucraino di mezza età dal folti baffi neri, si fermò dinnanzi alla porta. Indugiò, riflettendo un attimo. Poi d'un lampo balzò nella stanza, ne trasse fuori l'Inquilino tutto bruciacchiato e Indirizzò sulle fiamme Il getto del suo estintore. L'incendio fu spento grazie all'audacia di Prockorciuk. Il comandante dei pompieri Gerbushin gli si awicinò. • Bravo Prockhorciuk •, disse, • ti sei comportato secondo i regolamenti! •. Dopo di che il comandante Gerbushin sorrise e aggiunse: • Non te ne sei accorto ma Il tuo baffo destro è in preda alle fiamme •. Prockhorciuk sorrise e indirizzò il getto del suo estintore sul baffo. Albeggiava. Lui: Il racconto non è male. Anche il titolo gli si addice, • Un gesto nobile •. Ma alcuni passi sono da cambiare. Lei si rende conto, è un peccato quando un racconto è buono e vi impelagate in cose differenti da quelle che erano le vostre intenzioni. Vediamo un po'. Come comincia il vostro racconto? Lei: Eravamo nel cuore della notte, le tre. tutti in città dormivano ... Lui: Non va bene per niente. Vi si sottintende che la polizia stava dormendo e che chi si trovava di guardia stava dormendo e... No, non va bene affatto. Vi si sottintende una lacuna nel servizi di vigilanza. Questo passo va cambiato. Sarebbe meglio scriverlo cosi: Eravamo nel cuore della notte, le tre. Nessuno in città dormiva. Lei: Ma è impossibile, è notte e la gente dorme. Lui: Si, non vi si può dare torto. Allora rendiamolo in questo modo: Tutti in città dormivano ma si trovavano al proprio posto. Lei: Dormire al proprio posto? Lui: No, ciò non avrebbe senso alcuno. Meglio scrivere: Alcuni dormivano mentre altri stavano all'erta. Cosa viene dopo? Lei: Non una sola lampada era accesa. Lui: E questo cosa vuol dire? Significa forse che noi, nel nostro paese, fabbrichiamo lampade che non funzionano? Lei: Ma è notte. Sono state spente. Lui: Questo potrebbe ripercuotersi sulle nostre lampade. Cancellatelo! Se non erano accese, che bisogno c'è di menzionarle? Lei: (leggendo oltre) Ma lmprowisamente una rossa lingua di fuoco balzò fuori dalla finestra del terzo plano di un grande Isolato grigio. • Aiuto •, gridò qualcuno. • Al fuoco! •. Lui: E questo cos'è? Panico? Lei: Per l'appunto.
4 Lui: E lei pensa che i I panico dovrebbe essere propagandato sulle colonne dei nostri periodici? Lei: No, naturalmente no. Ma questa è finzione, creazione letteraria. Sto descrivendo un incendio. Lui: E lei, anziché ritrarre un cittadino esemplare, ne ritrae uno che diffonde il panico? Al vostro posto sostituirei questa invocazione di soccorso con qualcosa di più rassicurante. Lei: Per esempio? Lui: Per esempio, scrivere ... • Non c'è alcun pericolo! Lo spegneremo senz'altro! •, gridò qualcuno. • Nulla da temere, non c'è alcun incendio •. Lei: Cosa vuol dire • Non c'è alcun incendio •, quando l'incendio c'è? Lui: No, • Non c'è alcun incendio• nel senso di • Lo spegneremo senz'altro, nulla da temere •. Lei: È impossibile. Lui: È possibile. O altrimenti dovrete fare a meno del grido. Lei: (legge oltre) era la voce di un inquilino disattento che, nell'andare a letto, aveva dimenticato di spegnere il fornello elettrico. Lui: L'inquilino come? Lei: Disattento. Lui: E lei pensa che la disattenzione debba essere reclamizzata sulle colonne dei nostri periodici? Penso di no. E allora perché scrive che costui ha dimenticato di spegnere il fornello elettrico? Lo giudicate un esempio appropriato da indicare per l'educazione dei nostri lettori? Lei: Non intendevo ricorrervi a scopi educativi; ma senza il fornello elettrico non avremmo l'incendio. Lui: E lei pensa che sarebbe stata la soluzione peggiore? Lei: No, la migliore naturalmente. Lui: Bene, e allora avreste dovuto scriverlo in questo modo! Via il fornello elettrico e nessun bisogno di menzionare l'incendio. Andiamo avanti, leggete quello che viene dopo. Andiamo subito al ritratto del pompiere. Lei: Il pompiere Prockhorciuk, un ucraino di mezza età ... Lui: Questo è colto sottilmente. Lei: ...dai folti baffi neri, si fermò dinnanzi alla porta. Indugiò, riflettendo un attimo. inverno 1963 Lui: Sbagliato. Un pompiere non deve pensare. Deve spegnere il fuoco senza pensare. Lei: Ma è un momento importante del racconto. Lui: Nel racconto è forse un momento importante, ma non nel pompiere. Inoltre, visto che non c'è l'incendio, non c'è bisogno di condurre il pompiere dentro la casa. Lei: Ma allora, come risolvere il dialogo col comandante dei pompieri? Lui: Facciamoli parlare in caserma. Come si svolge il dialogo? Lei: (legge) Il comandante dei pompieri Gerbushin gli si avvicinò. • Bravo Prockhorciuk •, disse, • ti sei comportato secondo i regolamenti •. Dopo di che il comandante dei pompieri sorrise e aggiunse: • Non ti sei accorto, ma il tuo baffo destro è in preda alle fiamme•. Prockhorciuk sorrise e indirizzò il getto del suo estintore sul suo baffo. Albeggiava. Lui: Perché insistere su questo? Lei: Su cosa? Lui: Il baffo fiammeggiante. Lei: L'ho messo per conferire un tocco di umorismo ali 'episodio. L'uomo era cosi preso dal sua lavoro da non accorgersi che il suo baffo bruciacchiava. Lui: Credete a me, dovreste cancellarlo. Visto che non c'è alcun incendio, la casa non sta bruciando e non c'è bisogno di far fiammeggiare alcun baffo. Lei: E cosa mettere come nota comica? Lui: Ci sarà senz'altro da ridere. Quando la gente ride? Quando le cose vanno bene. E non è un'ottima cosa il fatto che non ci sia un incendio? E' senz'altro un'ottima cosa. E cosi tutti rideranno. Leggete la stesura definitiva. Lei: (leggendo).• Un gesto nobile•. Eravamo nel cuore della notte, le tre. Alcuni dormivano mentre altri stavano all'erta. Dalla finestra del terzo piano di un grande isolato grigio qualcuno gridò • Non c'é alcun incendio •. • Bravo Prockorciuk •, disse il comandante dei pompieri Gerbushin al pompiere Prockhorciuk, un ucraino di mezza età dai folti baffi neri, • hai seguito i regolamenti •. Prockorciuk sorrise e indirizzò un getto d'acqua sul suo baffo. Albeggiava. Lui: Ecco un racconto delicato! Adesso può essere pubblicato senz'altro.
Tibor Déry inverno 1963 Questo cancro funesto· L'abuso del potere, questo cancro funesto di tutti i re, duci e dittatori, di tutti i direttori, capi-servizio e segretari, di tutti i pastori, vaccari e porcari, di tutti i capi-famiglia, di tutti gli educatori. di tutti i fratelli maggiori, di tutti coloro vecchi o giovani, che abbiano in mano altre creature, questa puzza, questa malattia, quest'infezione, che è propria dell'uomo, e non si sviluppa in alcun'altra fiera sanguinaria che sia, questa maledizione, questa bestemmia, questa guerra, questo colera ... Si tratta di un brano da « Niki » Franco Fortini primavera 1963 Un vecchio piombo del 1936 Che cosa può insegnarci i I modo tenuto dalla giustizia di Franco nell'ammazzare il comunista Grimau? Che è una morte di venticinque anni fa. di quando abbiamo cominciato a capire il carattere di classe del fascismo e a distinguere tra varie specie di antifascismo; quando, oltre le mediazioni dei Fronti Popolari, abbiamo veduto il rapporto diretto tra le quotazioni di Borsa e le fosse comuni. Ma che è anche un assassinio di oggi, compiuto in una Spagna moderna, già avviata ad imitare il nostro benessere neocapitalista, socia dell'Europa tecnologica, parlamentare. programmatrice e coesistente. La scarica che ha piantato negli occhi di Grimau un vecchio piombo del 1936 ci rammenta che il carattere di classe del capitalismo non muta e che ogni illusione è colpevole. Alla vigilia della guerra civile spagnola, Brecht scriveva: • Molti di noi hanno sperimentato le atrocità del fascismo e ne sono inorriditi, ma corrono sempre Il rischio di considerare le crudeltà del fascismo come crudelà non necessarie. Tengono ai rapporti di proprietà perché credono che per difenderli non siano necessarie le crudeltà del fascismo. Ma per mantenere i rapporti di proprietà esistenti quelle crudeltà sono necessarie •. Di fronte a quest'altro compagno ucciso, l'esecrazione non serve. Serve molto di piu obbedire all'invito con cui allora Brecht chiudeva le sue parole: • Compagni, parliamo dei rapporti di proprietà •. Si trai/a di una dichiarazione rilasciata da Franco Fortini in morie di Grimau
Leonardo Sciascia inverno 1964 La mia esperienza di scrittorein provincia 1. Tu pensi che si possa parlare oggi di una • morte della provincia • nella accezione delineata da Massimo Ferretti (In un articolo sul Giorno)? O che si debba piuttosto parlare di • neopro• vincia • e di • neoprovinclalismo •, cioè di mumentl effettivamente avvenuti ma che riguardano solo certe zone della provincia e, comunque, nei loro aspetti esteriori e di costume? La provincia è morta perché tutto il mondo. oggi, è provincia. Provincia dico, nel senso deteriore. Non c'è niente di più decisamente provinciale, per esempio, degli avanguardismi che si svolgono oggi a livello delle capitali culturali e che nella provincia geografica trovano immediate rifrazioni: velleità ed escogitazioni in cui si raccoglie, in definitiva, la cattiva coscienza di un paese (espressione che giustamente Ferretti usa nei riguardi della provincia di ieri). La provincia. quella che fino a quindici anni fa (all'incirca) era area di ritardo e confusione culturale (ma che pure, nonostante i I ritardo e dentro la confusione. obbediva a un compito, per così dire. • preparatorio •I oggi non esiste più: e non occorre enumerare quegli strumenti che l'hanno portata al livello dei • centri • e che, piuttosto, hanno portato i • centri • al livello della provincia. Perché si va tutti a scuola, ormai: ma non è poi un gran guadagno se la scuola subisce un evidente processo di degradazio• ne. E se vent'anni fa la provincia consumava ancora D'Annunzio mentre i • centri • già consumavano Proust, e Invece tre anni fa Musil è stato uniformemente consumato da Torino a Pechino, non c'è gran che da esultare: ché dopo tutto D'Annunzio lo si consumava leggendolo e Musll semplicemente acquistandolo. Ed è senza dubbio un fatto positivo che la provincia abbia perduto, nel livellamento, quei caratteri dannunziani che le erano propri (anche prima di D'Annunzio); ma bisogna considerare che ha perduto anche quei caratteri • umanistici • che pure resistevano sotto il ciarpame dannunziano e che erano poi viatico ai migliori che se ne svincolavano. La scomparsa degli eruditi locali, che non raramente arrivavano a dignità di storici. io ritengo significhi perdita per la cultura nazionale. Un giovane si sentirebbe sminuito, oggi, a dedicarsi a un'onesta ricerca sulla storia del paese natale: vuol • meditare • sulla storia, occuparsi delle teorie storiche di Toynbee e di Ortega. Il che è propriamente provinciale. Ma ciò non accade soltanto nella provincia geografica. 2. Una volta - rispondendo all'Inchiesta promossa da 11Paradosso sulla • generazione degli anni perduti• - ti dichiarasti • profondamente sic/I/ano•• profondamente radicato cioè nella provincia. In che senso tale tua condizione si riflette e determina le tue scelte letterarie (di tema. di linguaggio, ecc.)? Hai mal provato ad emigrare e, in caso affermativo, quale lmpres• slone ne hai ricevuto? La mia scelta a vivere in provincia realizza in effetti quel proverbio che dice • meglio soli che male accompagnati •. Poiché tutto il mondo è provincia, preferisco vivere nella mia: ché almeno mi consente di star solo invece che male accompagnato. E questa mia scelta si è confermata in una breve esperienza di emigrazione: a Roma, come quasi tutti oggi; e sono tornato senza alcun rimpianto; come ad una riguadagnata libertà, anzi. Questo per quanto riguarda il mio rapporto con la società letteraria, culturale. C'è poi, nel mio stare in provincia, una piu profonda ragione. Noi siciliani siamo condannati (la parola è di Gaetano Trombatore) a scrivere della Sicilia (ma per la verità, dentro questa condanna, lo mi sento molto libero): e io ne ho avuto coscienza da sempre. Perché dunque sradicarsene, col rischio di farne memoria e nostalgia, favola e mito? Senza dire che. in senso piu generale, è assolutamente ragionevole che lo scrittore risieda nei luoghi umani che meglio conosce, che dia testimonianza di una realtà di cui, per vincoli di sentimento di linguaggio di consuetudini, non gli sfugge nessun movimento nessuna piega nessuna sfumatura.
3. Come pensi si possa reagire si/e forze conservatrici Il cui volto In provincia non muta? Per chi, nel/'orgsnlzzazlone della cultura, si prepone obiettivi nuovi e moderni, esistono energie sane da utilizzare e qual/? Nel nostri tempi che si fanno sempre plu • stretti • esiste In provincia un posto peculiare per /'Intellettuale? Riesce cioè egli s svolgervi una funzione che nelle • metropoli • e nelle sedi del/'• Industria culturale• è ormai quasi lmposslblle? Ritengo che un processo di decentrazione della cultura, cioè degli organismi di produzione della cultura, sia l'unico rimedio. Ma ciò avverrà per un nawrale rovesciamento del processo di accentramento che per ora, purtroppo, è in accelerazione. In accelerazione nonostante che cominci a rivelarsi, In un certo senso, anacronistico. primavera 1964 Gli anni di Lessing L'aula universitaria ci era stata concessa personalmente dal Rettore [ ...] Forti di questo permesso avevamo pubblicato alcuni cartoncini In cui si annunciava che [ ...] Franco Fortini avrebbe tenuto una conferenza sul tema: Organizzazioni politiche e intellettuali di sinistra in questo ultimo mezzo secolo. La vigilia della manifestazione veniamo convocati dalle Autorità Accademiche (il Rettore è assente). Il Prorettore ci comunica la revoca della concessione. Motivo: la conferenza lascia Intendere una manifestazione politica e l'Università In quanto tale non può avvalorarla concedendo un suo locale perché l'Università è al di sopra delle parti [ ...] Insisto dicendo che la cultura è anche e sempre • politica •: ml riferisco in particolare alla iniziativa, presa dalla Facoltà di Lettere, di ospitare il Prof. Pellegrini che parlerà fra poche ore su Lessing e l'illuminismo. Risposta testuale: è una cosa diversa, sono passati tanti anni. E viene fuori la contestazione di fondo: le Autorità Accademiche hanno ricevuto la visita di un manipolo di scalzacani fascisti I quali hanno minacciato fuoco e fiamme [ ...] Vengo Invitato a ritornare fra un palo d'ore. Ritorno alle 18 [ ...] Viene presa la decisione di interpellare personalmente, via telefonica, Il Rettore, che si trova a Malta per ua conferenza [ ...] Vengo trasferito nella stanza d'attesa [ ...] Ml richiamano; appena in tempo per udire le ultime fasi della conversazione telefonica fra Il Rettore e Il Prorettore che sta a un metro da me: sul cui volto c'è, per dirla con Gadda, un • adorabile tremamento •. come di chi fosse convocato In paradiso. Quell'aria di beatitudine cessa solo quando ml si comunica che la decisione del Rettore è di negare la sala perché Il titolo
8 della conferenza è contrario ai patti precedenti. Vengo congedato [ ...] Esco, e non penso alla Costituzione. ai valori dell~ coesistenza profanata, alla pace messa m pericolo da questo gesto. Mi vengono invece in mente le parole dell'abate Galiani, un contemporaneo di Lessing carico di intelligenza e di scetticismo: • Nell'ordine essenziale e naturale di questo ammirevole mondo ci sono degli sciocchi e ci sono degli uomini di ingegno. La natura ha voluto (se per altro ha mai voluto qualche cosa) che ognuno vi recitasse una parte. Ora non ci sono che due parti da recitare: quella di chi comanda e quella di chi consiglia. Non si poteva lasciar consigliare agli sciocchi; non avevano ingegno nemmeno per sragionare. E' stato dunque necessario che gli sciocchi comandassero, perché se non facessero questo non farebbero nulla di nulla, e sarebbero una superfluità della natura, che non deve avere niente di superfluo, se non se stessa tutta intera•. Vittorio Strada inverno 1965 Direzionepolitica e libertà intellettuale Si può ritenere a) che nell'Unione Sovietica non si abbia una realtà socia Iista, oppure b) che quel socialismo porti le stimmate dell'esser russo (assenza d'un tirocinio democratico-borghese. ecc.). Sarà lieve fatica allora il progettare l'armonioso sistema d'un futuro post-moderno. e in una nicchia del bell'edifizio troverà posto la soluzione del •problema degli intellettuali•. Ma se si pensa a) che nell'Unione Sovietica si verifichi un'esperienza socialista (se d'un socialismo in costruzione, o d'un socialismo che trapassa in comunismo è una questione che, almeno ora, possiamo abbandonare ai manipolatori occulti dell'ideologia) e b) che la • russicità • non sia, naturalmente, una quantité négligeable, ma neppure I'• apriti sesamo • del mysterium, allora il nostro lavoro politico-teorico sarà men lieve perché dovremo fare i conti con le cose reali. La nostra tesi è la seconda: non fantasticheremo quindi utopisticamente, né ci atteggeremo a paladini della • libertà • (benché il problema delle libertà ci stia ben a cuore dentro e fuori il socialismo). A questo punto una strada maestra si apre: quella del biasimo dello stalinismo e della lode del leninismo (Qualcuno batte beato e tranquillo la via laterale del trotskismo). Stalin è il guastafeste, e ci si chiede anche se ce n'era poi proprio bisogno (prima ancora di interrogarsi sulla • svolta • staliniana si dovrebbe chiarire il concetto di inevitabilità storica]. Di qui il disappunto, di qui lo stupore: il • cattivo • non c'è piii e le vecchie buone • norme • tardano tanto a fare ritorno. C'è poi un altro atteggiamento, quello tra scettico e stoico di chi sembra dire: • La storia s'è fatta sempre ad un modo. e il socialismo è una cosa difficile. • La storia è pazienza grande come la Siberia. Non far mostra di passione, non
seminare il panico. La strada della felicità è piu lunga dello Ensej" (da una poesia di Boris Slutskij) •. S'intende da sé, entrambe le posizioni hanno una loro verità. E' vero che al tempo di Lenin • certe cose non succedevano • e che i primi due lustri post-rivoluzionari, che pure non furono rosei. non registrarono i delitti dell'età staliniana. E' quindi doveroso stabilire le esatte differenze e ripulire il pensiero e l'azione di Lenin dalle incrostature successive (si pensi, per addurre un solo esempio, alla falsificazione, dura a morire, che Stalin fece della nozione di • partitarietà • della letteratura). E ai candidi ottimisti (ma ne esistono ancora?) è parimenti opportuno rammentare che la Storia dopo uno zig fa uno zag e spesso per fare un passo avanti ne deve fare prima qualcuno indietro. Ma queste sono verità ausiliarie, se cosi si può dire, non verità risolutrici. li socialismo non ha ancora chiuso i problemi di ieri che già ne apri di nuovi oggi. Non ci offrono scampo né un falso stoicismo, né un superficiale utopismo, né uno sterile negativismo. Vale soltanto l'ininterrotta volontà di capire e verificare, di conoscere e di agire, E' questa la soluzione che riesce piu awersa ad ogni carismatico autoritarismo, 11quale vorrebbe imporsi non soltanto come l'unico dispensatore di soluzioni, ma anche come l'unico banditore di problemi. E' questo il compito dell'intellettuale fedele alle Idealità del socialismo e del comunismo in Italia come nell'URSS, a Cuba come in Cina. Un compito Intrinsecamente difficile. I compiti storici complementari che si propongono, sul piano della vita interna, alla società sovietica sono essenzialmente due: a) Incremento produttivo e b) ridistribuzione del potere. A questi compiti interni sono complementari, a loro volta, due compiti sul piano dei rapporti esterni: Al equilibrio pacifico e BI diffusione rivoluzionaria. E' possiblle una preponderanza di a e A sopra b e B? Certamente, e questa sarebbe la via d'un neostalinismo illuminato e ammodernato, all'altezza del tempi insomma, il quale del vecchio stalinismo godrebbe i vantaggi: la coesione sociale e la tecnologia direzionale da esso duramente create. li senso dello stalinismo è stato infatti, per parafrasare un'espressione gramsciana, che Il protagonista del nuovo • Principe • è stato ancora un • eroe personale •, non il 9 partito politico (e la formula di Trotskij per cui l'apparato creò Stalin non è vera: Stalin rimodellò l'apparato e si fece • creare • da esso). li partito politico; che succede ora ali'• eroe •, potrebbe però continuare i sistemi e • mutare per conservare •. In fondo è questo il destino d'ogni riforma dall'alto, ed è già un segno positivo che l'esigenza d'una riforma profonda e irreversibile sia stata sentita dagli eredi di Stalin. I punti b e B, che noi riteniamo complementari ad a e A, costituiscono le condizioni della possibiltà d'un passaggio qualitativo, ad una fase piu alta (la si chiami, questa fase, • comunismo •, o • socialismo compiuto•). Gli educatori non tanto devono essere educati, quanto lasciare il posto agli educandi che la sanno plu lunga. Questa rotazione può realizzarsi pacificamente e gradualmenmente (• riformisticamente • ), e se si realizzerà, se un nuovo sistema di controlli sociali e di selezioni direzionali si attuerà nel senso di un'attenzione delle differenze • verticali • di reddito e di prestigio, l'Unione Sovietica darà la prova piu alta della superiorità del socialismo. Questa seconda possibilità (la complementaria di a-A e b-B) è quella che sembra essere stata aperta dal XX Congreso. Il problema della cultura e degli lntelletuali è un sottoproblema, se non addirittura un corollario delle sullodate soluzioni globali Nella soluzione di • unilateralità • avremo un incremento di tolleranza e di tutela di quei settori intellettuali che lo sviluppo industriale richiede necessariamente. Nella soluzione di • complementarità • gli intellettuali - dallo scrittore al sociologo, dallo scienziato allo storiografo - realizzeranno una facoltà non subalterna di decisione nel quadro di una piu ampia e piu diretta attività direzionale delle masse. Nella prospettiva d'un autentico comunismo gli intellettuali svolgeranno un'opera essenziale, ed è dall'• alto• (centri scientifico-culturali) piu che dal • basso • (unità tecnico-produttive) che può nascere una rinnovata energia sociale (comunque senza alcuna contraddizione tra • alto • e • basso • ). E' storicamente matura l'intellettualità sovietica per questa nuova fase? Tutte le questioni vitali si pongono ormai in modo tale nell'URSS che la loro risoluzione conduce necessariamente a una costruzione e una ricostruzione degli istituti sociali. La società sovietica per l'Intervento
10 stesso del suo ceto dirigente, ma sotto la segreta spinta di tutto il paese, da tempo è uscita dalla paralisi staliniana, e soltanto per entro il complicato movimento in cui è entrata può trovare una sua soluzione il problema degli intellettuali e delle loro libertà, una soluzione che, a sua volta, stimoli quel movimento. L'alternativa che si avanza è universale, cioè valevole non soltanto per l'Unione Sovietica: amministrazione totale o raziona• lità socialista. L'antitesi • liberale• (oppressione o libertà) tenderà sempre piu ad appartenere al passato veteroindustriale della società umana, e i problemi della de• mocrazia in una società d'alto sviluppo tecnologico-produttivo si pongono già In un modo nuovo. Se una volta a definire la democrazia concorrevano il consenso che il dominio riscuoteva e il dissenso che esso permetteva, oggi dissentendo consenti e per consentire è necessario dissentire. Il fenomeno piu cospicuo che caratterizza la posizione dell'artista nei paesi capitalistici altamente sviluppati è l'istituzionalizzazione e la neutralizzazione della sua tradizionale (nell'età industriale appunto) potestà conte• statrice. All'artista non viene negata la parola: contraddicendo la società l'artista (e in genere l'intellettuale) s'immette armo• niosamente in essa. né la società ha piu paura dell'immagine critica che la va costruendo l'artista. La razionalizzazione e la totalizzazione della macchina produttivo-direzionale tende a ridurre l'opposizione intellettuale al rango d'una sorta d'opposizione di Sua Maestà. L'artista in quanto tale non ha compiuto un • tradimento •: è il sistema che lo ha fatto prigioniero nella sua gabbia grande quanto il proprio mondo. L'eslege romantico non col suo • rawedimento • ma con la rivolta e l'opposizione oggi collabora col filisteo tecnologico e manageriale a mandare avanti la baracca. A Occidente come a Oriente la mente e l'azione sociale s'incontrano con problemi nuovi e, nella sostanza, unitari (ciò dicendo non si nega minimamente la radicale differenza dei due • sistemi •l. Il socialismo e il marxismo sono, si, la • giusta soluzione •. Ma quest'affermazione è vuota, se socialismo e marxismo non • contraddiranno se stessi •, se di essi cioè non s'impadronirà il senso d'una mancanza universale, insomma se non si rifaranno pensiero, linguaggio, attività. Leonardo Sciascia primavera 1965 La Sicilia fra gattopardi e sciacalli Cari amici, avrei dovuto, per Giovane critica, scrivere un saggetto sulla narrativa •siciliana• di questi ultimi anni: da Giuseppe Mazzaglia, che con La dama selvatica ha dato una delle prove piu significanti della narrativa di oggi (e, naturalmente, pochissimi se ne sono accorti: forse soltanto Bassani, che l'ha pubblicata nella collana che allora dirigeva per Feltrinelli, e il sottoscritto che coscienziosamente ne ha fatto recensione su Mondo Nuovo). a Vincenzo Consolo che, con La ferita dell'aprile, ha fatto felice e autentica esperienza di quel che certo avanguardismo faticosamente e fittiziamente distilla. E volevo, in parte dissentendo del saggio di Gaetano Trombatore nell'ultimo numero di Belfagor, dimostrare che una narrativa • siciliana • ancora c'è, come ancora c'è una cultura • siciliana •: e ciò non per l'affermazione di un particolarismo, di un • separatismo •: ma per ribadire che (ciascuno a suo modo, ciascuno secondo i propri intendimenti, principi e ideologie, secondo la propria sensibilità coscienza o pregiudizio) in opere di riflessione o di rappresentazione, i siciliani ancora fanno • i cònti con questa dannata realtà •, per usare la giusta espressione di Mughini (nella nota che, nel numero 7 di Giovane critica, accompagna le pagine, vere e commoventi, di Giuseppe Zagarrio). Ma per avere avanzato certe amare consi• derazioni sull'attuale condizione della Sicilia, l'Avanti! (per l'appunto l'Avanti!) mi dà del • benedetto letterato•: e dunque per questa volta è meglio lasciar perdere i Iibri e guardare piu immediatamente alla realtà. Inutile dire che non ho nessuna competenza in fatto di economia e che nemmeno sono sicuro di saper leggere i ragguagli economici le statistiche i bilanci. Ma presumo
di saper leggere la realtà della Sicilia. E a proposito del libro di Pietro Chiara ora pubblicato (ìn questo, forse, sono • letterato •, anche se non benedetto: nel trovare nei libri cèrte sollecitazioni a leggere la realtà), che si intitola Con la faccia per terra, su l'ora del 13 marzo consideravo che davvero slamo con la faccia per terra, come mai siamo stati: noi siciliani, la Sicilia. Con la faccia per terra di fronte all'Italia continentale, di fronte all'Europa. E mi pareva di poter concludere il mio breve discorso osservando che al conflitto che ieri si poneva tra la Sicilia e lo Stato, nei termini della questione meridionale, ora succede un piu vasto ed impari conflitto con quella specie di Stato europeo le cui strutture vengono formandosi e di cui il sud d'Italia sta facendo le spese, come già fece le spese dello Stato unitario, del Reg(lo d'Italia; e che il Mezzogiorno, e la Sicilia in particolare, non può fondare il suo rapporto con l'Europa sulla base del bisogno di schiavi che l'Europa ha; e che il problema va il di là del rilancio dell'Autonomia che si sta attualmente tentando, stante che Il dissidio tra Stato e Regione non ne contiene i dati fondamentali. E • un po' per celia e un po' per non morir • aggiungevo che i problemi della Sicilia piu naturalmente troverebbero soluzione nella Repubblica Araba Unita che nello stato italiano. Il che, manco a dirlo, subito ha fatto pensare a un giornalista dell'Avanti! e a quello di un settimanale democristiano che vagheggiassi una federazione dalla Sicilia alla Rau, alla Tunisia, al Sudan addirittura. In termini paradossali io intendevo dire che l'istituto autonomistico è, oltre che in interno fallimento, esternamente superato: e nel senso che si trova di fronte alla costituzione di uno Stato europeo che rispetto alla Sicilia, su scala piu vasta, ripete la costituzione dello Stato Italiano di cent'anni fa; e nel senso che il risorgimento dei paesi arabi viene a proporre un contesto mediterraneo di cui la Sicilia è storicamente parte e al quale potremmo accedere attraverso un effettuale indipendenza politica (da non confondere con la separazione). Ma evidentemente (è il caso di dirlo) ho parlato arabo. Debbo però ammettere che dal settimanale democristiano ml è venuta l'obiezione plu seria; che è questa: • Venti anni circa di autonomia sono serviti almeno a questo: a 11 dimostrare che non ce la facciamo a sbrogliarcela da soli. L'ostruzionismo dello Stato sarà cosa vera: ma non si può negare che esso ha avuto buonissimo e facilissimo giuoco con una classe dirigente isolana (e non facciamo questione di partiti, per carità!) che, se è tutto quello che la Sicilia sa esprimere, costituisce l'esempio piu deprimente delle nostre incapacità •. lo non avevo toccato il problema della classe dirigente siciliana: ma è senz'altro un punto su cui bisogna riflettere. E si può essere d'accordo che l'Autonomia non è riuscita a suscitare una classe dirigente se non a livello del parlamentarismo piu vieto ed astratto; ma non è il parlamentarismo in cui si esaurisce quasi totalmente l'Assemblea Regionale Siciliana una specie di mimesi del parlamentarismo centrale? E si può in coscienza affermare che la classe dirigente nazionale sia migliore di quella regionale siciliana? Si tratta della stessa materia prima: e che vi si foggino quartare o cisterne, è la stessa cosa. Bisogna poi osservare che ai valori dell'Autonomia tutti fanno mostra di credere ardentemente, partiti e singoli uomini politici: ma in effetti sia i partiti che gli uomini politici si sono serviti dell'Assemblea Regionale come di una palestra di allenamento, di tirocinio; ed appunto ha avuto funzione analoga a quelle che in burocrazia sono denominate • sedi disagiate • e che poi costituiscono titolo nelle carriere. Quanti sono I deputati che dalla prima all'attuale legislatura sono rimasti all'Assemblea regionale, che non sono passati, per promozione loro accordata dai partiti, o soltanto per giubilazione, al Parlamento nazionale? Mentre è evidente che ad una concreta ed efficiente fiducia nell'istituto autonomistico avrebbe dovuto corrispondere un comportamento opposto: cioè l'istanza dei singoli uomini politici siciliani ad entrare o a restare nell'Assemblea, e la preoccupazione dei partiti a promuovere in essa i migliori, i piu esperienti. Ma è poi vero che la Sicilia non può esprimere una classe dirigente? Se una classe dirigente cominciano ad esprimerla paesi ora usciti dalla minorità coloniale, davvero la Sicilia deve rassegnarsi e di· chiarare la sua definitiva incapacità a governarsi? E veramente (per usare i termini del principe di Lampedusa) caduti gattopardi la nostra fauna politica altra
12 espressione non può avere che quella degli sciacalli? Per rispondere a queste domande bisognerebbe fare un lungo discorso. E io spero che questo discorso si possa fare insieme a voi giovani, con quella serietà e responsabilità di cui date prova, tra l'altro, in questa rivista, che è una delle poche vive e sensate che esistano in Italia. Cordialmente, Tommaso Chiaretti primavera l 96~ Autobiografia • • minima di un esule risentito Cari amici, lasciatemi aggiungere una postilla a quell'intervento rapido che feci al convegno di Porretta nel 1963. La relazione che mi fu affidata, in quella occasione, e che è stata già pubblicata, aveva per titolo: La critica cinematografica tra industria culturale e organizzazione di partito: una magnifica occasione che mi veniva offerta di mettermi nei pasticci, come ho fatto: di riuscire sgradevole, cioè, alla industria culturale e alla organizzazione dei partiti di sinistra: che di questi si trattava. Infatti il convegno di Porretta ha avuto strascichi e dibattiti, non pubblici, proprio all'interno di quelle organizzazioni. Questa posti Ila ha dunque un tono privato, personale. Vorrei - giacché me ne offrite la occasione - uscire dalla allusione generica agli • esuli risentiti •, formula che in qualche modo vi interessò, e ricostruire un itinerario che mi riguarda da vicino, perché è il mio. Cominciai a occuparmi di cinema nel 1948, come titolare del la rubrica al l'Unità di Roma. Debbo dire che già il modo con cui divenni critico possedeva un vizio: il cambiamento awenne in séguito ad una lettera di alcuni funzionari del PCI, tra cui Palmiro Togliatti, i quali lamentavano il fatto che i recensori di cinema e di teatro sul giornale fossero ermetici, e troppo spesso dimenticassero di raccontare le trame dei film e delle commedie e anche delle tragedie (trascorso il periodo di rievocazione agiografica bisognerebbe pure, tranquillamente e per esatta definizione di un clima e di una personalità, ricordare gli interventi di questo tipo che Togliatti amava, cioè tutta la intricata polemica con il Politecnico, cui già accennavo.e la discussione con Massimo Mila sulla musica moderna, e certi giudizi sulla pittura e cosf via. Anche se il pericolo non era tanto in
questi interventi, in se stessi, bensì nei provvedimenti amministrativi che talvolta ad essi facevano séguito). Ero abbastanza giovane, uscivamo tutti da un periodo in cui si era letto magari molto, ma disordinatamente, e si era visto poco. Vi era una lotta politica assai dura, in corso. Vi era l'impegno e il • realismo socialista•. Feci i miei errori, li scontai, cercai di andare avanti nella elaborazione, e scontai anche questo, attraverso discussioni estenuanti e che oggi sembrerebbero pazzesche anche al piu testardo dei funzionari. Fui radiato dal Partito comunista per avere diretto una rivista, Città aperta; ricordo che uno dei motivi di maggiore scandalo fu la pubblicazione, in quella rivista, di una proposta di Elio Petri, il quale suggeriva un film su quel che avvenne al capezzale di Curzio Malaparte, con preti e comunisti che si contendevano l'eredità spirituale dell'ex (ma poi ex?) fascista. SI disse in quella occasione, ad esempio, con logica allucinata, che un giudizio negativo sullo scrittore avrebbe significato il giudizio negativo su una linea politica e culturale: e la linea politica e culturale era appunto il fatto che Rinascita si apprestava a pubblicare la autobiografia inedita del noto playboy delle lettere, e a rivelare orgogliosamente che costui, in anni passati, aveva chiesto la iscrizione al PCI. Radiato, mi si presentavano due strade: o andare a scrivere di cinema per giornali che mi repugnavano, facendo violenza a me stesso e dando implicitamente ragione a chi mi aveva allontanato, o tacere nella disoccupazione. Scelsi la seconda strada. E provvidenzialmente, due anni dopo, un giornale di sinistra, Il Paese, mi offri - senza condizioni, debbo dire - la critica cinematografica. Durò relativamente poco, e mi ritrovai al punto di prima. Stavolta le ragioni erano piu complesse: non vi era soltanto una ipoteca politica, sulla critica, ma aleggiaiva su di essa, soprattutto, l'ombra della industria. Per pazzesco che sembri si sarebbe preferito una critica tranquilla, generosa, che tenesse conto delle necessità pubblicitarie del giornale, piuttosto che una critica tendenziosa, severa, non episodica, fruttuosa. Si faceva appello addirittura alla favola della oggettività e alla necessità della • informazione •, oltreché, si intende, alla intoccabilità di certi tabu. La valanga di interventi che, 13 sollecitati e organizzati in sede politica ed editoriale, si riversò su di me quando • dissi male • del Viva l'Italia! di Roberto Rossellini è abbastanza esemplare e può costituire una utile antologia (specialmente considerando i nomi di alcuni firmatari e il tipo di film che essi, come registi hanno poi realizzato, trionfi squallidi della sessuologia per caserme). Insomma, fini con una precisa scelta da parte del giornale: scelta tra gli interessi pubblicitari e quelli culturali a favore dei primi. Dico questo senza scandalizzarmi e senza rivelare nulla di nuovo, perché la intenzione fu esplicita. Mi rimase Mondo Nuovo: un giornale che era nato con un'aria di ribellione assai simpatica, una possibilità di dire quel che occorreva dire senza intricarsi nella selva dei • se •, dei • ma • e dei • dissitinguo •. Ma Mondo Nuovo, purtroppo. è divenuto organo di un partito. E benché questo partito ami presentarsi come il piu a sinistra dello schieramento italiano, o forse proprio per questo, cerca di ricommettere in campo culturale, tutti gli errori delle burocrazie culturali piu grandi e antiche. E dunque si è sentito parlare di necessità di una • linea • da stabilire e alla quale adeguarsi e - ancor peggio - di una • fascia di protezione• di intellettuali piu o meno famosi, da non disgustare con intonazioni • settarie •, ma anzi da stimolare con dolcezza ad una generica adesione. Voi stessi avete parlato di un • esaurimento interno • della rubrica di Mondo Nuovo. Per me ha significato, brutalmente, fine di una collaborazione. Questo è il punto di arrivo, E certo, benché una situazione personale resti una situazione personale, oggi sarei un po' meno ottimista di quanto lo ero a Porretta, a proposito delle possibilità di condurre una certa battaglia. Dove condurla? La critica cinematografica è la mia professione, non posso mettermi a fare il chimico o l'architetto o il docente. Debbo fare il critico, e debbo farlo in un certo modo, se il mio problema non è solo quello di sopravvivere, ma di essere vivo. Ebbene, l'area in cui si può fare la critica cosi non solo è ristretta, ma praticamente non esiste: certo non è piu l'area della sinistra. Vi è tutto l'altro campo, vastissimo, nel quale si può certamente, riveriti e insigniti di molte cariche, andare a scrivere cose
14 futili. biografie di attrici o interviste evasive con registi e anche concessioni piene di citazioni colte. Vi è il cinema cosiddetto • militante•. dove si possono benissimo andare a scrivere soggetti • western • e proporre idee di • sketch •. Tutto questo è anonimo e poco impegnativo. e serve per campare e campare magari bene. C'è infine la strada pitl suggestiva: quella di implicarsi ad un tempo con gli uni e con gli altri. con le organizzazioni di partito e con le industrie culturali, diventare eccellenti navigatori nel mare del sottogoverno. dove non c'è bisogno di scrivere nulla, basta saper condurre delle trattative. Questa è una prospettiva ottima, perché alla fin fine ci si può addirittura meritare, insieme con una poltrona. il riconoscimento commosso di star lavorando per la salvezza del cinema italiano. Questo è tutto. Scusatemi se lo sfogo è assai intimo. e cercate di capire se non rispondo alle vostre lettere. Per rispondere avrei dovuto dirvi cose di questo genere. Ora ve le ho dette. Fatene quel che volete. Rideteci sopra, o giudicatele confessioni malinconiche. o cercate di scoprirci un barlume del tempo in cui abbiamo vissuto e viviamo. Vi auguro soltanto di essere pitl forti. pitl tenaci. migliori lottatori di quello che io oggi non mi senta. Robert Paris primavera 1965 Per una dialettica dell'opposizione L'editore di Lukiics e di Wittfogel non poteva fare a meno di offrirci un Korsch. Marxisme et philosophie 1 , come Histoire et Conscience de classe e forse, a minor titolo. Le despotisme orientai, si presenta infatti provvisto delle seduzioni del • livre maudit ., dell'eresia risuscitata. Condannato nel 1923, sia dalla Internazionale Comunista che dalla Social-Democrazia tedesca. il libro richiamerà immediatamente. per il suo destino e per l'aura di mistero che lo circonda, il famoso libro di Lukiics, condannato esattamente nello stesso anno. Come se, attraverso determinate opere, la nostra epoca. o almeno determinati gruppi, cercasse di darsi nuove forme d'iniziazione, luoghi privilegiati per svelare-rivelare, desacralizzareconsacrare: clima che esigerebbe. alla lettura di questo libro la pratica dell'ironia o, al contrario, di una storicizzazione assoluta. Poiché, a dirla per intero, il 1923 non è soltanto l'anno della condanna di un unico libro - Histoire et Conscience de Classe, trattato troppo spesso come il solo punto di riferimento - ma anche d'un altro: Nuovo corso, di Trotskij. E con esso, evidentemente, di una politica. Anche la figura di Korsch 2 appartiene piu alla storia delle opposizioni 3 che a quella, semplicemente, del comunismo critico: il che fa rimpiangere che questa traduzione di Marxisme et philosophie sia stata condotta, non sulla prima edizione del saggio - un grosso articolo, a dire il vero - ma su quella del 1930, • rivista e ampliata. (p. 12) e, pertanto, ipotecata dal doppio segno dell'evoluzione politica dell'autore e, da non trascurare, dalla variazione semantica del suo discorso. L'opera, tuttavia, rimane un grande testo dell'opposizione - opposizione che, per riprendere una parola famosa, si potrebbe
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