zionate: piena occupazione e sviluppo del Mezzogiorno" e le prime concrete decisioni intraprese dai prC>grammatori con il piano chimico. Questo non è solo un discorso di cifre o di analisi di costo del posto-lavoro, è semplicemente la dimostrazione che i "piloti" dell'economia nazionale hanno intenzione di portare avanti una prospettiva di sviluppo (intesa meramente come aumento del prodotto) del tutto compatibile con un elevato tasso di disoccupazione: ciò che corrisponde a quanto fatto finora. Questo tipo di sviluppo è irrazionale non solo perché non utilizza le risorse disponibili (manodopera). ma perché pianifica, proprio nel Mezzogiorno la distruzione delle strutture pro• duttive esistenti, a bassa produttività. ma ad alto contenuto di manodopera. Tali strutture produttive diventano suscettibili di sopravvivere e svilupparsi soto con l'introduzione di industrie a "tecnologie intermedie", di industrie ciof che rappresentino un graduale miglioramento delle tecnologie tradi· zionali. Non e un caso che negli ultimi dieci anni nel Mezzogiorno sono scomparsi tanti posti di lavoro quanti ne sono stati localizzati nelle nuove imprese. In definitiva il capitate privato e pubblico, nazionale ed internazionale, si comporta. di fronte al Mezzogiorno conformemente· a quanto fa nei confronti dei paesi sottosviluppati: l'unico modo per ottenere alti profitti in queste zone ove non esiste una vita economica fiorente e quello di investire in produzioni di base ad alta intensità di capitale; la trasformazione dei prodotti si svolge poi ove già esiste una economia in fase di avanzamento. E' in questi termini che vanno analizzate criticamente certe affermazioni, dei responsabili della politica economica nazionale, per cui il piano chimico perseguirebbe l'obiettivo di assicurare a11achimica la funzione di settore "trainante". Un impianto per prodotti chimici di base, calato in una economia a struttura tradizionale, come quella del Mezzogiorno. non traina un bel niente, non si collega con l'economia che la circonda sia perché questa vive in un'altra epoca (si pensi che un impianto petrolchimico si avvale di tecniche di punta elaborate nei paesi più avanzati, mentre nel Mezzogiorno funzionano piccole e medie aziende semi artigianali). sia perché i prodotti petrolchimici di base si producono in impianti autosufficienti. con processi continui, senza necessità di quello scambio di prodotti e servizi con l'economia esterna che caratterizza invece le produzioni più agili, non di base, che richiedono. e contemporaneamente contribuiscono a creare, un tessuto produttivo funzionante. L■ proposta del Pieno di collegare i centri petrolchimici con 95 ettlenodotti, così da agevolare lo sviluppo autonomo della chimica dei derivati (utilizzatrice della materrn prima, etilene. e produttrice di materie plastiche, gomme sintetiche, fertilizzanti, fibre sintetiche ecc.) finora connessa alla produzione d1 materia prima, non aggiunge niente di nuovo a quanto finora detto: infatti anche gli impianti per la chimica dei derivati sono ad alla intensità di capitati. In merito poi alla poss1b1l1tàdi veder fiorire altre industrie appartenenti alla chimica fme (a mmore mc•• denza di capitale) è improbabile che te sole tubazioni di etilene siano sufficienti a promuoverla: nel Mezzogiorno tutte le forze manageriali disponibili saranno assorbite dalla chimica d1 base, e per la parachimica e la chimica fine non resteranno Potenzialità ed impegni organizzativi. Questi peraltro, nel Mezzogiorno. non sono paragonabili (lo ribadiamo) a quelli dei paesi più sviluppati ed in particolare dell'Europa centrale dalla cui esperienza si vuole derivare l'introduzione dei collegamenti fra centri petrolchimici. Praticamente vien da pensare che la funzione più "interessante" di questi collegamenti sarà quetla di agevolare gli spostamenti di produzione a piacere degli imprenditori e di evitare che il sistema risenta degli effetti di eventuali arresti del lavoro in determinati centri. Gli estensori del Piano prevedono un settore chimico che marci. da qui all'S0, con un ritmo di crescita dell' 11 per cento medio annuo. cioè con un tasso di sviluppo del 3-4 per cento maggiore di quello del prodotto lordo di tutto il settore manufatturiero. Non si vede il motivo per cui questa debba essereuna "condi· zione indispensabile per la realizzazione di una maggiore espansione di tutta la struttura industriate italiana" (come sostiene il Piano); anzi, se si fanno i debiti confronti internazionali, ci si accorge addirittura che il settore chimico. nel suo complesso, presenta, rispetto alla produzione manifatturiera, un peso maggiore nei paesi in via di sviluppo che nei paesi sviluppati. Ed inoltre, fra i paesi industrializzati, negli Stati Uniti, in Germa· nia ed in Gran Bretagna, il peso dell'industria chimica e affini sulla produzione manifatturiera è più basso (11-12 per cento) di quello registrato in Italia e in Giappone (13,5-14 per cento) che sono paesi a più basso reddito e di più recente industrializ· zazione. Da quanto sopra, emerge che in Italia il settore chimico ha un notevole peso rispetto alla struttura produttiva e si potrebbe ragionevolmente pensare ad una sua riduzione relativa, a vantaggio di altri settori, come il meccanico, ove si volesse rispondere alle esigenze di sviluppo industriale equilibrato e di occupazione della forza-lavoro. Occorre aggiungere che, come risulta da recenti indagini, le previsioni sugli incrementi
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