88 Po1che comprendiamo ,1 valore pol1t1co (e non morahst1co o ideale) di queste ,stanze. troviamo uno scarso mte· resse per i successi quant,tat,vi che possono ottenere le "ca late" al Sud dei portatori d, mode ideologiche o degli a11,vism1 reclutatori d, ades1on1 a p,ccoh o grandi com1tat1 centrati. Invece crediamo che meritino d1 essere valutati, come fatti Qualitativamente nuovi e politicamente fecondi, quei fenomeni endogeni alla realtà meridionale, di ristrutturazione della prassi e della cultura po11t1cadella sinistra. realizzata sul cam• po, a diretto contatto con l'asprezza della vita e della lotta, della complessa contradd1torietà delle spinte e dei bisogni delle masse meridionali Scrivono le ACLI d1 Lavello: "Non sono i Lama, i Berlinguer. gli Storti, i Labor che ci faranno risorgere, se noi non vorremo e non sapremo risorgere. Quando noi ci muoveremo essi ci seguiranno, forse. Perciò noi vogliamo metterci 1nmovimento; vogliamo mcontrarc,. confrontarci, unirci. organizzarci per agi· re, per lottare" Questo rifiuto dell' "attesa", s,a dell'avvento dal Nord di un presunto sviluppo neocapitalistico riformatore, sia del compimento, ne, punt, alti del sistema. della missione rivotuz,onaria e liberatrtce della lclasse operaia; questo attivo rifiuto dell'intermed1az1one, espressione del secolare dominio sui "vicereami" merid1onah; la forte esigenza, di fronte alla sistematica operazione di divisione e di creazione d1 impotenza nelle masse.di ricomporre le forze d1 classe in soggetto unito e auto· nomo e qumd1 capace d'1n1ziat1va,trovano nella rivista Quaderni calabresi una voce osunata, una espressione polemica e argomentata. In una recente, tormentata e dibattuta assembleadel Circolo Salvemim, Francesco Tassane afferma: "Quando nel Mezzogiorno ci sarà un soggetto che port, avanti la lotta d1 classe. si potrà parlare d1 unità operai-contadini, o proletariato del Nord e del Sud. ma finché una lotta qui non c'è, con chi fa questa alleanza la classedel Nord o la classe lavoratrice del Sud? D'altra parte siamo noi che dobbiamo inventare la lotta di clas• se. cioè far prendere alle massedel Sud la loro coscienza di classe". E' questo un discorso comprensibile. C10che rischia, invece, d1 divenire politicamente reazionaria e intellettualmente poco dignitosa è l'affermazione di Nicola Zita· ra, per cu, 1 mi\itan~i. i compagni si qualificherebbero come "d1 sorganici alla realtà meridionale nella misura in cui perseverano nell'ignorare la diversità di interessi di fondo tra il proletariato dei paesi sviluppati e quello dei paesisottosviluppati". Un "nardi• Pino Ferraris Ma dove vive Nicola Zitara per non accorgersi che, dal ruralismo a,wopera10 a, "mendionafisri" dello stampo di Ugo La Malfa, ai raffmall commentatori delle r,viste dei padroni illuminar,, ww. msieme con fu, puntano il dito cancro le lotte "cor• porar,ve" del metalmeccanico venuto da N,castro o da Carbonia, ch1edPndogli di stare fermo e non andare avanti co" anagrafico, come il sottoscritto. se avessesuperato quella soglia, che Z1tara m1 rimprovera d, non aver avuto il coraggio di varcare. per riconoscere l'opposizione d'interess, tra I lavoratori del Nord e le masse meridionali, accettando la sua versio· ne d, una classe operaia riform1sticamente gaudente e complice del saccheggio imperialista del grande capitale settentrionale, avrebbe varcato la soglia dell'incoerenza e della disonestà intel• lettuale, sacrificando a qualche "dottrina" esotica, la verità dell' esperienza vissuta in una grande città "meridionale" come Tori· no, a contatto con la rivolta politica (organizzata ms,eme tra i proletar, d1 Barriera d1 Milano e d1 Tropea, d1 Pordenone e di Orgosolo) alle linee dt Mirafiori o nei quartieri delle Vallette. Ma dove vive Nicola Zitara, per non accorgersi che, dal rurali• smo antioperaio bonomiano, ai "meridionalisti" dello stampo di Ugo La Malfa, alle "destre" sindacali, ai raffinati commentato• ri delle riviste dei padroni illuminati,turti, insieme con lui, puntano il dito contro le lotte "corporative" del metalmeccanico venuto da Nicastro o da Carbonia, chiedendogli di stare fermo e non andare avanti, per "attendere i suo, fratelli del Sud"; rutri cercano di fargli capire, ciò che egli si ostina a non voler comprendere che, solo se non chiede soldi e si fa sfrutta• re, creerebbe le basi per gll 1nvestiment1 nel Sud e per dare un pezzo di pane in pili al contadino della Sicilia e ldella Lucania> Certamente la chiusura tradeunionistica e corporativa dell'operaio delle meuopoli del Nord è un pericolo tutt'altro che remo· to e scongmrato. come il recupero del proletariato reggmo all' autonomia d, classe e fuori delle strumentalizzazioni fasciste è una possibilità aperta. L'impedire una cosa e il realizzare l'altra è oggetto di impegno militante. di lavoro politico d1 mas·. sa, non già il terreno di un irresponsabile quanto categorico sentenziare. 5. Chi nel 1970 si è trovato a vedere Reggio Calabria da To• rino, ha compreso il grande apporto politico e unitario, che dava il giovane 1mm19rato calabrese, lucano o s,cillano. po1che soltanto la sua 1stint1va comprensione di quei fatti e la sua forza di orientamento d1 massa, hanno impedito che una classe operaia, con le "tradizioni" di quella torinese, si barri• casse nel perbenismo d1 un antifascismo venato di razzismo e di corporativismo, creando una rottura politica gravissima e forse irrimediabile. Ora, perché, ad esempio, i compagni dei Quaderni calabresi. che tanta attenzione dedicano al problema dell'emigrazione, invece di fare dell'emigrato l'oggetto di calcoli economici, per dimostrare lo scontro coloniale tra Nord e Sud, non propongono una linea di lavoro politico specifico per fare degli emigrati i soggetti concreti, portatori
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