Dogana te terse che non so quante ce ne siano di analoghe nella let· teratura italiana contemporanea. Poi nel racconto "sdirupa" la parte dedicata alla critica, violenta e sprezzante. di un cer• to "gauchisme" intellettuale e gruppuscolare. Sembra scritta da un modesto imitatore di Sciascia, ha detto giustamente Pietro Citati. 1J confronto fra i "gauchistes" figli di papa e la "storia". "Robespierre" e "Marx", è schiacciante per i primi; ma purtroppo tale confronto non ha nessuna forza, perché troppo fiacca è l'invenzione e i dettagli, e non gia perché i personaggi cui Sciascia allude siano meno cialtroni di come egli li dipinge. Come Montaigne, Sciascia sembra volersi rintanare in un suo covo a vivisezionare il mondo. La "prigione" cui Sciascia aspira è solitudine aguzza. meditazione matura su quell'altra ''prigione vera", di cui gli altri tengono le chiavi. La tecnica di Simenon vale qui a tracciare un mondo degno di Kafka. Una negatività assoluta coinvolge tutti, studenti barbuti, giudici. commissari di polizia, il Partito Rivoluzionario. La stessa cri• tica al movimento operaio, che in Sciascia era stata sempre acuta e partecipe, si è fatta estraneità, almeno relativa. Non c'è traccia emotiva dei Boccadutri. "I I seme vivo di Marx" sembra non essersi depositato da nessuna parte. Il presente appare a Sciascia privo di Storia, tutto vi è dato e predispo• sto, sempre eguali le regole "mafiose" del gioco, il "malgovernare" e l'ilspirazione al "malgovernare" accomuna tutti. I ri• tardi dei mezzi di trasporto e l'ottusità greve dei funzionari di polizia appartengono a una stessa fenomenologia da "crisi della civiltà": intendendo per civiltà quella di Cervantes. di Voltaire. di Pascal. dello stesso Ragas, la passione e l'intelli· genza esatta nel costruire un mondo dove non "sia delitto il mantenere la parola data e l'essere clef'Tlenti e generosi". Squarci stupendi, abbiamo detto, si succedono a pagine sten• tate, ad analogie non prive di qualunquismo. Fra i primi basti ricordare l'alone tragico della figura di Cres, una silhouette tracciata con un intarsio stilistico di straordinaria maestria. Leonardo Sciascia vive a Palermo. E' uno dei pochis· simi Id ~er mantenuto un rapporto non mitologico con il Sud così alla moda presso "rivoluzionari" di Torino, Milano e salotti vari. In quello stesso scritto su Vittorini, Sciascia ricordava come Vittorini gli rimproverasse la sua ostinata "si• cilianità" di uomini e di idee. Vivere nel Sud non è facile. Se vuoi uscire(dalla •"prigìone" che ti sei eletto, diremmo oggi) per incontrare un uomo intelligente, ha scritto anni fa 73 Sciascia. devi prima passare dtl1Jverso 7 cretm+. Oggi Scia• scia dubita, mi sembra, che fuori della"prig1one "ci siano uo• mini che soffrono e combattono, come Boccadutn. Né 911 interessano i giovani ribelli di cui detesta la mancanza d1 ironia, la mancanza di consapevolezza del passato e della storia. Pur in questo libro non felice, inferiore a mott, suoi altri e meno coerente e compatto dello stesso recente Atti sulla morte di Raymond Roussel, Sc1asc1arivela d1 essere lo scrittore più politico che ci sia in Italia, uno scrittore "popolare" perchè in grado di stuzzicare e provocare a una reazione gli uomini del tempo nostro. C1 vorrebbero tribù di Nanni Balestrini per contrappesare la sua passione poli· tica. la sua statura morale. Il mondo tutto tenebre che egli dipinge non è certo un mondo visto con gti occhi del Corriere della Sera, come ha scritto l'incauto recensore del Paese-Sera. Anche se a g1or• nali come il Corriere della Sera e il Mondo, e c1oe I giornali che offendono quotidianamente Boccadutri, Sciascia colta• bora. Non per questo egli resta meno uno dei "nostri", CO· me tutti gli uomini che sentono profondo nella propria pel· le l'ago della vita e della storia. Tutt'al più la sua oggettiva separazione dal corpo della sinistra e dalle sue ipotesi cen• trali di lavoro e di organizzazione della cultura è uno dei tanti sintomi della crisi di quest'ultima In una "prigione" non e solo Sciascia a vivere.
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