40 billta d1 avviarla a soluzione ricade 1n buona misura sulle forze che operano nei partiti operai sulla base d1 una conce· z1one strategica rivoluzionaria. Checché s1 dica, • "gruppi" sono "l'altra faccia" dei part1t1 opera, Il socialismo degli anni '70? Discorrere del sociallsmo degli anni '70. 1n una sttuaz1one quale è quella nella quale siamo potrebbe essere un baloccar: si nell'accademia se 1n realtà anche una cnsi profonda non rivelasse, ai livelli d1 sviluppo raggiunti. che l'alternativa è il socialismo: il riferimento all'attuahtil del socialismo non è un atto di fede ma il risultato di un esame sdentifico delle alter· native rispetto ai problemi aperti nella realtà. Già tutto quel che è accaduto negh anni '60 ha mostrato la necessità d1 un profondo rinnovamento del movimento opera· io, della sua analisi, della sua strategia. Ma (e su dò vorrei richiamare 1n modo particolare l'attenzione del lettore) noi siamo ora sulla soglia di trasformazioni assai più profonde di quelle che abbiamo attraversato. e che si manifestano con evidenza a partire dalla cmi economica che tocca l'Italia e im1este il mercato mondiale m modo diseguale. Quattro ordini d1 fatti debbono essere presi in considerazione a questo ri• guardo. Il primo di essi è la pressione crescente delle tecnolo· g1e avanzate. La rivoluzione tecnologica è quasi divenuta un luogo comune: ma qui parlo d1 tendenze precise. Dall'acciaio, alla chimica, all'elettronica si rivelano livelli nuovi che compor· tano rapporti diversi tra capitale e forza-lavoro e nuove di· mensioni produttive. Qualche esempio, in rapida notazione: la Olivew. la FIAT e le autonomie gestionali, la siderurgia e la chimica. All'Olivetti non solo si ristrutturano i contenuti della produzione, ma anche il modo di produrre: si superano le catene di montaggio, con nuove tecniche e processi inediti. La FIAT sviluppa due massicci tentativi: produrre automobili ma divenne sempre più una fabbrica che produce altre fab• briche; innestare in una strategia mondiale un decentramento gestionale che fa di questo gruppo internazionale, unificato finanziariamente, una coalizione di società autonome. Nella siderurgia, mentre in Italia i capi-clientela si disputano il v· centro siderurgico, in Giappone si va ai complessi da 20 millon, di tonnellate annue. l'equivalente di tutta la produzione italiana. Nella chimica si corre verso i supercomplessi inte· grati, a basso impiego relativo di forza-lavoro, che coprono una vasta gamma di prodotti e verticalizzano la produzione. Il secondo ordine di fatti è il ruolo decisivo delle grandi compagnie multinazionali che rendono ormai impossibile pen• Tre domande pol1t1che / Lucio Libertini E' necesS8flO che la Sinistra pensi ,n rermini nuovi il futuro. Nessun senso ha il mito della produrrivi_tà oggettiva, neutra. _ Ma e alrrettanto assurdo ricadere nel mito del Buon Selvaggio, ,denrificare ,J Maligno nelle macchm~, ~edere il _nemico nelle forze produttive a11zichi! nei rapporti di produzione sare in termini nazionali. e insieme la loro integrazione con i colossi pubblici. Il terzo ordine di fatti - che troppo spesso i super-ideologi e certi uomini politici mettono in barzelletta - è la grave crisi del rapporto tra l'uomo e la natura. che poi si salda con la crisi interna, strutturale delle grandi comunità umane nell'età dell'1ndustr1alismo. Il quarto ordine di problem, è la crisi del mercato mondiale, rivelata 1n tutta la sua gravita dalla vicenda del dollaro. che esaspera tutte le contradd1z1oni interne dell'imperialismo e rimette in discussione tutti i rapporti internazionali. Per ragioni ovvie di spazio e di tema, non entro in una analisi di mento delle condizioni nuove che si vanno creando. Mi li• mito a proporre una esigenza che mi pare essenziale: quella che la Sinistra pensi in termini nuovi il futuro. A una profonda trasformazione del capitalismo si deve opporre una alternativa d1 trasformazione che utilizzi sino in fondo le nuove possibilità della tecnica e della scienza, la nuova direzione raggiunta dal1' informazione. Nessun senso ha. di fronte alle laceranti contraddizioni del sistema, il mito della produttività - di una produttività oggettiva, neutra. Ma altrettanto è assurdo di fronte all'in· dustrialismo ricadere nel mito del Buon Selvaggio, identificare il Maligno nelle macchine, vedere il nemico nelle forze produtti• ve anziché nei rapporti di produzione e nelle strutture sociali che ne conseguono. Lo sviluppo fortissimo del settore pubbli· co, la sua crescente organica integrazione con i grandi gruppi. privati rendono obsoleta la prospettiva di un socialismo ident1• ficato meccanicamente con le nazionalizzazioni. Anche qui non si tratta davvero di ricadere in un "socialismo del profitto privato" o di correre dietro le teorie vecchiotte dell'azionariato popolare, o ancora di racchiudere tutto nella bolla di sapone delle istituzioni della società capitalistica che dovrebbero controllare le concentrazioni industriali. Ma certamente le questio· ni dello sviluppo, di una produzione armonizzata con i bisogni reali, dell'abolizione dello sfruttamento si legano sempre più strettamente con le questioni di una nuova struttura e dimen· sione della democrazia. Modelli alternativi devono certo esserepensati e discussi, ma non possono esseredisegnati e costruiti a tavolino, devono partire dalla realtà delle lotte di oggi. Vorrei fare due esempi. In Italia la crisi dell'occupazione continua ad essereun problema fondamentale, anche se cambiano in parte i suoi contenuti a causa della diversa qualità e struttura della forza-lavoro senza occupazione. Si riaccendono su questo lotte sparse, a volte
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