giovane critica - n. 29 - inverno 1971

sche. Questa crisi ha anch'essa più di una ragione. Condiz1on1 oggettive, tra le quali campeggia l'estrazione piccolo-borghese e medio-borghese di molti e dunque il riflesso d• un'altra crisi, e condizioni soggettive hanno condotto il movimento studentesco a oscillare senza sbocco tra diverse e opposte definizioni di se stesso: l'ingenuo parallelo tra fabbnca e scuo· la. tra classe operaia e studenti, padroni e professori: Il tenta• tivo di un sindacalismo scolastico: l'ambizione del partito po• litico; la velleità di insegnare agli operai oppure d1 costituirsi in "servizio esterno" della classe operaia. Nel movimento degli studenti non si e mai affermata l'unica prospettiva realistica, che parte dalla definizione degli studenti stessi come di un momento di formazione della forza-lavoro. con aspetti neces· safi di interclassismo, e giunge a considerare questo momento parte di un più vasto movimento di massa del quale e nerbo la classe operaia. Oscillazioni, ambiguità, ingenuità, e il pauroso vuoto conservatore dei partiti operai (che hanno evitato sinanco una vera discussione con gli studenti) hanno provocato la frantumazione della prima ondata del movimento studentesco, e sul corpo di questo insuccesso il germinare di gruppi che si riproducevano e si allargavano per scissione. Spontaneismo e dogmatismo La prima vasta disseminazione. fino al 1969. è stata in prevalenza di ispirazione spontaneistica, conformemente alla formazione "storica" dei gruppi e alle condizioni oggettive nelle quali operavano. Di qui la riscoperta della contraddizione essenziale tra capitale e lavoro contro l'impostazione democrati• cistica della Sinistra, e poì la fuga in avanti delle teorie sul capitalismo onnipotente, senza contraddizioni vecchie: la valorizzazione del ruolo delta classe operaia e della lotta in fab• brica. e la fuga nel vuoto di una fabbrica senza società e senza Stato e di una classe operaia senza alleati; la critica delle mistificazioni borghesi sulla produzione e sulla produttività e la caduta verso l'utopia delle posizioni neo-luddiste contro il lavoro e la produzione; la critica al riformismo e il ritorno a un massimalismo primitivo che nega gli obiettivi immediati; le intuizioni sulle articolazioni della lotta, e l'im• mersione mistica nello specifico senza politica; la critica al burocratismo e at vecchio modello dei partiti e poi la negazione dell'organizzazione. Dopo it 1969 l'urto brusco contro la realtà, la pressione del riflusso, la critica delle cose hanno ridimensionato lo spontaneismo, e sono nate invece tendenze neo-dogmatiche, a mio avviso altrettanto cariche di errori ma inoltre prive di contributi reali. Le concezioni attorno alle Tre domande politiche/ Lucio Libertini La cdsi dei gruppi non puO essere risolta rafforzando I confini di un gherro. ma forzandoli. nel collegamenro con le tendenze che percorrono il movimento operaio· cioè in rapporto, cnrico e polemico quanto si vuole. con tutto l'arco delle forze di sinistra quali queste tendenze sono sorte ripropongono l'antico schema del parrno-verità. che elabora. decide. e. al servIzI0 dell' "'idea del popolo" mdinzza 11popolo "concreto" verso un obiettivo generale d1 abbattimento del sistema capitalistico. Solo una cnsI profonda può spiegare come negli anni '70, dopo le espenenze dei Paesi socialisti e d1 tutto 11movimento operaio, si riproponga LI partito-santuario (un santuario nel quale sI celano I dinosauri del burocratismo) e si chiudano gli occhi d1 fronte alla complessità del movimento e della società, alle imperiose richieste d1 autogestione. alla sostanziale spoll• ticizzaz1one di una linea che sostituisce le formule alle idee e alle espenenze; non ci sI accorge delle conseguenze dogmatiche e burocratiche di una tale concezione. Del tutto infantile appare così 11tentativo d1 sostituire a1 processo rivoluzionario, nella sua concretezza storica, il magico "momento" rivoluzionano, e alle lotte del potere l'ag1taz1one pura e semplice, mi· sta a un indottrinamento meccanico, a un internazionalismo critico e militante una nuova mitologia e l'inerzia dei fedeli. La crisi dei gruppi, della quale tutti parlano, è in realtà l'ul· tima propaggine della crisi del movimento studentesco e del le due concezioni che abbiamo indicato, nell'urto contro la real• tà. Il brusco risveglio del giugno 1971, di un riflusso negato anche quando era evidente alla luce del sole, hanno spinto i gruppi a dare una soluzione alta loro difficoltà aggrappandosi a un esasperato antifascismo nel quale si mescolano uno slancio generoso e una cudQsa venatura di radicalismo piccoloborghese: ciò che corrisponde poi agli ambigui ammiccamenti che corrono tra certi gruppi estremisti e il governativo e atlantico PSI. In questo quadro appare limpida l'illusione, perseguita in particolare dal Manifesto, di costruire il partito nuovo di classe dalle aggregazioni dei gruppi in frontale contrap· posizione con i partiti "tradizionali". Questo tentativo sembrava Ignorare le ragioni profonde della crisi e del frazionamento dei gruppi, e il rischio comunque di arrivare a contrapporre, al di là delle etichette più o meno suggestive. settori studenteschi cui si mescola qualche operaio alla classe operaia nella sua realtà e nelle sue organizzazioni. Ciò e invece precisamente quel che si ha da evitare in ogni modo. La crisi dei gruppi non può essere risolta rafforzando i confini di un ghet· to, ma forzandoli, nel collegamento con le tendenze che percorrono il movimento operaio; con la revisione strategica che vi si impone: cioè in rapporto. critico e polemico quanto si voglia, con tutto l'arco delle forze di sinistra. Su questo vor• rei concludere. da militante dei partiti "tradizionali" quale sono, che in realtà dalla crisi dei gruppi nessuno ha da guadagnare, se non la burocrazia riformista, e che la responsa-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==