giovane critica - n. 29 - inverno 1971

34 DIECI ANNI COMPLESSI DELLA NOSTRA STORIA LUCIO LIBERTINI A, tre complessi ques1t1 post, da Giovane critica vorret rt· spondere mutandone l'ordine. così da seguire meglio il ftlo logico d1 un discorso che nsponda alle esigenze che sono alla radice dell'indagine. La crisi d, una dinamica di sviluppo Il primo punto e. nel mio ragionamento, un bilancio degli anni sessanta. Credo che un dato carauerizz1 innanzitutto questo tormentato periodo. l'Italia entra nell'area cap1tahst1• ca avanzata. viene meno 1n buona parte 11 meccan,smo di svi· luppo che aveva consentito la lunga espansione ininterrotta degli anni cmquanta, si aprono nuovi livelli di contraddizioni sociali. Quella lunga espansione. che aveva preso la spinta ,n,- z,ale dall'intensa domanda suscitata dalle rovme della guerra e dalla ricostruzione, si fondava su di una combinazione di particolari condizioni: salari assai più bassi di quelli m vigore nell'area capitalistica e tuttavia abbastanza crescenti da arncu· rare una espansione, pur distorta. del mercato interno; • vantaggi di una forte esportazione uniti a quelli di un residuo non trascurabile protezionismo; lo sviluppo vistoso del capitalismo pubblico In settori essenz,ali; la forza tramante d1 nuovi consumi d, massa (automobili, elettrodomestici). Tutto ciò e andato in pezzi perché I lavoratori, soprattutto quelli che una formidabile em,graz,one ha concentrato nelle aree in· dustrialt, non hanno più accettato d1 pagare l'.a1to prezzo dello sviluppo che si ripercuoteva sempre più duramente sulle loro condizioni d1 vita e di lavoro, e perché l'inserimento crescente nel mercato 1nternaz1onale rendeva piU aspro l'urto contro tutte le arretratezze del s,stema. D1 ciò parlavano le autorita economiche, a cominciare dalla Banca d'Italia, quando nel 1963 accusarono le rivendicazioni operaie d1 rompere un equilibrio ferreo. necessario tra salari, profitto, prodotto, prezzi, investimenti. Successivamente, con una analisi meno rozza, quelle autonta hanno evitato d1 discutere (si vedano le relaz,on, 1965 e 1966 del Governatore Cari!) un tale equilibrio in se stesso e hanno posto in rilievo invece il collegamento con il mercato internazionale: 1 mutamenti nella distribuz10• ne del reddito e ne, rapporti d1 forza tra le class, avrebbero pregiud1cato l'inserimento dell'Italia nell'area mondiale. Nascita e crisi del centro-sinistra Dalla fme degli anni cinquanta, e poi m tutto il periodo iniziale del decennio successivo, i gruppi cap1talist1c1p,u forti, e il personale politico ad essi legato, compresero che si anda· va a un nuovo livello d, contraddmoni, e insiemè ne sottovalutarono la natura e la portata. Il vecchio centrismo era anda• to m rovina, con una lenta agonia. perché la sua formula non corrispondeva più allo sviluppo della società italiana. Era dunque necessario trovare una soluzione nuova, che consentisse in qualche modo di guadagnare al sistema il consenso delle nuove grandi concentrazioni operaie e di un inquieto medio ceto. Bisognava rompere con la destra tradizionale. aprire le porte a una ventata riformistica. dividere l'opposizione di sinistra, guadagnarne una parte all'ama d1 governo. In determi• nati ambienti cap1tallstic1 si guardava inoltre con interesse a una convergenza con forze operaie di indirìzzo riformista che ponessero la loro forza di pressione e di urto al servizio di una liquidazione di antiche arretratezze che ostacola\lano il libero dispiegarsi della logica del profitto. Sul quadro interno incidevano le nuove cond1zion1 internazionali. Il ricordo d, Stalln si allontanava, rischiarato solo dai lampi dei processi postumi, Khrusciov lanciava la dottrina della coesistenza, negli Stati Uniti Kennedy e la nuova frontiera succedevano a Eisenhower e Foster Dul1es; l'Europa cessavadi essere il fronte essenziale della guerra fredda e si profilava un'area del pri· vi1egio bianco dalla quale controllare il tumulto dei popoli che emergevano dal vecchio dominio coloniale. Questa operazione fu il centro·sinistra. Naturalmente non voglio ridurre tutto a uno schema, non voglio negare che forze sociali e politiche puntassero al centro-sinistra con altri mo· venti e fini. Un settore d1 forze cattoliche progressiste vedeva in quella nuova politica runica via possibile per uscire dalla gabbia del centrismo e di un rigido interclassismo; un settore d1 forze socialiste consideravano il centro-sinistra l'unica possi· bilità concreta di avviare uno scontro vincente con le forze più retrive all'interno della DC, e in questa direzione erano spinte anche dalla crisi dei Paesi socialisti, dalla fine delle illusioni del frontismo. Ma, come insieme ad altri sostenni sin dall'inizio, questi altri elementi, che pur v1 erano, non apparivano decisivi: decisiva era invece la scelta, la strategia del grande capitale. Coloro che in seguito sono stati delusi dal centro-sinistra in realtà avevano mal giudicato il quadro complessivo sin dall'inizio, non avevano tenuto conto del rappor to di forze reale, della condizione generale della lotta d1 clas· se. Sia come sia, il centro-sinistra, concepito ambiziosamente come una strategia d1 decenni. andò in rovina solo dopo qual· che anno, trascinando nella polvere il tentativo di costruire, nel· la unificazione del PSI e del PSOI, un grande partito soc1alde· mocratico di massa ispirato ad altri consolidati modelli europe1. 11terreno essenziale sul quale falli 11centro-sinistra fu, l'ho ac-

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