giovane critica - n. 29 - inverno 1971

efficace di un socialismo dove il realismo politico è indistinguibile dalla disinvoltura criminale. Un'incapacità a guardare il proprio passato e quello complessivo del paese, se non adoperando quattro formulette d'accatto. Una inattitudine solenne all'autoironia. Non si tratta solo, come pure si dice a sinistra. della crisi della gioventù intellettuale della borghesia; un sintomo della crisi generale della societ,1 borghese. un "e• stremismo" come altri, magari opposti. Si tratta invece. e tal• volta specificamente, del modo in cui si manifestano le contraddizioni sociali del proletariato intellettuale. E' un fatto di massa, ineliminabile nel quadro degli attuati rapporti di classe e di potere. Tale da investire gli aspetti fondamentali della vita: il rapporto con la cultura, quella da imparare e quella da costruire; il rapporto con il "lavoro" e con il ruolo pro· fessionale. Questioni drammatiche, ben note a chi come noi vive nel ghetto intellettuale e politico del "movimento studentesco". Noi stessi, questa rivista, siamo parte di tali con· traddizioni e non certo furbastri disponibili a chissà quale rinnovata saggezzae pronti a chissà quale intrallazzo. Si tratta di risa!ire alle matrici metodologiche e poi itiche del "marxismo delle nuove generazioni", giù giù sino alla base di partenza, Raniero Panzieri e i Quaderni rossi. Si tratta di ana, lizzare il cammino percorso. Questa è la prima domanda che vi poniamo. 2. Dieci anni di cenrro-sinistra. Il movimento operaio non ha dal canto suo gran che da vantare, Esso sconta ancora gli ef• fetti micidialt della divisione che fu all'origine del centro--sini· stra. 11Psiup conosce una crisi profonda non certo risolvibile in termini di emendamento da sinistra della tradizione vecchiosocialista. Il Pci dal canto suo sta attraversando un travaglio reale; e non certo perche qualcuno strappa qua e là una tes· sera: noi dissentiamo profondamente da chi vede prioritario l'introdurre e sviluppare nuove divisioni organizzative in seno al movimento operaio. In crisi è il corpo reale del Partito; in crisi è, basti pensare ad Aquila e a Reggio (oltre che alla Fiat e alla Facoltà di Lettere a Roma). la possibilità del Pci di te• ner dietro in uomini. idee, istituti alle trasformazioni vortico-- se della società capitalistica: in crisi è la sua capacità di approfondire i contenuti e le scadenze dell'intuizione iniziate delle "Riforme di Struttura". Predominante appare l'immagine di una lotta volta unicamente contro escrescenzeparassitarie e maligne li monopoli, i ceti inesorabilmente rentiers). Gravissima • la cesura del Partito con alcune delle componenti più vitali dille nuove generazioni intellettuali cui si stenta ad of• ~" un terrenO di verifica ideale e politica. Non si tratta 13 certo di ricamare a tavolino le distinzioni fra Riforme e Rivo· luzione; né di perdere il 99 per cento del propno tempo a fare delle brutte copie del Capitale; ne di attribuire ridicole onnipotenze al "Piano del Capitale". Ma neppure è pensabile una via italiana al socialismo che sembra fatta innanzitutto per accattivarsi i piccoli commercianti, 1e cooperative emiliane, gli studenti secchioni. Si tratta di chiedersi. ad esempio, per• ché il Mezzogiorno degli anni ·so era contrassegnato dai sin· dacalisti morti per mano mafiosa. quello degli anni '60 dalle lotte per le commissioni di collocamento ad Avola. e quello degli anni '70 è invece contrassegnato da forme di esasperazione popolare inutilizzabili dagli attuali strumenti e schieramenti della sinistra. Persino in termini di iniziative "democratiche", a un fervore straordinario della "società civile", a un momen• to in cui - come auspicava Lenin e sottolineava Brecht - si è accorciata enormemente la distanza fra il "governo" e la "cuoca". corrisponde una stanchezza, una rassegnazione dei Partiti di sinistra (tipica la reticenza a proposito del divorzio). Se Calabresi oggi è in qualche modo sul banco degli imputa· ti lo si deve alla cocciutaggine di Lotta continua. Lo stesso processo di unità sindacale, pur decisivo ai fini del rinnova, mento del sindacato e di un suo adeguamento alle caratteri• stiche e alla qualità dell'insubordinazione operaia di massa, viene visto dal PCI con sospetto, senza gettarvi tutte le sue forze. C'è stato chi all'alba degli anni Sessanta ha scambiato la via italiana al socialismo per via XX Settembre. Ma la col· pa è dawero solo di Nenni? Questa, ovvero un bilancio sto• rico e strategico del centro-sinistra, la seconda domanda che vi poniamo. 3, // socialismo degli anni '70. Il socialismo è stato per un certo periodo "i soviet+ l'elettrificazione''; poi è stato Stalin e l'Urss ("non sapevamo", scrisse Togliatti più tardi); poi lo sviluppo della rivoluzione borghese e la coesistenza. Ultimamente il quadro è stato ulteriormente scombussolato: dieci milioni di francesi che dicono no alle condizioni capitali· stiche di vita e di lavoro, la rivoluzione culturale, la Cecoslo• vacchia ("Lenin svegliati, Breznev è impazzito" scrissero sui muri di Praga). Alcuni nostri compagni di generazione vanno pescando nel patrimonio storico del movimento operaio e trovano che tutto è già accaduto. In ogni occasione tirano fuori dall'album dei ricordi la formula consacrata: "la crisi del capitalismo", "il Partito", "le masse", "la degenerazione burocratica", "l'insurrezione"; mettono in piedi un giorna· le e lo scambiano per l'hkra, con cui un gruzzolo di in• tellettuali bolscevichi inoculava il "veleno" del marxismo in

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