giovane critica - n. 24 - autunno 1970

embrione. e la prospettiva è quella di un equilibrio Instabile proprio sul punto del rapporti di potere l'alternativa sarebbe 0 mantenere aperta la crisi capitalistica. con il tentativo di una sua gestione da parte delle forze rivoluzionarie, oppure favorire la chiusura della crisi attraverso la gestione dell'arretramento del fronte operaio e delle forze rivoluzionarie nel loro complesso. Moltl considereranno questa conclusione meccanica. ma qui vale proprio t'adagio - un po' aristotelico invero - che tertium non datur: non c'è via riformistica o gradualistica. La difficoltà di trovare questo tertium è poi ulteriormente aggravata dalla persistente non riducibilità del Mezzogiorno in un disegno riformistico. Anzi. a differenza degli anni del miracolo (grosso modo tra il 1953 e il 1963)l Il Mezzogiorno torna ad essere un poten1e fattore dl destc1bilizzazione. Non è un caso che nella misura in cui I partiti tradizionali della classe operala rinunziano a una prospettiva rivoluzlonaria. e nel Mezzogiorno rinunciano anche 2lla linea di raccogliere tutte le proteste, si siano Intensificate esplosloni di protesta disponibili a una gestione di de• stra come ormai non accadeva piU dal tempi di Lauro. 4. Di fronte alla attuale crisi verifichiamo però una oggettiva convergenza di forze politiche, di maggioranza e di minoranza, che tentano di trovare quella soluzione pohtica cui si accennava. Ouesta ricerca costituisce oggi - e lo sarà ancora per qualche tempo - Il dato dominante la realtà politica italiana, una realtà anch'essa in crisi ma ancora prevalente. Proprio l'analisi di questo complesso tentativo. dei suoi temi e dei suoi modi concreti di sviluppo conferma l'impossibt!ltà di aprire una via realmente riformistica o, nei desideri di qualcunc, dl transizione al comunismo, attraverso la quallficazione dell'espansione produttiva e il potenziamento e 1a trasformazione delle istituzioni rappresentative e di quella statale soprattutto. Al riguardo è assai illuminante la vicenda del • decretane • uno e due: nel concreto le cose vanno assar diversamente - e molto peggio - di quanto I riformisti possano anche desiderare. la vicenda, non ancora conclusa, del • decretane • Illumina con sufficlent~ chiarezza quanto siano ridotti oggi in Italia I margini di una politica riformistica: sia per le fon.e del capitalismo che per quelle che, si richiamano alla classe operala (ma sarebbe poi mai posslblle un riformismo che non Implicasse una convergenza o una collaborazlone di queste due all?). Al tempo stesso questa vicenda ha messo In luce come, oggi In ltalla. I tentativi, anche meglio lntenzlonall. di fare, per cosf dire, un • riformismo di sinistra •. spingano Ineluttabilmente verso posizioni pa!eo-soclaldemocratlche, di marca bernstelnlana. 10 - Dopo le lotte di autunno e la crisi di potere da esse provocata. in teoria si poteva ammettere che vi fossero tutte le condizioni (soggettive) per un esperimento riformistico. Da una parte I comunisti avevano fatto l'apertura sull'espansione attentamente qualificata e concentravano la loro Iniziativa politica sui nuovi rapporti tra maggioranza e opposizione, sugli incontri tra sindacati e governo, sulle riforme e la prospettiva di rinnovare e raffon.are le Istituzioni rappresentative. Tutto ciò seguendo una linea - nelle Intenzioni di una parte almeno del Pci -- di progressiva dislocazione verso sinistra del baricentro dell'attuale schieramento governativo e. contestualmente. di crescita di peso delle assemblee rappresentative rispetto all'esecutivo e alle maggioranze automaticamente predeterminate da quest'ultimo. Fallito il tentativo reazionario delle bombe di Milano e dopo il successo elettorale del Psi, una analoga disposizione emergeva dall'interno dello schieramento dominante. Vi era già stata la svolta della Confindustria e ancora di pili vi era stata: 1I da parte dei politici (Andreotti plU esplicitamente di altri) la accettazione del'1 ne-ce~sità di ridar~ poten: al Parlamento e quindi in esso realizzare una cogestione dialettica della cosa pubblica tra maggioranza e minoranza; 2) da parte del managers pubblici e privati (ormai tra loro non distinguibili) delle grandi imprese. la disponibilità a realizzare un rapporto nuovo con il sindacato. in sostanza la rinuncia alla stessa • pace sociale. (intesa come pura sottomissione) In cambio di una conflittualità regolata. Forze polltlche ed economiche. compreso Carli, facevano chiaramente Intendere di rendersi conto che. per uscire dalla crisi. le riforme erano Indilazionabili, cioè che Il sistema era arrivato a un tale punto di costosltà dl funzionamento. che era necessario tagliare su alcune posizioni di rendita e rimuovere le inefficienze piU clamorose. Al llmlte. da questi gruppi emergeva l'orlentamento a fiscalluare (cioè trasferire sulla società attraverso il flltro dello stato) tutta una serie di costi (casa e salute soprattutto) che, Incidendo direttamente sul costo di riproduzione della forza lavoro, erano. - a un tempo - causa dl confllttualltà Incontrollata e di elevamento del costo del lavoro per le Imprese. Questi In fondo. credo. I raglonamentl da varie parti confluitl nel circolo della Rivista Trimestrale e all'origine della famosa svolta di lugllo del Pci. A proposito di questa • svolta • credo che tocchi. anche a me. fare una precisazione: di • svolta • si può parlare solo rispetto a una. non univoca. llnea di stnlslra emersa al Congresso di Bologna (nell'intervento di Berllnguer) e, plU mediatamente. rispetto alla • doppleua • togllattlana che è stata sostanza reale della pratica politica del Pcl. In un'ottica plU generale bisogna dare ragione a Giorgio Amendola che, nell'Intervista ad Astrolabio, ha fatto osservare che non di svolta bisogna par-

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