opereranno al <li là, in un arco di forze politiche piu vasto, della sua avventura personale. L'aver costretto il movimento comunista a rettificare l'atteggiamento verso una forza non comunista, l'averlo costretto a un tipo di unità, a un determinato contenuto di questa unità, l'aver dato realismo politico alla autonomia da Mosca, l'aprire ora l'interrogativo sulle prospettive della rivoluzione e dello Stato comunista in Italia e sulla validità attuale della scissione di Livorno non sono propriamente sconfitte storiche. Il nennismo torna ad alimentarsi nelle pieghe della politica gramsciana, perché non è sufficiente erodergli la base di classe, perché bisogna avere una risposta a livello del potere operaio, della democrazia operaia e dello Stato operaio, che sia qualitativamente diversa da quella offerta dal terzinternazionalismo e dalle sue varianti storiche. Se Gramsci ha una politica insufficiente verso Nenni, non ha affatto una politica verso una alternativa unitaria di sinistra al comunismo terzinternazionalista. A Gramsci non si chiede ovviamente che la impostazione metodologica di un problema che diventerà però politicamente macroscopico dopo di lui. E' su questo punto comunque che Gramsci denuncia la sua chiusura in un àmbito politico e storico che il movimento operaio tende a superare. Gramsci non è sfiorato dal dubbio che l'Internazionale comunista possa avere alternative a sinistra che non fossero le minoranze settarie o elitarie di matrice terzinternazionalistica che egli stesso aveva contribuito a congelare politicamente. E questo spiega perché egli non si ponga il problema di una risposta allo stalinismo che vada al di là del problema etico del garanti3mo, del rapporto tra individuo e partito, nella direzione di una 3tatualmente diversa impostazione del rapporto tra organizzazione partitica e masse non organizzate. E' durante la « svolta » del '30 ( il termine va usato con significato molto piu vasto e radicale di quello attribuitogli dalle polemiche interne del Pci) che viene clamorosamente alla ribalta l'insufficienza del gramscismo ai fini di una politica che non fosse retrospettivamente ancorata ai problemi di 5-6 anni prima. Quel che nei libri di storia del Pci viene definito co• me « volta del '30 » si riduce dopo tutto a una microstoria interna, a dibattiti e scontri tra apparati emigrati. Bisogna concepire la storia di un partito in modo unitario con quella della classe operaia e del movimento operaio per ridimensionare queste increspature interburocratiche. La questione della svolta del '30, che ha intere salo una crisi comunista in quegli anni, è ritornata a far parlare di sé in margine ad attacchi minoritari alla direzione attuale del partito. Ma il problema è posto in modo soggettivistico e può interessare solo élites culturali e polemiche pubblicistiche. E' un nuovo esempio se ce ne fosse bisogno della burocrazia mentale delle minoranze comuniste che si nutrono non di analisi reali ma di ricordi; che pensano non a livello del movimento ma a livello interburocratico. Bisogna ammettere che contro queste opposizioni Amendola ha buon gioco, anche in storiografia, perché oltre ad essere un gramsciano coerente e creativo è anchP. un dirigente che è concresciuto con il movimento, con la processualità del movimento e che pertanto pensa con i progressi e con i problemi di questo e non su suggestioni politico-letterarie. In sostanza viene affermato che nella svolta del '30 imposta al partito da Stalin e da Togliatti venne sconfitta la linea di Gramsci all'interno del movimento comunista; che da allora il movimento degenera ( per altri degenera dopo Bordiga, per altri dopo Lenin, oppure in seguito ad altre combinazioni di questi ed altri ingredienti), e che pertanto bisogna ritornare indietro a riprendere quella linea a risoluzione dell'attuale crisi ( chiedere con quali uomini e con quali forze è domanda incomprensibile a eh i pensa di dover agire al posto del proletariato). Siccome la discussione può allargarsi al fantafilologico, è corretto attenersi a quello che Gramsci significava in quegli anni non nelle discussioni a Parigi sugli or- - 67
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