una certa dcfini,ione clas,ica ciel riformismo incarnata in Turati. Trc,c, o :\Jonclolfo, senza esaminare mai casi più a111hi2ui c. per primo. quello di Serrati: cd a questo punte ha-ta anche rifarsi a Gramsci stesso, e cioè al suo arti• colo necrologico Il compagrio G. M. errati e le genera- :ioni del socialismo italiano ( 14 maggio ] 926). Oltrc ad additare la posta di Li\'orno. ossia la oeccssitit di rinunciare al hinomio contradittorio « unità del Partito ". « attività rivoluzionaria ». questo testo ci sem• bra infatti pre catare i veri termini della ccconqllista gram- .;:ciana "· e cioè. non tanto il ritorno tout court al centrismo scrratiano. benché "i ia effetti\'amcnte un centrismo nella posizione di Gramsci, tra Ta ca e Bordiga ( per [are 11orni). quanto la ripresa e la riformulazione, l'aggiornamento ad un altro livello del « serratismo ». Serrati, - e questo (u il suo merito - spezzò la tradizione bonapartista ( come dice Gramsci) del socialismo italiano, ma lo fece solo in un modo individuale ed empirico. Si tratta ora di formare ccun gruppo forte ed omogeneo di dirigenti rivoluzionari >>. A questo punto. mentre va notato che questo tema era già presente nel periodo ordinovista ( e vedi pure Il rivolu:iorwrio qualificato. in Ordine Nuovo del 20 dicemhrc 1919). ci si può chiedere in che misura quest'esigenza di formare un nuo\'o gruppo dirigente vada oltre l'ideologia della bolscevizzazione promessa da Zinoviev. E' stata appunto la bol cevizzazione a costituire, nell'interno dei rnri Pc. \'Cre e proprie frazioni votate a diventare gruppi dirigenti. Non a caso una certa storiografia si ostina a scri\'Crc la toria dei partiti come storia dei propri dirigenti: per es. avverte Spriano sin dalle prime pagine della sua toria del Pci: ccLa storia di un partito politico non può non essere in primo luogo storia del suo, o dei suoi, gruppi dirigenti» ( Einaudi, 1967, p. X). Per non tornare sulle parentele spe so rilevate tra stalinismo ed idealismo ( o materiali mo rozzo), non si può 11011 vedere, in questa coincidenza della tematica gramsciana con la bolscevizzazione, un effello diretto di quest'irriflessa eredità hegeliano-crociana che Sechi ritrovava in Gramsci". Che la holscevizzazione e più ancora lo stalinismo abbiano pun58 - lato su tutto ciò che c'era di piccolo-borghese e di surret iziamcnte idealista nei vari Pc non è un segreto per nessuno. Come non ritrovare il « caso per caso » zinovievista nell'antipo itivi ·mo, antideterminismo. su cui insiste - et pour cause - anche M. Salvaclori? Che, se c'era una domanda da fare, era quella di sapere se era stato Serrati a venire al Pc o questo a tornare sulle posizioni di Serrati. L'esame della questione meridionale - tema della relazione di M. L. Salvadori - in quanto espres ione di « una politica ancorata alla realtà », a, rebbe dovuto fornire l'occasione di un riesame sia del significato della « conc1uista gramsciana », sia del « leninismo » di Gramsci, sia del ,, realismo » di Gramsci confrontato al cliché dell'irrealismo bordighiano. Salvadori non l'ha fatto - e Corse non lo poteva fare. Non era il suo argomento, la questione meridionale, tipico del periodo della direzione gramsciana ( 1924-1926), cli questo <"Cntrismo di cui viene tacciato Gramsci? Si è dunque presto fatto notare che, ne La questione agraria di Bordiga, «il problema dei rapporti Cra operai e contadini assume una dimensione che non incontra mai il problema meridionale», salvo a dimenticare che, per lo stesso Bordiga, il libretto si limitava ad " una esposizione generica ed elementare » del problema, che « lascia[ va] da parte un esame particolare della situazione agraria italiana, còmpito 1,iù complesso a cui il Pc deve ampiamente dedicarsi »' 5 • Ma cosa vale da parte di Salvadori questo prendere a criterio di marxismo o di realismo l'esame della questione meridionale? Questo pone« al centro della sua strategia» - per il Pc d'J. - « il problema meridionale»? Si po• teva a questo punto fare una serie di domande, che certi interventi, come c1uello cli Griffone, che riaffermava in modo retorico la perennità della questione meridinale, hanno impedito di porre. E per esempio: 1) Cosa vale questo « dualismo » che Gramsci riscopre nella presenza di un Nord industriale insieme ad un Mezzogiorno sottosviluppato? Sappiamo oramai abbastanza bene - e ne sono prova per ultimo gli scritti del Fanon - quanto questa tesi del « dualismo » appartiene squisitamente al campo teorico non del marxismo, ma
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