momenti, e, questo problema ,wn è forse il problema che potre,nmo chiamare della co,nposizione di classe del partito di classe, o il problema del controllo della classe operia sul partito operaio? Non esiste cioè un problema, non di strutture organizzative, ma il problema della struttura di classe del partito? E questo mi pare un punto da cui forse si possono cavare anche molte considerazioni politiche, a patto, appunto, che lo si voglia approfondire. La stessa cosa, secondo me, o le stesse cose si possono dire a proposito di un altro punto fondamentale del discorso di Tronti: la distinzione fra tattica e strategia. Ricorre infatti continuamente nei saggi di Tronti quest'altra affermazione, la cui validità e la cui importanza anch'esse mi sembrano decisive: la tattica come intervento pratico, quotidiano, del partito nelle lotte non può essere modellata totalmente sulla strategia, anzi, quando ciò avviene, si va incontro alla sconfitta; e non poche delle sconfitte operaie derivano proprio dal fatto che, secondo Tronti, la classe ha una spontanea intuizione della propria strategia, ma non ha nessuna coscienza e nessun dominio sui movimenti tattici. La distinzione teorica fra tattica e strategia porta immediatamente con sé, dentro il pensiero di Tronti, una distinzione, direi, di rapporti fra classe operaia e strategia da una parte, tra il partito e la tattica dall'altra. Per quanto riguarda la strategia generale dei movimenti della classe operaia, il partito non ha da fare altro che intervenire, a capire e a conoscere denti·o la classe operaia ciò che la classe operaia già conosce, cioè i movimenti strategici propri e i movimenti strategici contrapposti del capitale. Ma il momento della tattica, questo è tutto demandato al partito. Scrive appunto Tronti: « Quello che viene chiamato in genere la coscienza di classe, è per noi nient'altro che il momento della organizzazione, la funzione del partito, il problema della tattica » '. Ecco, anche in questo caso io vorrei porre a Tronti un quesito analogo a quello che ho posto relativamente al problema dei rapporti fra classe e partito: ponendo la distinzione fra strategia e tattica, non ne nasce un problema dei rapporti fra questi due momenti? Stabilita la separazione fra discorso tattico e discorso stralegico, esiste qualcosa che continua ad assicurare il rapporto fra questi due momenti, esiste la possibilità di garantire in qualche modo che i movimenti tattici si svolgono complessivamente nella direzione segnata dalla strategia, anche quando ne negano o oc contraddicono alcuni momenti particolari"! Cosa distingue, io definitiva, un partito rivoluzionario da un partito opportunista e liquidatore, se non la capacità permanente di incanalare tutti i movimenti della tattica nell'alveo globale della strategia? Ecco, anche qui mi sembra che Trooti sia iocLioe a considerare risolvibile il problema nella figura individua dei siogoLi dirigenti. Cè un'affermazione che curiosamente ritorna molte volte nel libro, dico curiosamente perché questo è un libro in cui in genere non esistono ripetizioni. E questa affermazione ve la leggo in tre o quattro esempi dei piu significativi, a testimonianza, direi, del fatto che Tronti le attribuisce un'importanza piuttosto notevole. Dice Trooti nell'« Introduzione » ( p. 25 ): « Chi ha voluto lottare nelle strutture interne del partito non lo ha effettivamente fatto, perché non si era preoccupato di portarsi dietro, nella testa, una prospettiva generale veramente alternativa a quella ufficiale ». Qui si parla di coloro i quali hanno condotto, negli anni passati, in Italia o altrove, una Lotta interna al Partito Comunista o al movimento operaio, e si sono perduti alrinterno di una tattica riformistica generale, perché « non si erano preoccupati di portarsi dietro, nella testa, una prospettiva generale veramente alternativa a quella ufficiale ». Soltanto una pagina dopo Tronti riprende l'affermazione: " Tattica e strategia; tenerle oggettivamente divise, sempre, nelle cose, non confonderle mai, mai identificarle, perché una volta fatte identiche impediscono l'azione; e tenerle soggettivamente unite, nella nostra testa, nella nostra persona, e qui non separarle mai, perché qui una volta separate, distruggono gli uomini, li dimezzano, ne fanno quest'ombra grigia a cui è ridotto oggi il dirigente di partito ». E poi ancora: « l'arte leninista » [qui il riferimento è proprio al comportamento di Lenin nel processo rivoluzionario, e quindi la mia considerazione si ricollega abbastanza direttamente a quella precedente sul giudizio di Trooti a proposito di - ,15
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