giovane critica - n. 14 - inverno 1967

che per difetto di informazione - la capacità di cogliere gli aspetti propriamente politici, interni e internazionali, di questo processo di sempre piu intensa estraniazione dei soldati dall11 guerra; la stessa rivoluzione russa, con le risonanze psicologiche e politiche che non poté non avere sulla condizione dei soldati di tutti i fronti, non è presente nella letteratura di guerra italiana come un problema di cui si colga la portata; cosi i fatti di Torino dell'agosto '17, d'altronde tenuti in gran parte nascosti dalle autorità. Ci si può chiedere se quel che sfuggiva agli ufficiali, non fosse forse almeno in parte maggiormente presente nella sensibilità dei· soldati. In generali! non ritengo si possa dire raggiunto un soddisfacente grado di informazione e interpretazione di questo complesso di fatti e· di problemi, che sono fra l'altro preliminari alla comprensione storica di Caporetto e alla valutazione del ruolo delle classi subalterne in quel nodo di esigenze e di tensioni che fu nella storia dell'Italia unitaria, lii. Grande Guerra. Ma l'angolo di visuale che mi sono scelto non mi permette di andare oltre. Mario lsoeogbi 1 Il mio scritto si riferisce e tiene conto della letteratura di guerra in Italia, limitatamente al periodo precedente Caporetto. Vuol essere quindi un contributo complementare rispetto all'indagine storico-politica sulla guerra, tuttora in corso e che probabilmente troverà nuova occasione di approfondimenti, nel 1967, col cinquantenario di Caporetto. Quelle che offro, a livello fin qui pili di esposizione che di sistematica elaborazione, non sono che le macerie di un immenso materiale andato perduto e solo in parte ricuperabile. Quelli che si possono raccogliere nei libri degli scrittori-ufficiali non sono che gli echi, paniali, indiretti e qua•i sempre classisticamente orientati, del sordo diasenso e dell'angoscia pressoché impotente delle masse subalterne scagliate a forza nelln guerra. La mia documentazione sconta la necessaria panialità e frammentarietà del suo punto di vista. Ma le cl81Si ,uhalteme non hanno lasciato un loro diario di guerra. Tentiamo di ricostruirne un pouihile schema, collezionando i nuclei di verità fil. Irati nei libri degli ufficiali interventisti. :? u lo non ho mai senlilo parlare Ji neutralità e Ji intcrven• tismo. Credo che moltissimi bersaglieri, venuti da remoti villaggi~ ignorino l'esistenza di queste parole. I moti di maggio non sono giunti fin là. A un dato momento un ordine è venuto un manilesto è stato aHisso sui muri: la guerra I E il contadin~ delle pianure vcncle e quello delle montagne abbruzzesi hanno obbedito, senza discutere)) ( 8. Musso1..1N1, li Diario di Guerra, in Scritti e Discorsi, 1°, lllilano, 1934, 128). 3 « L'idea di un popolo di soldati che non facevano la guerra per patriottismo o coscienza de] dovere, ma piuttosto perché forzati [. .. ] che anda"ano avanti perché non potc, 1ano tornare indietro, questa idea non rasenta nemmeno lo spirilo della nazione» (C. MALAPARTE, La rivolta dei sanli =ledelli, 80). • « Amano la guerra, questi uomini? No. La detestano? Nem• meno. L'accettano come un dovere che non si discute. Il gruppo degli abruzzesi [. ..] canta spesso una canzone che dice: E la guerra ,ha da fa, / perché il Re accu.ssi vuol• ( B. MussoL1N1, 127-8). 5 Proprio nel democratico Jahier, cosi ricco di genuini fermenti critici e di capacità e,•olutiva, compare quella 'quarta consolazione' - l'ubbidienza - che piU massicciamente tende a risolvere l'atteggiamento del soldato in guerra nel senso d'una fiduciosa ubbidienza a poteri che lo sovrastano. « Da borghesi bi,ogna dirigersi soli [ ... ] Da borghesi il dovere non finisce colla giornata, e cfe"i sempre pensare a domani o all'av,·enire. Invece, soldato ubbidiente, sci sempre sicuro del dovere. Riposi nella coscienza del tuo superiore. [. ..] E non hai da pensare a domani. Il tuo destino non dipende da te, ti vien da fuori • ( Con me e con gli alpini, Torino, 1943, 85). 8 Può essere di qualche ioteresse ricordare come uno dei can• lori ulficiali del regime borghese e della guerra, Ugo Ojetti, si intenerisse sulle trincee dopo una sua ,1isita d'ufficio ad esse, nel febbraio del '16. crConclusione: si sta benissimo in trincea. Vedessi [. ..] Baracche ben difese, cordialità di soldati, molti comoducci [ ... ] • ( Lettere alla moglie, Firenze, 1964, p. 201). Ecco perché i soldati detestavano giornali e giornaJisti. 7 « E il sentimento delJa propria identità, di essere una per• sonn e non altra. che rispondeva a uo oomet a una memoria, a ricordi, a un passato, si smarriva insensibilmente dietro uoa nebbia • (C. ALVARO, 211). • « Stramazzino e muoiano le decine, ne sbucheranno fuori le centinaia; e se la guerra è detto che debbo finire con gli uomini, Pltalia è certo il paese che piti a lungo la durerà » (M. PUCCINI, Il soldato Cola, Milano, 1935, 140). • Guroo SrnoNt, 1 vinti di Caporelto, Gallarate, 1922, 53. 10 Ho cercato di approfondire la queslionc nel ' Ritratto • di Lussu uscito su Belfagor (1966, n. 3). 11 Nel libro in cui tenta di vedere la guerra con l'occhio sem· pllce e ingenuamente rcalislico del soldato Cola, PucCLNI scrive: - 39

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