tapcr era di quelli che meno andavano incontro a delusioni. nclrincontro concreto con il sordo dissenso dei soldati. Più pensoso e meno soddisfatto, in quella eh~ pure gli pare doverosa constatazione d\111a realtà ineliminabile, l'affermazione di Slataper non si diHerenzia trop• po da quella, successiva alla guerra, di Bacchelli: « La guerra è un mestiere e un 'obbedienza. E non si diminuisce a dirne cosi, anzi si fa umana e comprensibile, fra tanto inganno e malvagità di teorie, tanta imposizione di do,·cri e prete e al destino, in un'epoca di politici finali- ,ti [ ... ] ». :'iell'uno e nell'altro, il dato di fatto della rassegnazione come livello massimo di accettazione da parte dei soldati di una guerra basata sulla leva obbligatoria, cessa di e· ere un problema, per divenire un dato metastorico ineludibile. Ma la rassegnazione è anche qualche cosa di piu, una virtù, un pregio, volta a volta della 'razza', del · popolo italiano', dei 'contadini'. Ed è probabilmente questa la variante più diffusa e, come la più suscettibile cli propaganda. reiteratamente presente e martellante nelle colonne della stampa, nei discorsi e nelle conferenze ufficiali, al fronte e nel paese, negli interventi parlamentari; e, naturalmente, nelle pagine degli scrittori. E infatti non pochi erano i pregi sociali che, con questa sorta di attestato di lode che veniva ad essere la parola d'ordine della rassegnazione, si riconoscevano al fante, da parte della classe dirigente, impegnata nella guerra, attraverso tutti i suoi organi e ai ,•ari livelli. Rassegnazione era l'espressione allusiva e sintetica di piu verità, chiamate a moderarsi ed eludersi l'un l'~ltra; anzitutto, che le classi subalterne, fornitrici di truppa all'esercito, non avevan voluto la guerra, ma la facevan lo stesso né pensavano ad opporsi concretamente; accettavano dunque, subivano - di buon grado o no - l'iniziativa maturata fuori di esse; e questo atteggiamento di acquiescenza - implicito riconoscimento d'una condizione oggettivamente subalterna - non poteva esser priva di valore agli occhi dei ceti dirigenti. on meraviglia quindi che per qualcuno ( Baldini, Bacchelli, Sironi ecc.) lo stato di ra3segnazione venga a 30 - profilarsi, finché sembra sussistere, non solo come il naturale atteggiamento dei proletari in armi, ma anche, in fondo, come il piu confacente al loro stato sociale e quindi preferibile, al limite, a un 'eventuale atteggiamento fi. nalistico, di partecipazione politica cosciente, espressione d'una iniziativa come tale non propria di ceti subalterni. Naturalmente, non è facile trovare questa posizione apertamente di classe allo stato puro, ma essa condiziona fortemente, Era gli altri, i testi riferibili all'àmbito dannunziano e 'lacerbiano ', in cui pure si combina, piu o meno oscuramente, con aspettazioni messianiche e auspici vagamente avveniristici. Se mai sentiremo uno scrittore dolersi o preoccuparsi di questo stato di rassegnazione ovvero della forma piuttosto passiva che attiva di partecipazione, sarà, di norma ( a parte il caso particolare di Gadda) sul versante democratico-riformista degli Stuparich e, con riserva, di J ahier; negli altri, da Soffici a D'Annunzio a Lacchi, è piu facile invece leggere pagine grondanti soddisfazione per questa cristianissima tra le virtù e per l'esser essa precipua in forma eroica, del buon popolo italiano, laborioso e paziente, del buon soldato italiano, del buon fante contadino, semplice ed ignaro. E - sia detto di passata - in questa stessa moderazione di propositi, in questo contentarsi che la mancanza di adesione intima non si convertisse in protesta, in questa rinuncia, salvo nelle Erange democratico-riformiste, alla Salvemini e Jahier, ad allargare la base di consenso, è un sintomo della arretratezza e delle paure dei ceti dominanti. I giornali borghesi battono il tasto dell'eroica rassegnazione del fante umile e paziente; si direbbe non voglian prendere di petto, pretendendo adesione convinta, quelli che sino al giorno prima si poteva temere sarebbero stati oppositori attivi, politicamente orientati e organizzati; e cosi l'esaltazione dell'umiltà nell'accettazione della sorte, della rassegnazione di fronte alla fatalità, è l'insegnamento che scende simultaneamente dai pulpiti piu diversi. Anche la cultura filosofica egemone interviene a marcare piuttosto il momento dell'ubbidienza e della sot• tomissione che quello della convinzione; quando Croce,
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==