giovane critica - n. 14 - inverno 1967

tà di ritrovare nei soldati, nei suoi alpini, nella loro vitd quotidiana anche prima della guerra, nella loro psicologia individuale e sociale, le ragioni almeno potenziali di una scelta antitedesca e antiaustriaca e quindi la possibilità d'una partecipazione attiva alla lotta, che pure s'è ingaggiata - lo riconosce - al di sopra e al di fuori della loro volontà. Per cui il compito dell'ufficiale responsabile sarebbe non già di inserire dall'esterno nella coscienza dei soldati criteri e convinzioni eteronome, ma di svolgere, rendere consapevoli e organici i germi, già presenti nella vita e nell'animo del soldato-contadino, di oggettiva antitesi agli aspetti sociali della civiltà autoritaria austro-tedesca. Questo tentativo di politicizzazione a posteriori ripiegherà poi, nel corso di Con me e con gli alpini, sui moventi prepolitici dell'umana energia degli alpini nel far fronte, nell'obbedire, nel resistere, portando perciò anche questo scrittore a rifluire sul terreno comune della lodevole ' rassegnazione ' con cui i soldati accetterebbero il fatto compiuto e - implicitamente ......,l.a propria condizione subalterna. Il clima internazionale e interno parzialmente nuovo darà nel '18 a J ahier e agli altri democratici, la possibilità di riprendere in forma pubblica l'ufficio di persuasori a una guerra che, a questo punto, può finalmente piti organicamente assumere sembianze democratiche: che Soffici, dal canto suo, aveva dichiarato estraneo alla comprensione dei soldati, descrivendo, in Kobilek, il discorso di Bissolati alla trup• pa. Non che l'oratoria nazionalista avesse maggior presa su quel difficile pubblico; ce ne dà conto il Diario di un imboscato di A. Frescura (Bologna, 1921) descrivendo la venuta dell'onorevole Federzoni, capace, con la sola parola di suscitare lo spirito di ribellione di truppe costrette ad ascoltare tacendo. La direzione comunque dello impegno di Jahier, uno dei piti profondamente deliberati a non tenersi contento d'una adesione subordinata e passiva da parte dei soldati, resta - sul piano politico militare, almeno - quella di chi illumina ( « Oh se potessi portarli alla luce »), non di chi riconosca già in atto nei soldati una partecipazione motivata e persuasa. 3 « I nostri proletari avevano subito la guerra con • un profondo spirito di rassegnazione senza indagarne le ragioni e il significato [ ... ] quando i soldati [ ... J si riunivano a conciliabolo, parlavano della guerra come di una fatalità inevitabile contro la quale era inutile protestare » ( Malaparte, 46). In assenza di riconoscibili moventi propriamente politici, la rassegnazione, nell'interpretazione di quasi tutti gli scrittori-ufficiali, è lo stato tipico dei soldati semplici: condizione psicologica e atteggiamento sociale naturale e magari soddisfacente, per gli uni, la maggioranza, in quanto corrispondente a una realistica considerazione, vuoi delle cose umane in generale, vuoi dei rapporti di classe storicamente considerati ( Bacchelli, Com isso, Baldini, Puccini, Panzini, Stanghellini, Alvaro, Serra, Slataper, Soffici ecc.); condizione minima insistentemente verificata in altri, per il dubbio che la stanchezza e l'estraneità alla fine trabordino in freno se non in opposizione attiva e programmatica ( Sironi, Ojetti, Frescura ecc.); penosa, a volte sorpresa, constatazione, mai forse definitivamente accettata, fonte di inquietudine e anche di dolorosi ripensamenti in altri, in minor numero, portati a misurare l'abisso tra le idealità interventiste e l'atteggiamento di gran parte dell'esercito ( Stuparich, J ahier, Gadda, Lussu, Rossato ecc.). Isolati, e su un piano diverso, Palazzeschi e l'ambiguo Malaparte della Rivolta. « È un 'illusione credere che, in regime di neutralità, voi possiate convincere operaio e borghese a voler la guerra [ ... J Non c'è propaganda che persuada un popolo alla guerra. La guerra è un'imposizione e un'eroica rassegnazione. La guerra è un comando. Il comando verrà. » ( S. Slataper, Prepariamoci alla guerra, ora in Scritti politici, Milano, 1954, 255). Il giudizio dello scrittore triestino colpisce per la sua netta accettazione del fatto che stava per compiersi e per la realistica chiarezza con cui viene percepita la scelta della guerra come imposizione d'un obbligo da parte d'una minoranza illuminata a una maggioranza chiusa nei termini ristretti d'una considerazione individualistica delle cose. In questo senso, Sia- - 29

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