giovane critica - n. 14 - inverno 1967

postazione che taglia fuori alcuni tra italiani del secolo scorso. maggiori poeti Alludo a Porta e Belli: il primo nei saggi di Timpanaro è pochissimo menzionato, e sempre in maniera occasionale e quasi parentetica; il secondo non è nominato nemmeno una volta. Data la straordinaria ricchezza di mezzi culturali a disposizione dell'autore, e la precisione con cui li adopera tutti, quando sono funzionali al suo discorso, mi sembra da escludersi che si tratti di una omissione casuale, inavvertita. Del resto il credere che il poeta milanese e il poeta romano non rientrino in quel tema, è abbastanza coerente con il punto di vista di Timpanaro: se infatti quello che si è detto finora non ha distorto il suo pensiero, quale posto ci può essere in uno dei due partiti storici e culturali per questi due poeti, che pure rientrano in pieno nel periodo studiato prevalentemente nel libro e che sono - mi si consenta la perentorietà dell'affermazione - fra i piu grandi che la letteratura italiana abbia mai avuto? Di Porta difficilmente si può dire, per esempio, che non fosse un prodotto della « Lombardia illuminista e romantica », come dice Sapegno, con una di quelle definizioni che a Timpanaro sembrano però un bisticcio di parole. Mentre Belli - questo singolarissimo poeta che può essere detto dialettale solo nel senso letterale del termine, perché scriveva nella « lingua abietta e buffona de' romaneschi », e non perché sia in qualche modo legato alla tradizione della poesia « locale » della sua città, o a temi e modi popolareschi della classica tradizione dialettale - è uno di quei grandi in cui l'Illuminismo è « organo non asportabile », allo stesso modo che non è possibile mettere in dubbio ( anche se in questa sede non sono pensabili dimostrazioni sull'argomento) il suo cospicuo bagaglio romantico, e in primo luogo l'esigenza - non precisamente restaurazionista e reazionaria - di trovare un linguaggio che dopo secoli di tradizione colta non priva di staticità e di insufficienza espressiva fosse in imme• diato contatto con la materia da cui la poesia trae ispirazione e giustificazione. Se quindi anche Porta e Belli - le cui poetiche, fra l'altro, sono niente aHalto aHini - appaiono accomunati nel non essere concepibili per chi accetta il disegno storico-critico di Timpanaro, ecco un motivo di piu per meltere in dubbio la validità del disegno stesso, almeno nella forma schematica in cui ci viene presentato in questo pur interessantissimo libro, e soprattullo per metter in dubbio l'utilità di discutere su categorie la cui definizione sia geometricamente postulata, e non tratta dai singoli casi, compresi quelli - quando sono importanti - che meno interessano l'autore della ricerca. Nel caso particolare è probabile che Timpanaro, se avesse considerato il fenomeno del romanticismo in tutta la sua grande complessità, sarebbe riuscito ad essere del tutto convincente, oltre al resto, anche nel suo tentativo di richiamare l'attenzione su un punto di fondamentale importanza per gli studi leopardiani: la profondità e la estensione del dissidio fra Leopardi e il suo tempo. Giuoeppe Paolo Somooà 1 SEBASTIANO T1MPANARO, Cla.,icismo e illuminismo nell'Ottocento italiano, ed. Nistri Liscbi, Pisa 1965, pp. 387 L. 3500. 2 Fra i temi trascurati - per far posto in questa sede ad altri argomenti preventivi - c'é quello degli orientamenti politici e ideali della scuola romantica italiana e del gruppo del Conciliatore. A proposito di quest'ultimo, Timpanaro dice (p. 120) che ebbe « un1intonozione assai pili illuminists che romantica nel senso originario » e dimostro cosi di voler dare - come avrò occasione di dire nuovamente nel corso di questo articolo - una definizione del romanticismo formulata u a priori » ( magari con riferimento al « senso originario » del termine), piuttosto che tratta dello gran varietà delle esperienze particolari. Altra questione non trascurabile e accantonata (per gli stessi motivi di cui sopra) è quella del sostanzioso motivo di affinità, in Italia, tra classicisti e romantici: l'impronta qualificante della angust.ia di orizzonti comune, a mio avviso, a.Ile due scuole. È appena il caso di dire che questa ricerca sulle aWnità non è da contrapporre ma da affiancare a quella sulle divergenze e le diver• sità ba le due correnti. ' A dimostrazione del fatto che l'avverbio • genialmente • non è butto di un mio personale entusiasmo, vorrei riportare que• sto passo (pp. 157-8 del libro): • Come certe esperienze personali di rapporti di lavoro sviluppano nel proletariato uno consapevolezza particolarmente intensa del carattere di classe della società - 17

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==