giovane critica - n. 14 - inverno 1967

pardi fo,,,.e , òlto a dimostrare che il dissidio del poeta marchigiano con il ,uo tempo non era il frullo di malinte,i. ma un di»idio in apparenza dcllalo da passatismo e poi in cHetti grandemente anticipatore; allora la tesi di Timpanaro arebbe staia interamente condivisibile. Del resto - a prescindere dal contesto in cui è inserito 111110 lo ,forzn di Timpanaro teso a documentare. per dirla con le parole di Binni riportate dallo stesso autore. come per Leopardi !"illuminismo « non [u 'carcere• ma for7a "· appare prezioso. come è giustissima la e,i!!cnza di non contentarsi dei riferimenti ai « grandi nomi della storia del pensiero ( Hobbes. Rou seau, Voltaire. i grandi romantici ...) n, mettendo anche nel giusto rilie, o !"importanza « dei contalli. degli influssi, degli scontri fra il Leopardi e i suoi contemporanei n. Quc-ta maggiore precisione e nello stesso tempo ampiezza che Timpanaro vuole dare agli studi leopardiani, si collocherebbero nel modo piu promellente ulla strada di quel leopardi e gli altri auspicato in Classicismo e Illuminismo. se. giova ripeterlo, il complesso dell'argomentazione non fos e come strozzato in piu punti dal settarismo antiromantico. Cito un brano per tulli, uno cl.i quelli dove !"equazione romanticismo= Restaurazione non è una deduzione del lellore: « Il Luporini ha accennato molto bene ai motivi di fondo che dividevano Leopardi dai ' nuovi credenti ', e all'antirornanticismo leopardiano: molto meglio di pur insigni italianisti, i quali non vogliono decidersi a togliere al Leopardi la qualifica di · romantico · usata in un 'accezione bonne à tout /aire. che la priva di ogni preciso valore carallerizzante. Ma I.i giusta qualifica di Leopardi come antiromantico - e quindi r il cor,ivo è mio l contrario all'ideologia callolica della Restaurazione, piu tardi, allo stesso cattolicesimo liberale degli anni trenta - va precisata e integrata con lo ,tudio dei rapporti Ira il Leopardi e l'ala illuministica del classicismo italiano n. A parte il fatto che il proposito di contribuire alla conoocenza di Leopardi « derubricandolo » dalle file dei romantici, mi sembra io se stesso uo po' illusorio, va 16 - notato che la frase-manifesto citata, soprallutto se congiunta a quell'invito a studiare i rapporti [ra Leopardi P i suoi contemporanei di cui ho dello prima, rende molto bene il vizio dell'impo !azione di Timpanaro: la contraddizione fra una esigenza di specificità, che aborre dallo storicismo generico, e un irrigidimento nominalista, inteso, in parole povere, a stabilire una sorta di primato del cllecento sull'O1toceoto del quale il meno che si possa dire è che non se ne sentiva la necessità. Bisogna aggiungere che Timpanaro realizza in man iera molto conseguenziaria questi suoi moventi; dopo aver riconosciuto nella prima pagina della Introduzione che è possibile rintracciare, come ha fatto molto bene Binai, i precedenti settecenteschi di « certi aspetti piu propriamente romantici della cultura italiana della Restaurazione », rimprovera alcune pagine dopo allo stesso Binai di non aver mai rinunciato « parlando del Leopardj, a un uso vago e sfocato del termine ' romantico ' o ad espressioni-bisticcio come 'romantico-illuminista' o 'classicoromantico ' n. Inoltre ritiene equivoca la categoria di preromanticismo, e classifica Foscolo fra gli antiromantici. el complesso, quindi, al di là di ogni cautela, la opera di recisione di qualsiasi legame sostanziale fra illuminismo e romanticismo è abbastanza minuziosa. Alla prospelliva storica del Dc Sanctis ( della cui opera peraltro si dà nel libro un adeguato apprezzamento), che quei legami sentiva piuttosto profondamente, si muo- , e l'obiezione di escludere i classicisti illuministi dello Ottocento. Il rilievo può certo rientrare nel quadro di un giudizio storicizzato sull'opera del grande critico, anche se si potrebbe discutere sull'entità del danno provocato da quell'esclusione; quel che appare singolare è però che Timpanaro non avverta le esclusioni provocate dalla sua impostazione del problema. Ammesso e non concesso che possa essere lecito, in sede di indagine sull'Ottocento italiano, non porsi il problema se alcune grandi figure del romanticismo europeo vengano tagliate fuori dalla prospettiva del discorso che si fa, è in ogni caso sicuramente difettosa qualsiasi im-

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