sovrastruttura, costituisce almeno una preziosa indicazione per la moderna cultura marxista italiana. Tutto questo però non può essere qui oggetto che appunto di notazione parentetica. Il mio discorso infatti si limita in questa sede all'esame nemmeno del libro Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano nel suo oomplesso, ma di un suo solo aspetto: la valutazione che in esso è data del romanticismo. Tale valutazione peraltro non è periferica rispetto allo studio di Timpanaro: se infatti mi è consentito cercare di vedere qual è il movente non solo culturale ma anche psicologico del libro, dirò che Classicismo e illuminismo ha come presupposto una notevole dose di diffidenza e di insofferenza per il romanticismo italiano, se non addirittura per il romanticismo tout court. Una avversione che si delinea chiarissima - al di là di ogni intelligente distinguo - sin dalle prime pagine dell'fn. troduzione, e che ha come corollario un'alta considerazione delle correnti classiciste italiane del secolo scorso. È importante però notare subito che la simpatia di Timpanaro per il classicismo, non deriva certo da consonanze col classicismo letterario dei classicisti, ma dalla loro maggiore vicinanza alle grandi correnti di pensiero rinnovatrici del XVIII secolo. Da quel tanto che si è detto non risulterà difficile comprendere che espressioni del tipo « illuminista-romantico », sembrino a Timpanaro bisticci di parole e siano comunque insopportabili. E qui ci si avvicina al centro del problema: la vexata quaestio dei rapporti fra illumi• nismo e romanticismo, e della definizione dei due, diciamo cosi, movimenti; nonché l'interrogativo che il libro di Timpanaro a contrariis sollecita: è giusto, spinti da una sia pur opportunissima esigenza di chiarificazione, chiarire e distinguere a tal punto da far diventare illumi• nismo e romanticismo due fasi irriducibilmente antite• tiche? Non sentendo l'imperativo della novità ad ogni co• sto, non rimprovererò a Timpanaro che questa inter• pretazione non è nuova, e che anzi, quella dei « due se• coli l'un contro l'altro armati », è la piu tradizionale delle impostazioni del problema. Gli appunti che si possono muovere a Timpanaro sono di carattere molto piu spe• cifico. Ma prima di parlarne è necessario riscontrare - scendendo nel particolare maggiormente di quanto non lo si sia fatto sopra - la perfetta sanità del tronco sul quale Timpanaro innesta ogni ramo della sua ricerca, per discutibile che possa essere in alcuni ( non pochi, :i mio avviso) punti il suo discorso: una esigenza di speci• ficità per cui una parola deve significare se stessa, e non anche la sua vicina ; e un fenomeno deve essere visto pri• ma nelle sue componenti interne che, globalmente, in successive presunte sintesi. Questo rigore è tanto piu da apprezzare in quanto stimolato da una sacrosanta avversione per quello storicismo generalizzatore che riduce tutti i fenomeni a pochissime categorie multicomprensive, conosciute le quali si possiede sostanzialmente, grammo piu grammo meno, tulio lo sci• bile. L'avere una forma mentis radicalmente contraria a questa sorta di ignoranza ccsintetica a priori » - che imperversa anche nel campo del marxismo italiano - è di per sé un merito cosi affascinante da indurre nella tentazione di accettare tutti i singoli giudizi che Timpanaro nel compiere questa operazione via via ci propo• ne. Solo che a voler accettare sino in fondo l'invito vincolante alla specificità della conoscenza, a giudicare in• somma le cose per quello che sono e i pensieri per come sono usciti dalla mente del pensante, senza sommergerli in piu ampie sintesi del soggetto giudicante, non ci si sollrae alla verifica caso per caso anche delle singole valutazioni di Timpanaro, e delle sue scelte. La rivalutazione di Pietro Giordani Non mi propongo di affrontare un esame particola• reggiato, e tanto meno una confutazione, di ciò che Timpanaro - con molta maggiore competenza di me - scrive sulle idee di Pietro Giordani, alle quali nel libro è dedicato il primo saggio. Ma mi sembra legillimo un -11
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