giovane critica - n. 14 - inverno 1967

GIOVANE CRI1~ICA 14 inverno 1967 In morte di Mario Alicata Il ne.tso strategia/organizzazione • N 1d cinquantenario dì Caporetto . Il teatro del Fronte .Popolare Una léttera di Vietar Serge (1933) Trotskij e Céline • Léger. · Charlol •

,, Giovane critica,,------------------ è in vendita nelle ·seguenti librerie : · t BARI Libreria Laterza BERGAMO Libreria La Bancarella BOLOGNA Libreria Feltrinelli Libreria Palmaverde Libreria Zanichelli CAGLIARI Libreria Murru MODENA Libreria Rinascita NAPOLI Libreria G. Colonnese Libreria Guida Libreria Minerva PALERMO Casa del Giornale CATANI:---------..___ Libr~ La Cultura \ Libreria Urzi FIRENZE Libreria Feltrinelli Libreria Marzocco GENOVA Libreria Internazionale Di Stefano MANTOVA Libreria Pellegrini PERUGIA Libreria Le Muse PISA Libreria Feltrinelli RAVENNA Libreria Cairoli ROMA Libreria Einaudi Libreria Feltrinelli Libreria P. Tombolini Libreria Rinascita MESSINA Libreria dell'O.S.P.E. MILANO Libreria Algani Libreria Casiroli Libreria di Brera Libreria Einaudi Libreria Feltrinelli Libreria Rinascita Libreria S. Babila Libreria Scientifica SAVONA Libreria dello Studente SIENA Libreria Bassi TORINO Libreria Hellas Libreria Petrini Libreria Stampatori VENEZIA Libreria El Fontego

Autunno siciliano ( in morte di Mario Alicata) Niente ci accora come il coltello del ricordo. Questa vita, come la terra, è un sepolcro solo di amicizie di affetti di amori. Ci tiene vivi l'odio del falso dello sfruttamento della frode, il nemico di classe, la bianca balena imperialista, i Leviatani rossi da rigenerare ( e se c'ingoieranno, ci faremo rivomitare, tiepidi come siamo per ogni tirannide, vittime predestinate di tutte le guardie). Mario Alleata, come somigliavi al fratello che mi ha dato pili pene! E come somigliavi anche al commissario Rotundano, che cosi elegantemente inquisiva sui nostri delitti! Sarei pronto ad ucciderti, per le tue virtu di mafioso, se non fossi ormai un povero Abele morto prima d'esser fatto fuori da chi non avresti esitato a far fuori. Come siamo fratelli, come siamo tutti figli di questa terra, pronta a rinchiuderci nel sepolcro dei nostri furori. -1

2Ma com 'è giusta la nostra disperata volontà di vedere coi nostri occhi un mondo giusto, e vivere per questo e morire per questo. Ti abbiamo seppellito senza saperlo appunto martedi presso la « nostra » casa editrice che dopo Gramsci pubblica vescovi con prefazioni di arcivescovi. Eravamo Sergio, Juri, Giampiero, Leonardo ed altri clandestini aspiranti a cambiar le cose. E c'era pure non si sa perché un prete travestito da laico, che pregherà per noi e continuerà a fregare per i padroni. Ma oggi che ho visto il tuo ritratto sull'Unità, ho pensato subito ad Antonello lontano, e alla notizia che come un coltello l'accorerà. Forse gliela darà un cinese con perifrasi delicatissime: gli dirà che sulla piu. impossibile alluvionata via al socialismo è morto uno dei migliori opportunisti educati dal Migliore. E gli donerà un libro di massime, gli suggerirà il nuoto e altre pratiche igieniche. Ma il nuoto a che ci serve? La Sicilia non è ancora Formosa. E poi nuotiamo meglio del Ciriola. E qualche naufrago lo ripesca subito la barca apostolica. Per la rivoluzione sono piccoli i nostri fiumi, stanno tutti in un verso del Petrarca: « Non Tesin Po Varo Arno Adige e Tebro ». Nemmeno quando straripano succede qualcosa di nuovo nelle nostre città aperte ad ogni alluvione, aperte ai fallimenti delle resistenze e dei risorgimenti, agli abbracci in sant'Amhrogio col caporale e coi parroci in santa Croce e con tutti in piazza san Pietro, sino alla frana generale. Straripano i nostri fiumi, non ci si può nuotare: troppe carogne, troppe Fiat vi riescono a galleggiare, inutili i lamenti sulla cultura e la perduta bellezza,

Lo • nosmi • ca,a editrice è la ca,a e,l;trì,ce Giulio Einaudi pres,o cui per h&lfa la duruta del « marledi • ( &Ìorn<> della mo~ cu Alicata, CM apprm<kmmo '°"' rind<>mani) ci riunimmo, a raccontare il mondo, un yuppo di amici e col. laborat<>ri di Giovane critica. Il • reali, ,mo ci,,ci,aruta • è quello duumibile da/,. l'opero di un De Samu (il re&i,to, quello ,enm la • c •• come lo chiama Chiaretti), nalo appunlo in Ciociaria e la cui opero era in çan voga, anni fa, preuo Mario, « P~tro • e altri curigen:i dd Pci. • Er Ciriola •: celebre fiumarolo di Ro- ,,.... « Uno degli intellettuali ecc. • è r autore dei Saggi critici ( da non confonure con qu.elU dd povero Francexo u Sanctu), premial,ore cluariuimo, e apprn.ato ,aggi.arare cu Un popolo alla macchia e dei vf'IÌ di A Iberi<> [ M on.- adori]. le acque sono impastate di nuovamerda e di antica monnezza. E dovunque par d'essere e Cahanna. Dopo tenti anni dei fatti di Ungheria, qui non è molto, nel carcere di vetro e d'alluminio d'un albergo neocapitalista, mi capitò di incontrare Pietro, convinto assertore del realismo ciociarista e delle repressioni 'di Poznam: lui sempre tre i « buoni » col suo Pascoli, e io sempre tra i « cattivi » ( sicché accennammo discorsi assai evasivi sulle Sinistre, quasi da Comitato Centrale). I vivi rifiutano la bontà cristiana che uccide vogliono cattiveria e allegria per tenersi vivi. Ecco, i fischietti degli scioperanti alberghieri coprono le zampogne fasulle di tutti i dialogaµti, insultano ai crumiri, e a chi è solo fanno buona compagnia. Ridono. Il coraggio ride ( come diceva Saba di Gobetti e ha ricordato in morte di Alleata uno eh 'egli stimava, uno degli intellettuali protetti per cui la prosa di Longo vale e merita un giudizio critico, come la poesie del capitale). Me tutto questo è cronaca, perirà come questa buffe sagre nazionale che si celebra intorno alla morte di eminenti comunisti italiani. Gli emici i compagni per fortuna non muoiono, come sapeva l'Ulisse di Dante. Viviamo nell'inferno della storie sconsacrante, insieme nelle vendetta, insieme nell'ira, nell'onesta fiamma dell'odio fraterno che vuole purificare il mondo. Anonimo europeo -3

,, Lamento" di uno spettatore cinematografico Un lungo soggiorno fuori dell'Italia mi ha dato abitudini cinematografiche diverse. Parlo da spettatore, piu che da critico. 11 rientro è scioccante, le impressioni balorde. Come di chi, abituatosi ad una società di una certa istruzione, si ritrovi tra analfabeti. Come di un lettore, che, abituatosi a gustare i libri nella loro versione originale e ad avere amplissimi margini di scelta, sia per quanto riguarda i classici che per i contemporanei e le ulti. missime sortite, si ritrovi a dover scegliere tra insulsi fu. metti e pessime traduzioni di pochi e mediocri titoli. Con l'occhio presuntuoso dell'alfabeta, e se ne infastidisca chi vuole, mi limiterò ad indicare alcuni dati di fatto che l'abitudine impedisce di cogliere in tutta la loro madornale assurdità a chi non ha altri termini di paragone. Ripeto: parlo da spettatore esigente e non da critico. I critici, loro, si riforniscono da un festival all'altro di testi ed immagini nuove, e le retrospettive li mettono in grado - sia pure a sbalzi - di impadronirsi anche di una cultura passata. Che siano poi rari coloro che sanno approfittarne realmente, questo è un altro discorso. Non lo è invece che essi sentano cosi poco la necessità di parlare con interlocutori che abbiano una certa conoscenza 4di causa. Trascurando ( a volte: fregandosene) tutto il settore immenso della diffusione della loro cultura e delle loro conoscenze, sono condannati a raccontare e riferire, mai a discutere. Spesso se ne compiacciono, e in questo caso il loro atteggiamento è quello di una ristretta casta aristocratica le cui premesse destinano al fallimento ogni loro proposta culturale, ogni loro battaglia artistica, per forza di cose. Per chi invece sente il disagio di una situazione cosi stramba, e ne vede l'enormità, il fatto di avere la possibilità di vedere, lui, di sapere, non è minimamente $Oddisf acente: finché non si cambierà, sia pure parzialmente, questo stato di cose, egli non può non sentirsi disarmato e menomato, poiché non può sperare di avere alcuna seria influenza sull'evoluzione e le scelte di un pubblico, o anche dei nuovi autori che possano sorgere, dal suo settore piu giovane e cosciente. Non si tratta di additare responsabilità, di catonizzare veementi lanciandosi contro questo o contro quello. Si tratta appena di elencare quanto vi è di piu apparentemente normale, per mostrarne la sostanziale anormalità. Si tratta appena di ricordare che, oggi, coi quattrini della nuova legge sul cinema, con il centro sinistra, moltissime cose potrebbero essere fatte. Dover essere noi a dire alla socialdemocrazia italiana quali sono i suoi doveri e interessi minimi è di per sé costernante e paradossale, ed è un compito di cui ci si sobbarca molto a controvoglia, sgradevole, che ben po' ripugna. Ma poiché i soldi che essa amministra sono anche quelli del pubblico .meno beatamente cretino, che almeno questo pubblico si svegli ed esiga rendiconti precisi. Che non vi sia almeno piu chi, godendo dei mezzi e delle possibilità di agire di cui attualmente gode con l'ipocrisia incarnata e la falsa coscienza sistematica che gli sono congenite, continua a lagnarsi dei produttori e dei distributori, dell'ignoranza del pubblico e della sua sordità, del suo « cattivo gusto » e del suo rifugiarsi nel cinema considerandolo come puro divertimento consolatorio - tutte lamentele da epoche scelbiane, ma oggi anacronistiche. Se non si fa niente per stimolarlo e fa. vorirlo, l'« amore per il cinema » che si invidia, a parole, per esempio ai giovani francesi, non può certo ne-

scere da solo; contro tutto e contro l'azione cli sistematica diseducazione di cui si è tutti responsabili. L'elenco delle mie disgrazie di spettatore esigente nell'Italia 1967 è proposto dunque perché vorrei che il mio disagio, che non può non esistere in molti altri sommersi però nello sconforto dalla consuetudine, diventasse il disagio, almeno, di quella minoranza giovane e non deficiente che potrebbe e dovrebbe ricavare dal cinema, oggi nel mondo il piri importante, ricco, nuovo, illimitato mezzo di espressione artistica esistente, quell'arricchimento della sua esperienza culturale che nessuna altra arte può dargli con tanta desta contemporaneità. E' anche, piu egoisticamente, perché sono stanco di dover parlare cli cinema con persone la cui gamma di riferimenti e di conoscenze è paurosamente ristretta, e perché, il mio << amore per il cinema » non ha ragion d'essere se non ha mezzi per comunicarsi ad altri. [ Con chi ridiscutere i « classici » se ne conoscono solo i piu ovvi i e santificati? Per chi analizzare la riscoperta di Phil lutzi? A chi indicare le skakesperiane delizie cli Sylvia Scarlett di Cukor? Con chi discutere cli Vidor ridimensionando Our daily bread ed esaltando Ruby Gentry? Con chi dibattere sull'imporÌanza del nuovo cinema ungherese, il migliore dell'est, contro le esaltazioni di comodo cli quello cèco? E di Emmanuel Goldman, cli Glauber Rocha, di Hiroshi Teshigahara, cli J ean-Marie Stra uh? O perfino, di Olio e Stanlio?] I cinémas d'essai si contano in Italia sulla punta delle dita, Hanno, a Milano, prezzi favolosi ( 1000-2000 lire!!!), presentano solo versioni doppiate. A Roma ve ne è uno, e valgono le stesse considerazioni. Niente altrove. Come tenersi informati sull'evoluzione di questa arte bistrattata? Le possibilità di scelta sono minime o inesistenti. I film distribuiti sono regolarmente i piu commerciali e mediocri. Gli stessi cinémas d'essai non hanno una catena di distribuzione autonoma, o distributori che si incarichino di rifornirli. Debbono scegliere il meno peggio tra i prodotti in circolazione normale. Regolarmente americani, francesi, inglesi al massimo. Ignoriamo tutto del cinema svedese, giapponese, cèco ( meno un film, e certo non il migliore), della fioritura brasiliana di due-tre anni addietro, del nuovo cinema ungherese, americano, canadese, ecc. Costa molto distribuire nei cinémas d'essai film stranieri sottotitolati? No, indubbiamente. A Parigi, a Londra, a Francoforte, esistono esercenti di una o due salette che si sono messi loro stessi a comprare, e sottotitolare, film nuovi di basso costo, con spese minime, e a ripescare dalle case distributrici normali vecchi film accuratamente scelti perché la loro riproposta abbia un senso e la possibilità di un pubblico, capolavori sconosciuti o dimenticati invece dei soliti quattro Eisenstein e Chaplin fritti e rifritti. Molti vi hanno trovalo la loro fortuna. Possibile che in Italia nessuno, nel '67, abbia capito che può anche trattarsi di un affare, se solo sa farsi consigliare e sa azzardare nuove strade e cercarsi un nuovo pubblico! Quel che è ovvio in altri settori commerciali, perché impensabile in questo? Le cineteche. A Milano si danno una dozzina di film per stagione, e senza grandi sforzi cli originalità. E si che la scelta non mancherebbe. A Torino si utilizzano i soldi dei finanziamenti per comprare inutili macchinette preistoriche e si propongono cicli coraggiosissimi invero, cli tutti i film italiani del Risorgimento, compresi Il caimano del Piave, Il conte di Sant'Elmo e la Sepolta viva, oppure, quest'anno tutta l'opera del piu imbecille dei registi americani, Martin Riti. A Roma si tengono in fila, ben conservate in tante cassettine cli latta, e ben etichettate, certo, pellicole a quintali. Per chi? A Londra, a New York, le cineteche dànno dai tre ai sei spettacoli quotidiani. A Parigi, nello stesso giorno, in due sale diverse, tra le 18,30 (ma il giovedì e la domenica c'è una proiezione anche alle 15) e mezzanotte, chi ha voglia e tempo può scegliere tra i classici e i film minori ma rappresentativi, l'America e il Giappone, il muto e il sonoro, il giovanissimo regista irnkeno al primo film e gli sfrenati capolavori dei fratelli Marx, il realismo socialista e la commedia musicale. Per non parlare dei cicli sistematici che dànno la possibilità cli conoscere tutta l'opera cli un autore, o i piu importanti titoli di un genere o cli una scuola, o un'intera o quasi cinematografia nazionale (piu cli 200 film giapponesi, uno o due anni fa, ad esempio). Ma per- -5

ché illudersi? Esiste un paragone possibile tra Corona e Malraux, tra Alberti e Langlois? I cineclub. Escludendo le vite dei santi al cineforum, gli unici cineclub che resistono solo quelli universitari, quattro o cinque soltanto dei quali funzionano egregiamente. Ma in generale questi centri, che pure dovrebbero e potrebbero rappresentare oggi la strada migliore per cliifondere il gusto e l'interesse per il cinema, sono cosi poco coraggiosi, coi loro programmi tutti preveclibiJi, cosi raramente spregiudicati. Questo d'altronde porterebbe a parlare cli, o ad attaccare, la mala pianta dei « professori » del cinema, che hanno cocliiicato una volta per tutte in una insopprimibile noia accademica, modi e forme di quest'arte, ruotando sterilmente attorno a vecchie idee e vecchi esempi. Fatti apposta, si direbbe, per allontanare dal cinema chi vi si rivolgesse con interesse nuovo, attuale, vivace, aperto, a cercarvi risposte contemporanee. D'altro canto essi, i professori, sanno bene che non stimolando quest'interesse moderno difendono le loro posizioni di potere, basate per lo piu sull'ignoranza del prossimo. Sanno bene che i loro classici, rivisitati e comparati con i film da loro Liquidati con due righe nelle voluminose ed inutili storie del cinema, ne risultano sminuiti o annientati. L'abisso tra i film che si « leggono » e non si vedono, e quelli che si « consumano » diventa sempre piu invalicabile. La mancanza di attenzione cinematografica, il continuo cercarvi altro, secondo le proprie idee e prevenzioni, è d'altra parte retaggio neorealistico e contenutistico cli cui tutta l'intellighenzia italiana risente in modo decisivo. Si va al cinema per giudicare le trame, e tanto varrebbe che certa gente rimanesse a casa, sorda come è all'intelligenza· e all'approfondimento delle forme proprie di quest'arte. Ciò li porta, d'altronde, a quelle esasperanti deformazioni in cui rientra il particolare masochismo dell'intellettuale-cli-sinistra-in-crisi, per cui, ad esempio, film come Alphaville o il recente Morgan, poveri esempi cli povertà cinematografica e ideologica mascherata dalla loro compiaciuta confusione qualunquistica, li mandano in solluchero perché sproloquiano di temi « seri » e a loro intelligibili. E si tratta magari delle stesse persone che si 6guardano bene dal cadere nelle trappole di casi letterari corrispondenti, di cui anzi si indignano. Il doppiaggio. Quest'uso infame e avvilente ha fatto esclamare a Godard, con felicissima espressione, che in Italia « non si è ancora inventato il cinema parlato ». Si riferiva, è ovvio, all'uso malsano di doppiare - colmo tipicamente nostrano, inconcepibile altrove - gli stessi film italiani - con l'impressione di falso che ne deriva, c che arriva a sminuire un poco perfino opere come I pugni in tasca. Questa mala abitucline è talmente raclicala ( e certo ha degli aspetti di comodità indiscutibile quando i tratta di far recitare attori stranieri in film nostri o ochette dall'accento emiliano o ciociaro) da venir gabellata per segno di progresso. Ad una analisi attenta, si può arrivare a dire che codesto uso è poi una delle remore maggiori allo sviluppo di un « nuovo cinema » giovane italiano: ve li immaginate dei registi italiani che lavorano sul serio con la camera portatile a sonoro incorporato dei Leacock o degli Eustache? Per quanto riguarda i film « costruiti ", vi immaginate poi quali sarebbero le vostre reazioni a teatro ad uno spettacolo con un Gielgud « doppiato " dalla voce cli uno speaker di tv inglese, o anche doppiato da se stesso: lui sulla scena che agisce e muove le labbra, e la sua voce registrata su disco in precedenza, che esce da altoparlanti piu o meno stereofonici? Ma quello che altrove ci sembrerebbe insopportabile, è digerito tranquillamente al cinema ... Non si tratta, per i film stranieri, di arrivare alle situazioni eccelse e invidfahili ( benché a volte provocate dallo stato di miseria dell'industria locale) di certi paesi dove tutti i film stranieri sono presentati in versioni originali sottotitolate, ma almeno ad una soluzione intermedia per cui vi siano sale per pubblici piu esigenti in ogni città importante dove si presentino film in v.o. Tra l'altro, sarebbe un bel risparmio di soldi per i distributori di film ( i sottotitoli sono presto fatti e costano pochissimo), e un bello stimolo alla distribuzione in circuiti di essai di film che possano provvisoriamente aspirare solo a quelli - piccoli film di scarse doti commerciali, ma di profondo interesse, come sono ormai moltissime giova-

ni produzioui dell'est e dell'ovest e dei paesi « minori ». Si obbietta: il pubblico italiano non è preparato, non li accetterebbe. Ma cosi come per il sistema del doppiaggio dei film italiani si è fatto un enorme passo indietro rispetto alla cinematografia fascista degli anni quaranta, cosi per quelli stranieri va ricordato che il pubblico italiano non aveva trovato niente da ridire nei due-tre anni tra il 1944 e il '47 quando il metodo era generale, e se si è impigrito, diseducato, se è andato indietro invece di andare avanti, non è solo colpa sua. Si può fare un parallelo con quanto avviene su un altro piano commerciale, con il sistema di alimentari che assuefanno il palato ai peggiori veleni: la frode del doppiaggio ha fatto perdere al pubblico il gusto per la genuinità e l'autenticità artistica. Fesso e contento? Forse si, ma non si venga però a parlare di una situazione « sana » o « normale ». Checché ne dicano gli interessati esaltatori del doppiaggio, questa barbarie dovuta alla spocchiosa incoltura italocentrica, ogni film straniero visto in Italia è un falso, una sofisticazione, il cui grado è corrispondente al suo valore artistico, e in certi casi a potenza maggiore. Come ad es. per il recente Modesty Blaise, in cui il dialogo ha una tale importanza che nessuno in Italia può dire di aver visto il film di Losey, discutibile quanto si vuole, ma un'altra cosa, certo meno interessante, quasi una sua volgarissima caricatura. Il pubblico italiano non può giudicare delle capacità i1:1terpretative di Greta Garbo o Katherine Hepburn o Humphrey Bogart o Shirley MacLaine o Jeanne Moreau o Montgomery Clift o Marilyn Monroe, perché la loro voce è una parte fonda mentale delle loro doti espressive, e nessun italiano in Italia l'ha mai sentita. Dirò di piu: se i critici italiani fossero onesti dovrebbero rifiutarsi a rigor di logica di recensire film dop• piati. Un aneddotto. Al festival di Venezia di due anni fa alcuni critici amici, francesi e altri, protestarono con l'ufficio stampa del festival perché il film di Visconh non aveva sottotitoli d'alcun tipo e loro, giustamente, ritenevano di non essere tenuti a sapere l'italiano per forza, e di non poter obiettivamente recensire un film di cui avrebbero perso tutto il dialogo. Fu loro risposto che non si era « mai pensato » alla possibilità di chiedere alle case di produzione italiane che mandano i loro film a Venezia di chiedere l'invio di una copia sottotitolata, e che gli autori dei film presentati non avevano evidentemente mai preso in considerazione il problema ... Dei cinegiornali stranieri non si può dire siano ma• gnifici, ma almeno presentano materiali sui fatti salienti della settimana. In Italia: marcia indietro persino rispetto a J acopetti e alla In com ( e nel piano della propaganda, a «Carosello»). La SEDI e il CIAC sono cacca pubblicitaria disgustosamente propinata a masse abbrutite che non pensano neanche che è loro sacrosanto diritto spaccare le sedie sulla testa degli esercenti che gliela propinano. Esiste una legge sui cinegiornali. Si, grazie, lo sapevo. Ed esiste una commissione apposita di cui, se non erro, fanno parte anche noti critici... Questa panoramica dovrebbe ancora prendere io considerazione una logica conseguenza di questi fatti: l'assenza di riviste cinematografiche potabili, cioè vivaci, chiare, dal linguaggio preciso e circostanziato, con un apparato di indispensabile documentazione fotografica. Le poche che sopravvivono possono essere considerate come pubblicazioni, buone o meno, di tipo universitario estraneo ad ogni possibilità di intervento sulla formazione del pubblico giovane, perse in loro chilometriche elaborazionì ( spesso importantissime, non lo nego, riviste del genere ci vogliono, ma non bastano). Altro passo indietro, e non dei minori, rispetto ad esempio, al Cinema nuovo vecchia formula. Dunque, che ve ne abbia convinti o no, la situazione è quella di un pubblico terribilmente analfabeta, terribilmente disinteressato al cinema. E non vi sono schiere d'avanguardia rappresentate altrove dai giovani e giovanissimi cinéphiles il cui « amore per il cinema » nasce dalle sollecitazioni dei cineclub di liceo o universitari, dei cinémas d'essai, dei programmi televisivi (io Francia ogni settimana si dà un « classico » in versione originale, e l'indice di visione è molto alto, specialmente tra i giovani), e vi sono inoltre splendide trasmissioni quindicinali sull'opera di un regista, analizzata da critici seri, cor- -7

rcdata da brani delropera, da interviste col regista o coi suoi collaboratori, ecc. ecc. - altro che le mortali frasi fatte dei nostri « presentatori di cicli »!), delle proiezioni in cinémathèquc. di ri,·iste come Positif o i Cahiers, delle monografie tascabili sui registi più noti. ella situazione descritta da noi, come potrebbero formarsi queste schieri' o drappelli"? arebbc bene che si cominciasse a parlare seriamente di queste cose, ora specialmente che i critici, molti almeno, hanno una certa fetta di potere in mano, ora pccialmentc che finito un ventennio democristiano ne comincia uno cli centrosinistra che sta rimpastando leggi che donemo sopportare, se nascono male, per altri vent"anni. l\fa è meglio passar oltre: 11011 vorrei dare la imprc-sionc di insegnare il mestiere a gente tanto più còperta cli mc. i\Ia che si sbrighino e si muovano bene. È scocciantissimo dover fare discorsi del genere, partendo dalle cgoi tiche prirnte insoddisfazioni di spettatore esigente, e scoprirsi ridotti a spiegare paradossalmente alla borghesia italiana la strada per allinearsi con le borghesie più avanzate. In quest'Italia meschina e inguaribilmente soddisfatta della propria mediocrità, ci si ritrova anche senza volerlo e nonostante la massima attenzione, a scivolare ogni tanto in queste squallide lotte secondarie e arretrate, arretratissime. Non è questione « [ ... ] Vi prego di non provvedere all'invio con-- lra-55egno di Giovane critica. V i dirò, a me intere-5$ava esclusivamente come rivista cinematografica. Non è questione di sin~tra giovane o vecchia o sini5tra ... piU sinistra o meno di un'altra sinistra: io rritornerò vostro lettore se l'unico interes3e di Giovane critica .sarà il cinema (e i suoi problemi, s'intende). Cordiali wluti e ringra• =:iamenti )). 8Abbiamo pensato cli contrappesare il << Llamento >> di Saverio Esposito - non condividendone alcune premesse e conclusioni - con la pubblicazione di due lettere. L'una di un lettore che hn cor. tcscmcnte disdetto il suo nbbounmcnto; l'altra, nella pagina a fronte, da noi sollecitata, di un amico con cui avevamo da tempo uno scambio epistolare sui temi espliciti e impliciti contenuti nel testo di Esposito ( nostro sodale tanto stretto eia perdonarci le atroci maz. zatc di Adorniani). Ora la prima lettera si commenta da sé; purtroppo si tratta di un atteggiamento assai diffuso, favorito da tutta la dinamica (per usare un 'antifrasi) del cinc1na italiano, delle sue sedi e istituzioni. La seconda è scentrata quanto al suo bersaglio immediato 1 « l'Autore)), cui neppure lontanamente si addicono le pesanti accuse rivoltegli. Per alcuni giudizi di fondo ci sembra invece acuta e cosi inedita nella lingua di chi parla cc dc cinema » eia meritare largamente la pubblicazione. Beninteso non vogliamo metterci indenni al centro della mischia, distribuendo pene e indulgenze. L'itinerario cli Cic,.. vcme critica attesta chiaramente come questi temi siano da noi stati sentiti al fondo. sino a rimodellare In fisionomia e la portata del nostro lavoro. Non abbiamo mai avuto « amore per il cinema»; io Italia questo nffetto ha avuto una coloritura d'importazione, quasi csclusiv:Hncntc negativa, un alibi fra gli altri nel marasma de11a nostra cultura. é ci sembra utile contrapporre in blocco la cultura cinematografica francese - certo pili folta e smngata e poHforme della nostra - a quella italiana. Ahri amici, nei paraggi di Torino, stanno raccogliendo la proposta di una rivista cinematografica agevole e agibile, rapida e moderna. A noi sembra che il progetto, per usare un,espressionc cli Tristan Tzara, non esca « dall,àmbito delle clebolcz.ze europee sempre di merda si tratta »; non costituisca minimamente cioè uno strumento nuovo cd eversore nella direzione politjca che ci è cara, tutt'altro. Lo stesso richiamo al Cinema nuovo quindicinale risulta probante a contrario: que11a rivista poggiava la sua « potabilità )► su una cuhura - quella del neorea1ismo - (e una politica), di cui era espressione non volgare e non angusta. Qual è il codice in cui andrebbe letta oggi una rivista cinematografica cli quella fatta? Certo vi avverrebbe una selezione di temi e cli autori; non vi si parlerebbe de l'estate come di un prodotto culturale (come avviene su Rinascita) ma come un fatterello pornografico, fra i piti provinciali e declassati. C'è del resto chi dà l'esempio: citano Barthes, i cuor contenti, come un tempo si citava Luklles. Con tutto il rispetto, si badi bene; ma allora ha ragione Adomiani, queste non sono l< lotte ».

Come di chi ... Non è piu in u.o il lono di mpni,,rilii e aulomflic~ carwterialico da i.mpo in cui l'irnelktluale bori"- non doveva rendD" conio a ùkologie eh.e fanno a lllfflO di lui • percÌi> ,,- lo obbli1ano alla rua ( non ,alo do connì; ,i pre/erucono JKU<Sfrvi inofleruive o JKUG60ni ironici eh.e non impeinano • tlirrumrano eh.e « ci ,i ,a /are •· I critici, loro ... Qui, come ovunque, ,i inknde per ' crizico • un profe#ioni,ra d-14 ~; lo,ico quindi IGTrbbe eh.e il ~n&a non lo ino~ portuni nel mo mariere, ana lo aiuli a fuo.àorum, meiuo: cii, av11iene in/alti nei Umili cleU'u.lililà indu,~ ( a eh.e _,,, alla pan. de cam di prod~ eh.e il n,o dipendenie conoaco tutti i film di Skrnb,,ri, con p,,rlKolare riiuardo per k opae incom,,...,. o mulilakl'). Al di là di q""'li Umili gli eacluai lrovano ampio campo di lamentani e/o comolani. Non ,i creda eh.e percii, q~li ultimi fuo.àonino meno bene degli allri. Co.ternante, paradoeeale, controvoglia, agndevole, un po' ripugnante Tau ,.._pini di ag1ettivi rifuili al piccol<>-riformumo cieli' Àulore in,li,,ano div- nratificasioni di quesla lenclenza: il primo è /oTN ...a,,.in,,ùco, il -=onda vorrebbe euue lrapo e conlrvddilorio, il ~ è un alibi in 1101a fra i ..-martiri, Jli allri due una coloritura ~ ciel pnceclenle la quak, come ,i "'• non 114 mai .....re. Il pubblico E' il cardi,w di rutti i rap,namenli inlorno ai ma.a di com~ cli ""'"4• eh.e ,i vogliono 1pacciare per ·« crrf<I ~ e per « llrumenlo eclucalivo n; non eaendo un compilo /acik (<e lo /o..., a eh.e prò conlirwaTe ad -,,.cilarlo quando clelfi tneui hanno ben eh.e lrion/alo Ira il ,;..,,uo genffalel'), ,i tkve cercar d'inculcare all'individuo - eh.e ooltanto -la ma liluasione cli era- cle/irwce in,. eegral,,._,e oe,ua muli/ictuioni - eh.e fa parie, in quanto ò ,peelalore, ciel •pubblico•· Sulla ba.. di q-'impo,i,ione ,i edificano vaniloqui ,ui cliriui imprescindibili ciel pubblico, mi moi clown, gli ,i amil,w,cono colpe e mmli, lo ,i loda per la ma in1elUg"1UD e lo ,i bia,ima per la oua ,rupicl,là. P~ frequen1e il cliM:orio m cii, eh.e euo « erige n, m cii, ·eh.e gli ,i propina (lftlffldo o mmo conio cli ~ erigeru:e), m ciò eh.e dovrebbe erigere e m éiò eh.e gli ,i don-ebbe propinare. ...Tonei che il mio di.agio ... Tradol,a, runa la fra,e monerebbe : J' oi giovani di rinutra, mi- ....,,.,.. di cui faccio parie per k mie idee polilich.e veramente ri,. "°"'""""4r, cl o " e I e far ,i eh.e il vodro di,apo in.clulinlo ,i chiaruco pnn,knclo k forme del mio, cl o v e I e coruitlavre il cinema come io lo cor&lliclffo; di poi venile a me, ed inrieme... - L'imp&- rdÌPO ap,,,....,.,_ · lonlano dalla fra- cleU' A ulore è però il mado cui •&li tende e eh.e non wa percM &iò ,a eh.e allrimenli il comarnlo non avrebbe ru ,erìetà né efficaci,,; ha imparato a dare per pre--uì,ten,. cii, oh.e k me parok vo&U<>no creare murando la realtà. Con chi? ... Ma eviclenlemenle con cowro CM verranno prima o poi ad avere le aue idee ( &e &ià non le hanno), cori 1peuo e bene propa&andat-e in un certo àmbito. POO!ihile che in I talla... Non essendo riUlcito, ne&li anni in cui A è !>Ccupalo cli cinema, a farsi un quadro reafulico di co,a, a tutti i livelli, eu,, aia, r A utore si riduce ora a fare il con1i1U.U. clelf uercente, pemand<> foru eh.e ,. auccecle nei film eh.e il BT"ISO capitalukl ,i convinco alfine cleUa ienialità ciel ,uo Kribacchino e I,, ponsa a capa cklk me nuove imprue ( cinema americano degli anni '20). ciò potrebbe verificarli per davvero con un po' di buona volontà. I " profeaoori 11 Sca11iar1i conlro cli usi non è ancora démodé; cii, perché la loro immobilità o/Ire infiniti prelUti di /aci.li pokmicl-~ (in tutli i campo) eh.e naicondono inlanto la vuoie:ua cleUe propom ' nuove ' ( ma ,o. no pokmich.e Ira e&uali, • I,, dico a acan.to cl' es,er prua per un lradirionalura ). ...quelle esuperanti deformazioni ... Incredibile come, cambiando alla frase •o&&ello (inùllel~cc) • o&&etto ( Alphaville-<!cc) e ,oati.tuendoli con r Auiore e, ranto per dire, con Ruhy Gentry, il ii&nifica:o re,li iden:ico: forse è wora vero CM k diflerenu di pur.li di vina non implicano una diver» allività prali= .. .il dialogo ha una tale importanza ... Non ,i tralla di riclefinin: rutti i tumini Ula1i clall' Autore per capirne fasmrdità, ba,ra prernkr nota cklla sua intraniiiente cecità per cui &iuclica e definuce tutlo <econdo le me norioni cinemato- €"'/ich.e ( quelle ,i da riclefinire, non parlando di cinema però). ...5quallide lotte eecondarie e anetrate, arretratùsime. Perché mai ,quaUicle? ,e ven&ono /alte aperramente e con ,en, timento cli torak partecipazi4ne. Perché •econdarie? .,., tutto il "cli- ,cor,o non fa eh.e ,ottolinearne l'importanm e fa11ualità. Perché arretrale? &e veniono ,volte ai fini cli rinvi&orire k I• avan,..,,,,-clie • culturali? Ma perché lotte? no, cli u,tte proprio non si parli in ,imili quutioni; ,i u.rino termini meno ipocriti e piU adatti alla propria • volontà cl'impoterua •· Certo non è una lotta il mio brev<t ribaltere quelle eh.e corui.clero ro/klnlo cklk auurclità verbali lsimili a klnte allre, e come lanle allre e,lremamente •iinificative se per un animo ,i riace a toilierle dalla wro /unzu>ne immecliala (co,a ardua eh.e dovrebbe occupare lullo un tempo me&lw utiliz.zabile) per -coruiclerark null'altro eh.e quello eh.e all'ori~ - mal,rado tutto - erano, cioè mediuione intellettuale. [Lancillotto Adorniani] -9 "--------------------------------------------- __________ _,

Timpanaro e il romanticismo Contro rignoranza u sintetica a priori » p er tutti coloro i quali, dentro e fuori degli studi letterari, rifiutano la tradizionale interpretazione « progressista » della presente storia d'Italia come appendice - o quanto meno epilogo - del Risorgimento, si è aperto io questi anni il problema di una diversa valutazione del nostro Ottocento. lo eHetti il rifiuto dell'impostazione gradualistica non porta aJla eliminazione - e nemmeno, automaticamente, al ridimensionamento - della tematica cui essa viene applicata. Mi sembra per esempio che, non a caso, il libro che io questi anni ha piu tartassato i dogmi della burocrazia « progressiva », Scritcori e Popolo di Alberto Asor Rosa, ricerchi ( giustamente, a mio avviso) le sue premesse nelle scelte, letterarie e non. verificatesi in Italia nel pieno Ottocento. lo questo campo di indagini - anche se io un settore di ricerche molto piu delimitato nel tempo rispetto a Scrittori e P.apolo - si colloca il libro di Swbastiaoo Timpaoaro ~u Classici.3mo e illumini.3mo nell'Ottocenlo italiano 1 • Opera nella quale è presente l'intenzione di svolgere un discorso di piena attualità. Dire che questa intenzione è del tutto realizzata, è il meno che si possa fare, come dimostra fra l'altro la circostanza che Tim10 - panaro riesce spesso a passare - senza alcuno sforzo e senza minimamente aver l'aria di divagare - dal piano dell'approfondimento specialistico a quello dell'argomentazione culturale, nonché politico-culturale e metodologica, odierna. A volte anzi i due piani sono cosi felicemente coincidenti che lo studio monografico o la puntualizzazione filologica sono insieme, direttamente, discorso sul metodo. A me sembra un merito eccezionale, e comunque tale da far si che il lettore - almeno quello un po' saturo del oaziooal-populismo -, acquisisca pagina dopo pagina la convinzione di trovarsi a contatto con una personalità capace di armonizzare - a un livello insolitamente alto - la piu convincente tendenza del ·marxismo ( opposta, per intenderci, a quella di Marx allievo discolo del " professor Hegel ») con una autentica vocazione a raccogli ere quanto di meglio c'è nella tradizione illuministica, ma soprattutto io quella positivistica italiana. Sia detto di passaggio, questi connotati della personalità culturale e ideologica di Timpaoaro sono ampiamente confermati dalla lettura delle Considerazioni sul materialismo che Timpaoaro ha pubblicato sul numero del settemine 1966 di Quaderni piacentini: scritto che, se non altro per l'equilibrio e la semplicità con ·cui vengono dette alcune cose importantissime sul rapporto struttura:

sovrastruttura, costituisce almeno una preziosa indicazione per la moderna cultura marxista italiana. Tutto questo però non può essere qui oggetto che appunto di notazione parentetica. Il mio discorso infatti si limita in questa sede all'esame nemmeno del libro Classicismo e illuminismo nell'Ottocento italiano nel suo oomplesso, ma di un suo solo aspetto: la valutazione che in esso è data del romanticismo. Tale valutazione peraltro non è periferica rispetto allo studio di Timpanaro: se infatti mi è consentito cercare di vedere qual è il movente non solo culturale ma anche psicologico del libro, dirò che Classicismo e illuminismo ha come presupposto una notevole dose di diffidenza e di insofferenza per il romanticismo italiano, se non addirittura per il romanticismo tout court. Una avversione che si delinea chiarissima - al di là di ogni intelligente distinguo - sin dalle prime pagine dell'fn. troduzione, e che ha come corollario un'alta considerazione delle correnti classiciste italiane del secolo scorso. È importante però notare subito che la simpatia di Timpanaro per il classicismo, non deriva certo da consonanze col classicismo letterario dei classicisti, ma dalla loro maggiore vicinanza alle grandi correnti di pensiero rinnovatrici del XVIII secolo. Da quel tanto che si è detto non risulterà difficile comprendere che espressioni del tipo « illuminista-romantico », sembrino a Timpanaro bisticci di parole e siano comunque insopportabili. E qui ci si avvicina al centro del problema: la vexata quaestio dei rapporti fra illumi• nismo e romanticismo, e della definizione dei due, diciamo cosi, movimenti; nonché l'interrogativo che il libro di Timpanaro a contrariis sollecita: è giusto, spinti da una sia pur opportunissima esigenza di chiarificazione, chiarire e distinguere a tal punto da far diventare illumi• nismo e romanticismo due fasi irriducibilmente antite• tiche? Non sentendo l'imperativo della novità ad ogni co• sto, non rimprovererò a Timpanaro che questa inter• pretazione non è nuova, e che anzi, quella dei « due se• coli l'un contro l'altro armati », è la piu tradizionale delle impostazioni del problema. Gli appunti che si possono muovere a Timpanaro sono di carattere molto piu spe• cifico. Ma prima di parlarne è necessario riscontrare - scendendo nel particolare maggiormente di quanto non lo si sia fatto sopra - la perfetta sanità del tronco sul quale Timpanaro innesta ogni ramo della sua ricerca, per discutibile che possa essere in alcuni ( non pochi, :i mio avviso) punti il suo discorso: una esigenza di speci• ficità per cui una parola deve significare se stessa, e non anche la sua vicina ; e un fenomeno deve essere visto pri• ma nelle sue componenti interne che, globalmente, in successive presunte sintesi. Questo rigore è tanto piu da apprezzare in quanto stimolato da una sacrosanta avversione per quello storicismo generalizzatore che riduce tutti i fenomeni a pochissime categorie multicomprensive, conosciute le quali si possiede sostanzialmente, grammo piu grammo meno, tulio lo sci• bile. L'avere una forma mentis radicalmente contraria a questa sorta di ignoranza ccsintetica a priori » - che imperversa anche nel campo del marxismo italiano - è di per sé un merito cosi affascinante da indurre nella tentazione di accettare tutti i singoli giudizi che Timpanaro nel compiere questa operazione via via ci propo• ne. Solo che a voler accettare sino in fondo l'invito vincolante alla specificità della conoscenza, a giudicare in• somma le cose per quello che sono e i pensieri per come sono usciti dalla mente del pensante, senza sommergerli in piu ampie sintesi del soggetto giudicante, non ci si sollrae alla verifica caso per caso anche delle singole valutazioni di Timpanaro, e delle sue scelte. La rivalutazione di Pietro Giordani Non mi propongo di affrontare un esame particola• reggiato, e tanto meno una confutazione, di ciò che Timpanaro - con molta maggiore competenza di me - scrive sulle idee di Pietro Giordani, alle quali nel libro è dedicato il primo saggio. Ma mi sembra legillimo un -11

dubbio. per cosi dire, preventivo: la rivalutazione del Giordani, anche se fosse ciel tutto convincente, potrebbe mai portare a un discorso su tutto il romanticismo ita• liano? Secondo me no. Ragion per cui la ricostruzione dei palpiti progressisti del letterato piacentino, non mi sembra poter andare al di là ciel lumeggiamento, avvincente quanto si vuole, di un particolare tutto sommato abbastanza secondario della letteratura del nostro Ottocento. Per Timpanaro non è cosi: il discorso sul Giordani si immette, visibilmente, in modo diretto in quello su Leopardi. Non a caso il saggio sul Giordani si chiude sul tema della amicizia con Leopardi, perduta per scelta di quest'ultimo, e in particolare sulla considerazione che « l'amicizia tra il Leopardi e il Giordani fu un momento essenziale nella vita di entrambi ». Il che appare senz"altro vero, ma non fa dell'approfondjmento della conoscenza del Giordani una delle tracce fondamentali per impostare un discorso piu rigoroso sui problemi della prima metà del secolo scorso, né implica che ci si debba discostare dal giudizio che il Giordani stesse dava di sé: « Io non sono piu che un uom mediocre; ma piu conseguente e sincero degli altri e di lui [Leopardi] ». Ma su questa sopravvalutazione del Giordani getta una luce significativa - anche se non della migliore - un brano contenuto nel secondo saggio del libro, Giordani, Carducci e Chiarini: « Ma con tutte queste riserve [ cioè il fatto che nel Carducci e nel Chiarini « i pensieri del Giordani rivivevano in una forma piu angusta » ], bisogna riconoscere che l'avere scelto a maestri il Giordani e Leopardi significò per il Carducci e il Chiarini la rottura con pregiudizi religiosi e con un certo moderatismo buonsensaio ». Dove le valutazioni discutibili sono almeno due: l'implicita patente che si dà al non moderatismo di Carducci ( forse non sempre buonsensaio, ma certo superficiale e parolaio), e la ribadita profonda consonanza, nonostantc il divario delle loro stature, tra il Giordani e Leopardi, rappresentanti del pensiero senza miti nell'epoca delle involuzioni romantiche. 12 - Leopardi antiromantico? Né questa impostazione si attenua quando Timpanaro affronta il centro della sua argomentazione, il pensiero di Leopardi, nei due saggi, peraltro interessantissimi: Alcune considerazioni sul pensiero del Leopardi e Il Leopardi e i f i/oso/i antichi. Leggendo questi due scritti - e soprattutto il primo - ei si accorge di quanto sia radicata e non casuale in Timpanaro la volontà ( già incontrata nell'Introduzione e nel saggio sul Giordani) di svalutare il romanticismo, dandone una definizione non solo pochissimo indulgente alle sfumature, ma quanto piu limitativa possibile. E si vede anche chiaramente che l'ammirazione - a mio avviso eccessiva - per il Giordani, è una conseguenza e 11011 una causa di questa volontà. Né il fatto che tutto ciò non sia incoerente con quelle caratteristiche della personalità di Timpanaro di cui si è detto, con ammirazione, all'inizio, può portare ad un giudizio positivo su quello che appare il punto debole di tutta la costruzione, cioè la equazione: romanticismo= restaurazione delle vecchie credenze politiche e religiose. Certo se si accetta questo dato, tutto il resto viene da sé: la divisione del primo Ottocento in due partiti ideologici contrapposti, romantico-religioso l'uno, classicista l'altro; e la valutazione di quest'ultimo come unico erede dell'illuminismo, al cui richiamo i romantici si opponevano. Di fronte al tentativo altrui di non vedere illuminismo e romanticismo come epoche che nettamente si contrappongono, Timpanaro cita i testi, quelli leopardiani in particolare; e siccome l'impegno polemico di Leopardi verso molti esponenti e molti aspetti del romanticismo non è né infrequente né dubbio ( ed anch'io del resto concordo sul fatto che questo lato del pensiero leopardiano non deve essere né taciuto né minimizzato), ne discende - con argomentazione alquanto schematica - la classificazione di Leopardi fra gli antiromantici. A questo punto però, in una argomentazione necessariamente breve come questa, è indispensabile discostarsi dai testi e dai temi affrontati nello scritto di Timpanaro per porsi piu vasti interrogativi '.

È possibile prendere pos1z1one sul romanticismo - e giudicare quindi chi fu e chi non fu romantico - partendo e sostanzialmente rimanendo all'esame di ciò che il romanticismo fu in Italia? Intendiamoci: Timpanaro dimostra di essere piu che informato su tutto quanto nella cultura europea possa avere avuto influenza sul nostro romanticismo, o comunque rapporto con esso. Gli appunti che gli si possono muovere non sono mai certamente di carenza di ... informazione. Bensi piullosto di angolo visuale: che appunto qui è assai piu che rigoroso, restritlivo, e che non tiene abbastanza conto delle esperienze romantiche non italiane ( e quando le considera, tiene conto quasi esclusivamente di quelle che possono far apparire il romanticismo come l'ideologia del regresso). E questo non per il fallo che si dedichi troppo spa• zio, quantitativamente, a un fenomeno che mi sembra in qualche modo apprezzabile solo entro i confini nazionali, come l'opera del Giordani: infalli non si djscute nemmeno che l'analisi monografica di un lellerato minore possa essere ( e nelle fa li ispecie per molti versi è) fatica utile e illuminante; bensi invece, per esempio, per la convinzione che possano essere trovate in un àmbito dj tempo e di spazio ristretto le coordjnate della poetica leopardiana rispetto al romanticismo. Ma si badi: nel ricostruire le componenti del pensiero di Leopardi, Timpanaro è ricchissimo di riferimenti, che vanno dal pen• siero greco alle moderne filosofie e letterature, e che sono quasi tutti pertinenti, oltre che genialmente inquadrati in una concezione del pessimismo leopardiano che fa giustizia delle interpretazioni limitative, sia di provenienza positivistica che idealistica '. Ma questo dimostra appunto che il rilievo da fare a Timpanaro non è quello di ristrettezza di orizzonti intellettuali e culturali, ma, al solito, di eccessiva diffi. denza per il romanticismo, cui, per dirla in parole po• vere, viene usato un ... trattamento meno favorevole rispetto a quello usato a tutti gli altri argomenti dei quali l'autore si occupa. Il romanticismo non deve essere con• siderato un dato pérennemente immanente dello spirito, una componente metastorica della civiltà; deve avere riferimenti di tempo e spazio, sociali etc.: benissimo. Ma volerne tagliare i confini con l'accella, amputando ampie porzioni del fenomeno, è nient'altro che correggere una deformazione con un'altra deformazione•. Questa ristrettezza ( soltanto su questo punto), questa « italianità » dell'impostazione di Timpanaro, la si ricava, non sembri strano, piu dai riferimenti che nel libro mancano che da quelli che ci sono, e da ciò che si avversa piu che da ciò che si afferma. Fra i passi piu polemici del libro di Timpanaro vi sono quelli in cui si cerca di confutare - con apprez• zamenti non sempre lievi - la concezione del romanticismo di Sapegno e il suo giudizio sui rapporti tra Leopardi e il romanticismo: « Si è finito col fare di 'ro• manticismo' un sinonimo di 'civiltà liberale-democratica del secolo XIX', o addirittura di tulio ciò che nella arte e nella lelleratura ollocentesca non è fredda acca• demia e imitazione inerte del passato. Cosi Goethe, Foscolo, Leopardi, Heine, Callaneo - per citare soltanto i nomi di avversari espliciti del romanticismo - sono stati aggregati, loro malgrado, alla scuola romantica. Il culmine di questa tendenza storiografica si riscontra nel Sapegno, il quale giunge fino a considerare come un romantico Marx ». Non mi è possibile citare per intero il capitolo III del III volume del Compendio di storia della letteratura italiana, se non per rimandarvi il lellore, a verificare se Sapegno concepisca il termine romanticismo come « bonne à tout /aire » ( per usare una espressione di Classicismo e illuminismo) o se invece si preoccupi di dare al discorso l'apertura che l'argomento merita, partendo dal panorama delle trasformazioni romantiche viste in tutto il loro contesto europeo. Vorrei comunque riportare alcuni brani che mi sembrano indicativi di una concezione che non può assolutamente essere assimilata a quello sto• ricismo generalizzatore che si è deprecato all'inizio: « I romantici, senza toglier nulla a questa esaltazione della libera ragione umana, vi aggiungono una considerazione - 13

storica p1u ampia; scoprono, uella varietà delle regole e delle forme adottate presso i diversi popoli e nei dirnròi tempi. uu ·armonia e un ordine; in quel cumulo di errori. di superstizioni, di pregiudizi, rinvengono una linea fatico·a di progresso: al relativismo ingenuo e sommario sottentra un piti maturo storicismo ( o, per meglio dire. si irrobustiscono e salgono in primo piano quelle correnti storicistiche, che esiste,,ano già nella cultura ciel Settecento), quindi una valutazione piti equa, e non meramente negativa, del passato e una maggiore attenzione a non rompere con esso tutti i ponti, a farne scaturire con graduale trapasso gli spunti e gli avviamenti ciel progre so presente e futuro. Occorre non esagerare nel contrapporre al razionalismo illuministico lo storicismo romantico, non solo perché il secondo prende le mosse dal primo e ne accetta l'eredità, si anche perché altrimenti si corre il rischio cli sopravvalutare certe tendenze retrograde, che nel romanticismo esistono senza dubbio e prendono a volte ( in determinati momenti e ambienti) il sopravvento, ma non si può dire ne costituiscono la caratteristica essenziale e durevole»'. A parte alcune riserve sui termini di ,e armonia » e ,e ordine » inserite in questo contesto, mi pare che questo brano dia alcune indicazioni generali ma concrete sul perché sia sconsigliabile una identificazione fra romantici mo e Restaurazione. E questo riguarda anche Leopardi, non meno dei suoi contemporanei. Nella deprecata da Timpanaro Noterella leopardiana (che è del 1948), Sapegno scrive: « E romantico è il contenuto piti genuino della sua sensibilità e della sua umanità; romantica la idea, a cui approda n'el momento culminante della sua riflessione, cli una poesia come pura lirica, palpito del cuore nella sua immediatezza e momentaneità, voce del sentimento che procede ovvero annulla ogni intervento intellettualistico; romantica la stessa soluzione pessimistica della sua travagliata meditazione ( che pur nasce e si svolge nell'àmbito del razionalismo e materialismo settecentesco), e persino l'atteggiamento non rassegnato ma polemico contro il destino, il suo grido di uomo « reni14tenie al fato », atteggiamento che trova parziali rispondenze e consonanze non casuali negli spiriti fraterni di Goethe e di Hoelderlin, di Byron e di Shelley, di Vigny [ .... ). Che poi Leopardi svolgesse la sua esperienza letteraria in senso divergente, e talora opposto alla via segui• la dalla scuola manzoniana; che per un altro verso non si piegasse mai alla concezione del liberalismo moderato, è pur certo; ma né è giusto circoscrivere il romanticismo italiano e tanto meno quello europeo, nei limiti delle esperienze ciel gruppo lombardo, né si deve dimenticare che la ribellione leopardiana alle illusioni dei moderati non approda da parte sua in modo stabile e coerente a un concetto piti rivoluzionario della storia e del progresso umano »•. Quel sentimento che in Leopardi annullerebbe " ogni intervento intellettualistico » è probabile che non sia piaciuto a Timpanaro ed anche a me sembra che - nonostante Sapegno adoperi il termine « intellettualistico » e non « intellettuale » - questa singola frase possa offrire spunti a quell'interpretazione di Leopardi che tende a scindere il piti possibile la poesia leopardiana dal pensiero leopardiano. E capisco come, per contrapporsi a questa interpretazione, si voglia scrivere sulla poetica di Leopardi un saggio dedicato proprio al pensiero leopardiano. Non mi sembra però si possa dire che questa affermazione della Noterella sia quella determinante agli effetti della valutazione che Sapegno dà delle componenti romantiche in Leopardi. Per questo condivido nel com• plesso il brano di Sapegno sopra citato. Né mi pare arbitrario ritenere che ciò che nella Noterella disturba piti Timpanaro, è proprio quel ribadito invito a giudicare il fenomeno romantico con parametri piti ampi. Prece• dentcmente ho mosso a Timpanaro - con le opportune cautele chiarificatrici - il rilievo di eccessiva « italianità » del suo punto di vista nel giustiziare il romanticismo. Vorrei adesso riprendere questo giudizio, tentando di argomentarlo ulteriormente. Mettiamo per un momento da parte il romanticismo come categoria - con tutte le incertezze che com•

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==