giovane critica - n. 11 - primavera 1966

rio ... », e rifi~ta la confessione). Invece che collaborare io questa direzione, la gente di teatro e la politica culturab del movimento operaio pretesero dagli « Attori Associati » la poesia, il personaggio a rilievo, le strutture narrative complesse, ecc. E venne a manc8l'e ogni appoggio, quando non si giunse al sabotaggio. l t Ho trattato di quesla definizione (( contemporanea » del termine « popolo re» io altra sede ( v. Il problema della narrativa cinematografica popolare, nel voi. dedicalo alla sceneggiatura dc 1 compagni, edit. Cappelli, pp. 13-39). I migliori tra i giovani autori cominciano a rifiutarsi alle mislificazioni del teatro pseu• dopopolare. « Un teatro veramente valido - nota G. Scabia nel corso di un'intervista ad un quolidiano - deve essere totalmente contemporaneo. Non credo che oggi si possa parlare, come si usa, di: ' pubblico popolare senza discriminazione di censo e di clas• si'. Esistono ancora una classe operaia, una piccola borghesia, una borghesia? Se si, bisogna cercare di vedere come si con{igu• rano nel movimento generale della lotta di classe, come sia agendo su di loro il mito-realtà della società opulenta come li conformano, in che misura, i mezzi di comunicazione di massa tenuti in mano dal potere politico economico, e come il potere politico economico tende a integrare la classe operaia con una oper:izione parallela a quella con cui cerca di integrare la cultura. Come, in queste condizioni, agisce la classe operaia, ecc. L'idea di un teatro popolare va alfrontata su queste basi. La popolarità del teatro non può consistere nel fatto che lo spettacolo piace a tutti o arrivo, in qualche modo, al vasto pubblico. Io credo che la popo• larità consista nell'agire sui miti collettivi, sulla lotta in atto, sui punti nodali della contemporaneità. Anche facendo violenza, ma evitando quella forma di falsa coscienza che è l'upologetiea. E senza quelle preoccupazioni di medietà (' dobbiamo rispettare le diverse opinioni del pubblico, niente estremismi! ') che portano poi all1autocensura e all'accademia. Invece la mediazione e la partecipazione della collettività per portarla a rivivere criticamente attraverso il teatro ciò che quotidianamente vive; proponendole un'interpretazione-analisi e chiedendole una presa di posizione 11. 12 Invece il principio organizzativo era giusto: la costituzione di gruppi teatrali in mezzo ai compagni, i copioni collettivi, l'impegno a collaborare tra operai e intellettuali, i copioni modificati poi al momento delle prove con gli uttori e registi e poi ancora secondo le reazioni del pubblico, la divisione dei compiti, la par• tccipazione popolare. L'errore stava neH'infatuazione e nell'uso pletorico dei mezzi ( trasparenti, luci, commento musicale, balletto, maS!e di attori, commentatore, coro parlato, coro cantato), nel rilcncrc che nel teatro di massa il problema degli allori fosse di soluzione facile poiché le scene recitate erano poche e brevi, indipendenti l'unn dall'altra, legate solo dallo speaker: un operaio, dunque, recita efficacemente (si pensava) una parie di operaio, un pnrligiano una parte di partigiano. ccc. Ma sopraltulto il guaio slava nella carenza dei conlcnuti, nella traduzione catechistica e monumentale delle parole d'ordine del partito, nel semplificare in forma celebrativa i concclli. 13 l...1Enal, ossia, per staluto, « l'cnlc preposto all'a sistcnza dei la\'Oratori, il quale esplica le sue alte funzioni cducati\'C organizzando corsi di bel canto, di lingue estere, di ricamo, di pillura, cl: gare di canti di uccelli. gite turislichc, gare di fotografie [ ... ) ». Sui teatri aziendali, in cui il padronato offre i mezzi per una cultura scissa dal mondo degli interessi reali dei lavoratori, si veda il quaderno citato del Cut geno,•ese. Per il T.P.1., inaugurato nel marzo ciel 1960, Gassman si fa. ceva premura cli precisare che « la parola popolare noo era una indicazione di classe sociale. Non vogliamo sostituire il pubblico borghese con quello proletario. Ma vorremmo soslituire un pubblico poco intelligente con quello piu intelligente•· Era l'ambizione del tradizionale intellettuale italiano perché il popolo, la massa degli spettatori, si disponga in cerchio intorno al mattatore, ed applauda e impari. Una concezione tra goliardica ed egocentrica: l'immenso tendone mobile che. arrivati al punto, non si muove e gli architetti ne dànno la colpa al1a megalomania del capocomico; i comizi nelle piazze e nei cinernalografi; il pro• posito di lavorare come operai al monlaggio del circo; l'intenzione di trasformare il circolo in un dancing per una sera di ballo o di montarvi qualche volta un ring al centro per indire delle riunioni di boxe, ccc. A coronamento dei propositi, ecco la pratica che naturalmente consegue: inaugurazione con un « testo popolare» (nazional-cattolico) come l'Adelchi. in una esecuzione pasticciala e mag·niloquente; e poi il resto popolare: l'Orestiade di Eschilo, Un mar=.iano a Roma di Flaiano. il rimaneggiamenti.> di Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, l'allestimento di quattro recitals che consentono il primato del mattatore e la percussione di emozioni epidermiche su un pubblico ammassato. sempre senza una ragione interna. In breve J1impresa fallisce. Il capoco1nico se la prende con il teatro in crisi, con la gente, con lu crilica. Decide di piantare l'impresa e di pro,•are in altre direzioni. Invia una troupe del T.P.I. nelle sedi italiane dell'ltalsider per portarvi il teatro. Ancora spezzoni, antologie, aggiungendo il paternalismo istrionico al paternalismo del circolo aziendale. hfa intanlo si volge al teatro missionario: ha scope rio Danilo Dolci e ora pensa di percorrere da un capo all'ahro l'itinerario sici~ liano, \•illaggio per vi11aggio, umile con gli umili, improvvisando recile nelle piazze, nei casolori, alln testa di un gruppo di attori reclutati senza pago e tenuti insieme senza contratti e ordini del 57

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==