giovane critica - n. 11 - primavera 1966

Tlio socialista. o comunque che in esse il movimento ope• raio avc~"lc il pc-;o rnaggiorc, l'« egemonia ». Da ciò la continua difc,a degli ideali antifascisti in quanto« rivoluzionari » e un costante richiamo alla loro « attualità ». li terzo periodo è quello che tiamo vivendo: la Re- ,i,tcriza è ormai integrala uei margini riformistici del ccntro-,inistra c del ucocapitalismo, è entrata a far parte dcll"uHicialiti, governativa. Ed è un fatto che il suo continuo « consumo » - alla TV, eccetera - di tipo celebrati, o e retorico " tradisce» incontestabilmente il genuino piglio popolare e la autentica passione progressista che animarono il movimento partigiano. Tuttavia, di fronte alle manifc-tazioni unitarie che ,·edono insieme uomini dalle idee più di,cr-c, di fronte al conclamato antifascismo di tanti consen·atori, qualche dubbio sorge. E non soltanto ,u!!li attuali opportunismi, sulla eHcttiva capacità di una formula. l"antifasci,mo, che oggi copre anche gli interessi più conscn·atori: ci chiediamo invece se certi limiti, certe ambiguità di fondo non siano riscontrabili già nella stessa Resistenza, perché ci sia la possibilità che i suoi ideali vengano u•ati per fini contrastanti. E non crediamo di scostarci dall"argomento, se il nostro scopo era proprio quello di scorgere alfinterno dell'antifascismo quelle caratteristiche e quegli elementi che lo portarono in crisi. . elle cl iscusion i sulla Resistenza - che nel 1965, per ii Ventennale. ,ono state uurncrose- ci ono alcune costanti di fondo, e soprattutto molti equivoci, che vengon fuori quando qualcuno mette l'accento sui limiti piuttosto che sulle , ittorie. Abbiamo quasi l'impressione che - nella .ua maggioranza - la generazione dclranti[ascismo ~i rifiuti. talvolta incoasciamcntc, ad un profondo riesame del pa-•ato, perché ciò significherebbe mettere in gioco o sciogliere io modo problematico le convinzioni e le scelte di una ,·ita intera, addirittura le responsabilità di ognuno. Ciò, -appiamo, è molto diHicilc. Del resto non è nelle nostre intenzioni fare un processo alla " generazione degli anni diHicili » sulla base del metro anagrafico, del contrasto adulti-giovani. Basterebbe a confutare un tale tentati, o la presenza di uomini - non molti, a dire il vero - cresciuti proprio quattro o cinque lustri avanti a noi, i 26 - quali hanno seriamente compiuto un attento esame delle proprie scelte e convinzioni. In sostanza, l'equivoco fondamentale di tutti i discor• s: sulla Resistenza è che diHicilrnente si esce dal dilemma: accu a-difesa. Sembra quasi che non ci siano altre possibilità che quella di fare, da una parte, un « processo alla storia », dall'altra un esame della storia« nel suo processo»'. La questione, cosi impostata, non va oltre un facile moralismo contrapposto ad uno storicismo facilmente « giustificatorio ». In questi termini si muove ad esempio Emilio Sereni' in un saggio accurato: qui le considerazioni che abbiamo precedentemente svolto sulla generazione dell'antifascismo ci sembra trovino evidente conferma; tutlu - critiche, contrasti, diHicoltà - si raccoglie in una perfetta armonia, linguistica e di argomenti, di cui non si s:: se ammirare la capacità dialettica o irritarsi per la vuota fraseologia. In sostanza Sereni si trova a dover rispondere a due ordini di obiezioni: la prima, piu seria, di L. !agri, econdo il quale il frontismo è stata un'alleanza« che lasciava impregiudicate le distinzioni di fondo [ ... ] rappresenta cioè la forma dell'unità omogenea a una strategia rivoluzionaria nella quale permane illiquidata la distinzione fra momento democratico e momento socialista ». La risposta di Sereni tende a rivendicare il carattere offensivo dell'antifascismo anche dal punto di visi.a operaio - cosa questa che ci lascia fortemente perplessi - sino a formulare la straordinaria frase: « proprio la politica dei /roT1ti ( e non cerio quella cieli'' alternativa globale' del ' classe contro classe ' o, peggio ancora, quella delle declamazioni trotskisteggianti) rappresentò in realtà, nella nuova situazione storica, la concreta applicazione della geniale teoria marxista della rivoluzione permanente » ! All'accusa poi che il piano fosse rimasto « quello della democrazia borghese », si risponde proclamando il carattere « rivoluzionario » dell'antifascismo, che in quel momento rappresentava il maximum, la punta avanzata della lotta di classe. La seconda obiezione, assai meno seria, muove all'antifascismo l'accusa di non esser riuscito a raggiungere il socialismo, e quindi di essere stato sconfitto. A tale affermazione Sereni risponde che ciò sarebbe vero, se effettiva-

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