giovane critica - n. 11 - primavera 1966

dici anni, e non è ancora [inita.) »". È qui esplicitamente indicato il modo ingenuo e illusorio con cui tanta parie degli intellettuali italiani credette di giudicare il periodo appena trascorso e di « programmare » la fu. tura attività, sollo specie naturalmente politica. Ed è anche chiaro come io queste formulazioni abbia giocato molto il ruolo dell'antifascismo crociano, che particolarmente nel problema del rapporto fra cultura e prassi doveva ingenerare parecchi equivo,ci nei dibattiti del dopo• guerra. « Già Croce sin dalla prima guerra mondiale aveva messo sotto accusa gli intellettuali che contaminavano la cultura con la politica rendendo bassi servigi ai governanti dell'ora »: cosi N. Bobbio " descrive la prima fase dei rapporti fra intellettuale e politica in Italia. Non staremo qui ad insistere sull'astrattezza di quella posizione che non dichiarava esplicita la natura sempre di parte e quindi sempre « politica » di ogni cultura. Vogliamo dire però che quella scelta, se la vediamo come scelta tattica, di difesa arretrata cui il fascismo costringeva io quegli anni, poteva ancora avere un valore, se pur minimo; svela invece tutto il suo carattere idealistico e conservatore nel momento in cui diventa « teoria », scelta generale nei confronti del rapporto politicacultura. E questo limite di fondo è alla base delle discussioni del secondo dopoguerra. Dice ancora Bobbio 15 : « La seconda fase fu quella della Resistenza. Il rapporto fra politica e cultura ci parve rispetto alla prima fase, invertito. Mentre là era la cultura a servizio della politica, qua la politica, la nuova politica, diretta dalla cultura, alla quale sembrava fosse assegnato il compito straordinario di porsi alla testa del rinnovamento nazionale. Che cos'erano stati gli intellettuali fino ad ora? Nulla. Che cosa stavano per diventare? Tutto. Dopo l'abiezione era venuto il momento del riscatto. » Oltre all'ingenua illusorietà e agli equivoci che avevamo notato in Calvino, è presente, in quest'affermazione di Bobbio come io Vittorini, un senso della Cultura quale aristocratico regno di valori, di essenze univer ali in quanto tali: l'origine della cultura non è una autogcnerazionc dal seno stesso delle contraddizioni, della realtà empirica e pratica: la Cultura si deve interessare della realtà empirica per dirigerla, governarla alla luce dei suoi universali valori. Sembrava insomma che si fosse costretti dal.le circostanze a scendere sul terreno politico, ma non per una interna esigenza, beasi per momentanea necessità. Senza dubbio in quegli anni la cultura fu attiva, impegnala: ma con una continua riaffermazione e richiesta di indipendenza dalla « politica " ( e fu grave errore e mistificazione aver detto il contrario) che riportava il dibattito :: posizioni arretrate, « liberali ». È questo il senso dello scontro tra Vittorini e alcuni dirigenti del Pci, fra cui lo stesso Togliatti. Non si trattava, come ammonirà assai giustamente Franco Fortini, di richiedere autonomia culturale, ma autonomia di proposte politiche contro altre proposte politiche: « La rivendicazione di autonomia culturale, la richiesta di poter continuare senza scomuniche un certo lavoro di indagine culturale, era una richiesta politica »1 •. Insomma, non si comprende che cultura e politica erano - e sono - la stessa cosa espressa con mezzi diversi; e non lo si intese perché ciò avrebbe significato completa e tutta « qualitativa » novità rispetto alle condizioni idealistiche, e tuHato le sacre vesti della cultura nello stesso movimentato mare in cui sono e la genesi e la funzione pratica dell'attività politica. Lo stesso Fortini, in una lettera a Vittorini dopo la fine del Politecnico 17 , chiarirà perfettamente il nocciolo della questione: « L'errore nel quale tu stesso sembri talvolta cadere, è quello di credere che l'unità fra cultura e po• litica sia una trovata provvisoria, un matrimonio di ragione [ ... ). Per me invece è evidente che [ ... ) sono la medesima cosa [ ... ) che, insomma, contrasto si può avere soltanto fra due teorie e due pratiche; e che ogni volta che un pensiero non ha le mani o le ha deboli o che le mani non han pensiero o lo han fiacco, saranno un astratto ' pensiero ' e una volgare ' politica ' ». Ricapitolando: se avevamo indicato nella volontà di - 23

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