GIOVANE CRITICA 11 primavera 1966 Ideologia e ipotesi estetiche nella critica del neorealismo Vittorini e Sciascia Sinjavskij e Pasternak Eisenstein e Ford
Due grandi novità Einaudi BERTOLT BRECHT TEATRO Tutto Brecht in un solo volume in carta india della « Nuova Universale Einaudi», con una prefazione di Hans Mayer. Un avvenimento editoriale e culturale. 2279 pagine 4500 lire GEORGESSADOUL STORIAGENERALE DELCINEMA LE ORIGINI E I PIONIERI (1832-1909) L'autorevole studioso francese ci ha dato la piu completa e documentata ricostruzione di quello straordinario fenomeno tecnico, sociale e artistico che è il cinema. 841 pagine 299 illustrazioni 9000 li.te Nelle librerieo presso l'agenziadi vendita rateale Einaudi,corso Sicilia 1O, Catania
Nuove metodologie per nuovi valori Caro Mughini, è significativo di una situazione il fatto che quasi contemporaneamente, in sedi diverse, nascano interrogativi sulla funzione della critica cinematografica: da una parte l'incontro svoltosi a dicembre a Cisterna di Latina, che ha sollevato il problema del rapporto tra il critico e il pubblico e un dibattito che continua tuttora sull'Avanti!; dall'altra parte la lettera di Mario Cannella. comparsa sul n. 9 di Giovane critica. Le piste sono confuse, le alternative sembrano cancellate. Fare critica alla vecchia maniera è insufficiente, ma l'appello a « nuove metodologie » sembra incoraggiare un « tono asettico e disinteressato "· Per sbloccare la situazione ci si richiama ai valori ideologici fondamentali in tutta la loro chiarezza, come agli unici in grado di evitare ogni ambiguità ed ogni misti/ icazione: nel discorso sull'opera cinematografica si deve sentire il « giudizio sulla realtà e sulle forze a cui ci si rivolge », come dice Cannella. Ma parlare dei valori assume diverso significato secondo i contesti o il pubblico a cui si parla. Di qui la necessità di creare un contesto proprio e un pubblico nuovo. L'esigenza di connettere discorso sull'opera cinematografica e valori socio-culturali piu ampi, se da una parte i, pienamente condivisibile, dall'altra diventa rischiosa, se non si tiene conto di alcune condizioni. Ho avuto l'impressione che Cannella considerasse la connessione tra f ilni e valori cosi stretta, da assumere per garantita in ogni caso la possibilità di riscontrare questa connessione. È chiaro che da questo punto di vista diventa secondario il problema epistolario della metodologia, delle tecniche che consentono tale opemzione. Io penso invece che soltanto disponendo di tecniche e metodologie efficaci sia possibile concretizzare l'esigenza di saldare l'opera cinematografica e i valori o disvalori socio-culturali, nei quali essa si inserisce e che la condizionano. Le aspirazioni che rimangono tali, che non riescono a organizzarsi empiricamente fanno ripiombare nell'astrazione o nell'idealismo o in forme di complessi o scompensi. Per questo motivo sento la necessità di intervenire a favore della metodologia, che non credo possa essere con/ usa con pratiche consolatorie o dilazionatrici delle cose che ci premono. I valori che abbiamo scelti divengono operanti nella misura in cui sono ancorati a tecniche che ne garantiscono l'efficacia. Esiste d'altra parte il pericolo che i valori rimasti allo stato di aspirazioni si smarriscano o si deteriorino: il destino e la sopravvivenza dei valori in determinati settori è legata alle tecniche che li inseriscono in questi settori. Cannella dice: « io sinceramente mi sento quasi incapace di scrivere qualcosa su Antoniani o sull'ultimo film di Visconti, se prima non chiarisco ciò che mi urge dentro, con la rabbia necessaria, se non parlo cioè di A mendala, del neocapitalismo, della crisi del movimento operaio, della coesisten=a pacifica, ecc. "· Si può concordare con questa esigen=a, ma il punto importante è qtiesto: come si compie questa opera=ione? Soltanto riuscenda ad evitare meccanicismo o giustapposizione estrinseca, la connessione tra f ilni e valori diventa significativa. Questa connessione può essere teorizzata, ma di fatto viene dilazionata, se non si tiene conto della necessità di evitare due posi=ioni opposte: 1) parlare prima del f ilni e appiccicarvi in séguito qualche dato sociologico generale; 2) usare quadri globali dello status della società e inserire meccanicamente in essi i film in questione. Nel primo caso non si coglie nel film il segno di una realtà precisa; nel secondo -1
si fi11isce per usare il fi/r,• come semplice esemplificazione di altro: ne/ primo caso si perde il contesto, nel secondo il film. Il problema è allora questo: reperire tecniche che conse11ta110di saldare i due punti. No11 si tratta di parlare del «socialismo» dopo o prima del film, non si tratta di cmticipare o ri,wiare: si tratta i11vece cli rintracciare fili co1111ettivi cl,e permetta110 di parlarne insieme (fili che non defi11isco a priori nella loro totalità, ma rintraccio di 1·0/ta in 1·0/ta rispettando certe condizioni generali). Ciò è ben lontano dal considerare l'acquisizione di una tecnic,1 come un toccasana: /e tecnicl,e sono molteplici e pluridirecio,wli. L'orizzonte in cui muoversi è costituito dall'integracione di tecnicl,e diverse cl,e consentano un'integrazione di di•·ersi piani di realtà. La metodologia allora non è soltanto piu 1111 discorso formale, ma diventa esercizio critico in base a determinati presupposti: e in questa direzione io credo che si. stia già lavorando, come dimostra per esempio proprio GioYane critica. n questi presupposti non s: corre il pericolo di cadere in un « tono asettico e disinteressato »: a11zi sono talmente interessato che voglio dare basi e sostegni ai valori che ho scelto. •I questi problemi si lega strettamente la questione del rapporto critico-opera-pubblico, sollevata dall'incontro di Cisterna. In esso piu che risultati positivi. si sono avvertite con particolare chiarezza le varie direzioni pericolose da evitare. La posizione di F. lll. De Sanctis, che riconoscern nei bisogni culturali del 'pubblico' ( entità un po' misteriosa) il dato primario, implicava il pericolo di scarn!care l'opera o di strume11talizzarla. A. Plebe scorgeva nel critico una semplice « cavia di fruizio11e fil,nica n eriscl,iava cosi di interpretare la critica come ,uia 111iova « retorica », passit·a di fronte alle richieste del pubblico, adattata alle sue tendenze « _gastronomiche », sprovvista di ogni possibilità di comprendere le avanguardie. Lasciò perplessi anche il richianw di L. Chiarini alla misteriosa facoltà del gu~to come a giudice e discriminatore, perché sembrò privare il discorso critico di mf ficienti dimensioni di oggetti1·ità. lo credo che un modo per sbloccare lo studio del rapporto tra critica, opera e pubblico da false alternatil'e possa consistere nell'analisi della funzione che una 2metodologia fornita di certe caratteristiche può esercitare nei confronti di un cinema di tendenza, di un cinema « futuro ». Ma m ciò « codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo ». Ti ringrazio Giuseppe Cambiano Condivido pienamente le precisazioni cli Giuseppe Cambiano, assieme a quanto da lui scritto, parallelamente, sul n. 4 del 12 per 23, prczio o e interessante << notiziario» del Cuc Torino. I nuovi valori ( la cui indicazione scaturisce essenzialmente da diagnosi politiche, cioè dal parlar cli socialismo, non in astratto ma in riferimento a circostanze storiche e culturali ben determinate, come hanno fallo Goffredo Fofi per il cinema del Fronte Popolare e Mario Cannella per la critica ciel neorealismo) si rinvengono concretamente solo con l"ausilio di nuove metodologie; senza le quali t· messo in forse il destino e la durata cli eletti valori (la possibilità cli essere trasmessi a situazioni culturali diversamente equilibrate dalla nostra). né si evita il pericolo di un nuovo, brutale sociolosismo, alla Plckhanov per intcnclcrci, o peggio ancora. << La coones• sione tra gli clementi del trinomio [opera-critica-pubblico] - ha sc·ritto ottimamente Cambiano - deve essere storicizzata in duplice direzione; partendo dall'analisi dell'opera si procede all'indietro nel contr"'lto elci condizionamenti anteriori all'opera e in avanti nel conlesto delle fruizioni e della consumazione». Piuttosto ciò che preme a Cannella e a me, è l'inserimento cli queste proposte nel <e dibattito su ntlività culturale e mediazione ( prassi) politica » - il momento cioè dell"organizzazione della cultura, 0\'\ 1cro della politica culturale -, che Giovane critica, in questa fase del suo sviluppo, considera effettivamente cenlrnlc e determinante. g."'·
zibaldone Per Vittorini La notizia che Vittorini è morto me l'ha data Calogero Boccadutri: domenica mattina, tredici febbraio, appena uscito di casa. L'ultima volta che ho visto Vittorini, appunto abbiamo parlato di Boccadutri. Come ogni volta, mi ha domandato del vecchio compagno - « E Boccadutri, che fa Boccadutri? » - ma stavolta mi ha raccontato con piu particolari la storia di come lo aveva conosciuto. Mandato dal partito comunista a Caltanissetta, con una valigia piena di pubblicazioni clandestine, vi era arrivato di notte. Era tempo di guerra, il treno portava grande ritardo; e gli toccò passare la notte nella sala d'aspetto della stazione: affamato, paralizzato dal freddo. Appena fatto giorno sali in centro, dove già la sera prima avrebbe dovuto incontrare una persona che non conosceva e che non lo conosceva. E Vittorini ancora si chiedeva come avesse fatto Boccadutri a individuarlo cosi immediatamente e sicuramente, ad avvicinarglisi senza quelle precauzioni che allora erano elementari, considerando che un errore di persona poteva portare al carcere direttamente. Vittorini dis~e a Boccadutri della sua fame: e Boccadutri, che viveva solo, subito gli preparò un piatto di spaghetti. Il ricordo di quel piatto di spaghetti, alle otto del mattino, lo divertiva e lo commuoveva. E a sentirglielo raccontare a me veniva di pensare che attraverso Boccadutri, attraverso quel ricordo, Vittorini toccava uno dei punti dolenti della sua storia. Perché quando Togliatti, con pesante ironia liquidò le ultime battute della sua polemica con Vittorini intitolandole Vittorini se n'è ghiuto e suli ci ha lassato, era - appunto come Togliatti intendeva - Vittorini ad essere rimasto solo: ma non per aver perduto la compagnia di uomini come Togliatti, ma quella di uomini come Boccadutri. La sua domanda - « Che fa Boccadutri? » - e la mia risposta - « Lavora sempre per il partito » - erano in definitiva il senso del dramma di Vittorini, di una delle due facce del suo dramma di uomo e di scrittore. Vittorini, nel suo lavoro, aveva bisogno di quel tipo di uomo di cui dice Gramsci in una lettera: « Molti anni fa, nel 19 e 20, conoscevo un giovane operaio, molto ingenuo e molto simpatico. Ogni sabato sera, dopo l'uscita dal lavoro, veniva nel mio ufficio per essere dei primi a leggere la rivista che io compilavo. Egli mi diceva spesso: - Non ho potuto dormire, oppresso dal pensiero: Cosa farà il Giappone? -. Proprio il Giappone lo ossessionava, perché, nei giornali italiani, del Giappone si parla solo quando muore il Mikado o un terremoto uccide almeno 10 000 persone. Il Giappone gli sfuggiva; non riusciva perciò ad avere un quadro sistematico delle forze del mondo, e perciò gli pareva di non comprendere nulla di nulla ». Il lavoro di Vittorini attraverso Il politecnico voleva essere appunto una risposta al Giappone di ognuno ( non a caso la lettera di Gramsci è stata per la prima volta pubblicata dal Politecnico): al Giappone della gente onesta e semplice; a tutto ciò che sfuggiva, che inquietava, che impediva una visione totale della realtà umana. L'altra faccia del suo dramma era la Sicilia: la sua volontà di sradicarsene e la sua impotenza a farlo se non -3
a prcuo cli quel ,,iJenzio in cui negli ultimi anni si è chiu-o. La ~ua polemica con la Sicilia, e con mc quando ci incontr,\.11110. era piuttosto aspra. L"ultima \'Olta che ci siamo , i,ti mi ha detto che considcra\'a il mio stare 111 'ìicilia come una specie cli esibizionismo: tanto gli pareva incredibile la possibilità cli una \'ita intelligente, di una , ita co,cientc. dentro una realtà che immaginava prosciugata. definiti, amen te e di pcratamcntc rcfrallaria. E aggiunse che con la icilia ormai altro rapporto non senti, a che quello del ricordo cli certi odori e sapori: nessun sentimento, nes,una idea lo legavano piu alla sua terra. la il fallo che ne parlasse con tanto sdegno, e persino con di,prc1.. l0, era il segno cl!'! suo segreto attaccamento. Io sapc,·o che il suo sdegno era passione, amore. E lui sape, a che io sapevo; e pit1, dunque, se ne irritava. Questo metle, a nei nostri rapporti un che di falso, di imbarazzante. egli ultimi anni ci siamo perciò incontrati poche mite; e la nostra corrispondenza, prima frequente, si era quasi ciel tulio spenta, anche se la mia ammirazione, il mio affetto, restavano immutati. E credo che il suo sentimento e il suo giudizio nei miei riguardi, anche se con una punta cli insofferenza per la mia ostinata « sici, lianità » di vita e cli libri, fossero cli affetto e cli stima. Espressione della sua inconfessata passione per la Sicilia si cle\"Cconsiderare quel suo deciso, addirittura scandaloso in un paese dove il conformismo si respira anche a li,·ello degli intellettuali, rifiuto del Gattopardo: rifiuto che molti. senza capirne le ragioni vere e profonde, gli hanno rimproverato fino al discredito, ma che in effetti veniva non dal Vittorini « uomo di lettere » ma dall'uomo siciliano che nel Gattopardo intravedeva gli alibi cli una classe di cui, in sede sJorica, ben si conoscevano le colpe. In un certo senso, il rifiuto del Gattopardo è stato !"ultimo gesto del Vittorini protagonista. Protagonista, dico, di un periodo della nostra storia culturale che si può far partire dal 1940, anno della pubbljcazione di Conversa:ione in Sicilia, e che si svolge attraverso l'intensa stagione del traduttore e lettore di scrittori americani, della fondazione e direzione del Politecnico, della direzione 4della collana einaudiana dei « gettoni », della polemica con Toglialli sul Politecnico. Questa polemica, anzi, si può seL1Z'altro considerare come il fallo piti importante che la cultura italiana abbia vissuto dal dopoguerra ad oggi: e a tal punto che ancora, con brucianti effetti, se ne dibattono i termini dentro il partito comunista e fuori. Polemica che oppose il politico intellettuale all'intellettuale to11t court: cd è stato quest'ultimo ad avere, alla distanza, l'ultima e giusta parola. E coloro che, comunisti, oggi esprimono severo dissenso dalla condanna pronunciata a Mosca contro due scrittori, dovrebbero non parlare piu degli « errori » ciel Politecnico e riconoscere che veni 'anru fa Vittorini aveva avuto il coraggio di dire nettamente quelle cose che oggi ambiguamente loro cominciano a dire. In quanto al Vittorini narratore, credo converrebbe rileggerlo senza tener conto delle sue preferenze ed esclusioni. La sua avversione al Garofano rosso, per esempio, non potrà non apparire ingiusta: e forse questo libro, certamente meno ,e importante » di Conversazione in Sicilia, finirà con l'apparire il piti bello che Vittorini abbia scritto. Ma tutta la sua opera attende una piu precisa lettura e valutazione, specialmente da parte della generazione giovane, oggi tutta - in~picgabilmente - presa da Cesare Pavese. E credo che la profezia di Pavese, nel confronto tra la sua opera e quella cli Vittorini - ,e Io lo batterò nella durata » - appunto nella durata si rivelerà alquanto fallace. Leonardo Sciascia
I pugni in tasca Caro Mughioi, ho visto I pugm in tasca, di Marco Bellocchio. Non voglio parlarti però del film ( che mi ha fatto una grande impressione), ma soltanto delle mie reazioni immediate alla tragica storia di quella famiglia di provincia. Ma partiamo dal principio, dall'atmosfera natalizia entro la quale si situa la mia visione del film. I! centro di Milano era ingombro di gente « nuova » ( nel senso in cui Serge Mallet, in un saggio apparso su Problemi del socialismo, chiama « nuova » la classe ope• raia dell'era tecnologica). Mentre mi dirigevo al Ritz, davanti alla sala dove proiettavano l'ultima storia di J ames Bood, Tlmnderball, avevo notato un aHlusso allegro e feroce di « fanatici » dell'agente 007. Eppure, assistendo al film di Bellocchio, non ebbi l'impressione di uno « stacco », di una « regressione ». Tra la realtà cittadina e quell'altra realtà del film esisteva un nesso non troppo segreto: l'una e l'altra appartenevano alla fenomenologia del Sistema. In quella famiglia di ammalati - con un solo fratello « sano », ma pure lui degenerato moralmente, indirettamente - Bellocchio ha saputo cogliere alcuni tratti tipici, nell'assoluta individualizzazione, di una « condizione umana », di una famiglia in sfacelo io un angolo perduto di provincia. La madre cieca - un peso, un ingombro non soltanto economico - e quattro fratelli, di cui uno solo in possesso di una propria vita, indipendente dal « casino di sentimenti » familiari, ma pure legato da interessi vari alla famiglia, impossibilitato a staccarsene completamente, totalmente; all'estremo opposto un fratello demente che serve piu che altro di contorno, Leone. Al centro del dramma stanno Sandro, epilettico, lucido nella propria pazzia, conscio della propria e altrui degenerazione, e la sorella Giulia, un po' vuota t: infantile, stretta a lui in un equivoco, ambivalente sodalizio. Come ho detto non mi interessa qui - anche se mi tenterebbe fare una critica del film ( ricercare le ragioni dell'autenticità de / pugni in tasca rispetto all'ioauteoticità di Vaghe stelle dell'orsa, per esempio). For e Bellocchio ha caricato di mali una famiglia della media borghesia italiana, di stretta educazione cattolica, soltanto per simbolizzare ( fisicamente, immediatamente) la fine storica (la putrefazione) di tutto un mondo di valori. Anche se poi il suo [i(m è il meno ideologicamente compromesso che possa darsi. Non un solo filo di speranza, nessun spiraglio po itivo. Quel mondo finisce soltanto. Una spietata visione pessimistica, insomma, di un borghese, il quale dal mondo futuro comunista ( Marco Bellocchio è il fratello di Piergiorgio, il direttore di Quaderni piacentini) certo non aspetta « risarcimenti » dei dolori patiti in questo mondo ... ( Quasi secondo le indicazioni estetiche di un Alberto Asor Rosa.) Vorrei soffermarmi sul punto in cui Sandro ammazza la madre ( dopo aver pensato di « far fuori » tutta la famiglia, compreso se stesso, escluso il fratello sano, uscendo di strada con la macchina, io una visita collettiva al cimitero: da notare che guida senza patente - all'esame di guida è stato bocciato - e che il fratello gli ha aHidato egualmente la macchina, non del tutto « inconsciamente >l complice in quel piano, che Io stesso Sandro gli ha confidato tempo prima). Sandro esplica in ogni suo atteggiamento tutto un cerimoniale da nevrotico, che non sto a descrivere. Ammazza dunque la madre, facendola cadere da una scarpata. Ella è cieca, il figlio l'ha portata sull'orlo di un precipizio senza che lei Io sapesse, poi l'ha sospinta nel vuoto. La « liberazione » dalla madre (in senso economico ma anche psicologico) è sentita egualmente con gioia da tutti i fratelli, e tutti la hanno uccisa, anche se uno solo ha commesso materialmente l'omicidio. Mentre il cadavere è ancora io casa, io una stanza al piano superiore, sotto, in cucina, il fratello « normale » fa delle avances alla fidanzata. Sandro, sopra, fa sgombrare la camera della morta dai presenti, suore, donnette, ecc., e resta solo con la sorella. Qui con freddo, calcolato cinismo appoggia i piedi sulla bara, confessa a Giulia di essere stato lui a uccidere la madre, e la sorella non dimostra altra reazione che quella -5
di una subitanea complicità. Poi Sandro è preso da un attacco di cpilc-,ia. La vicinanza della sorella, che gli " tiene ferma » la testa in modo da permettergli di respirare ( da qui l'origine e la [unzione del "sodalizio » tra i due) [a si che la crisi non abbia conseguenze. Ma qui le mie reazioni private hanno incominciato a essere incontrollate, acritiche. Hide,·o di gusto di fronte a quella profanazione. Cioè non vedevo e non sentivo il tragico cli quella profanazione, e la mia risata era nettamente determinata dal tetro umorismo nevrotico di Sandro. Non condivido tuttavia l'opinione cli l\Iario Soldati, secondo il quale / pug11i in tasca è da vedersi, anche contro le intenzioni dcll"autorc, come un film umoristico. non tragico. Dicevo, tra me e mc, bravo a Bcllocch io per m·cr rappresentato Cino in fondo ciò che in consimili famiglie borghc i re la soltanto allo stato potenziale, latente. Non so se è interferito il mio stesso « inconscio », !"inconscio collettivo della piccola e media borghesia italiana. Sandro ammazza poi anche Leone, il &atcllo demente. aHogandolo, dopo una minuziosa preparazione, nel bagno. I suoi omicidi non hanno nulla cli morboso, ma piutto lo, come ha scritto '.loravia, sono lirici prolungamenti di uno « stato d'animo ». Sandro anticipa. col suo intervento. la fine alla quale è destinato storicamente quel mondo. Anche la mu ica di Verdi trova la sua ultima « (unzione » storica ne I pugni in tasca. scandendo dapprima i tempi dell'esaltazione nevrotica di anclro, e poi elevandosi trionfalmente assurda sulla sua fine, quando, sbattuto a terra da un attacco, offoca invocando l'aiuto della sorella. Giulia, costretta a letto da una caduta in una camera vicina, non può, o non vuole, portargli il consueto soccorso: anche i suoi occhi dolci e vuoti, infantilmente demoniaci, sono solcali da un'ombra di necessità, mentre ascolta le lancinanti grida del fratello sommerse a poco a poco dal mare della melodia verdiana. Tiziano Salori 6Vietar Serge e la Rivoluzione d'Ottobre Le Editions de Dclphes, a Parigi, hanno ripubblicato L'A n I de la Révolution Russe, di Viclor Serge. È un avvenimento per tutti coloro che si interessano alla storia del movimento operaio, e in particolare ai grandiosi avvcnirnenli russi che dovevano condurre qualche anno dopo al mostruoso regime staliniano: un'opera che interessa non soltanto gli storici, ma i militanti. Che si renda necessario oggi presentarne l'autore, è evidentemente un sintomo del nostro tempo. Victor Serge è uno pseudonimo. Victor Kibaltchich nacque a Bruxelles nel 1890; figlio di un emigrato politico russo, conobbe la paura, la miseria e l'insicurezza che costituiscono la sorte dei proscrilli e delle loro famiglie. Ancora giovanissimo, abbraccia le idee rivoluzionarie, socialismo poi anarchismo. Diviene militante libertario. Dopo aver esercitato diversi mestieri, arriva a Parigi nel 1909 e, assai rapidamente, si pone in prima fila nella corrente estremista deU'anarchismo, gli « individualisti ». D'ora innanzi è « Le Rétif », direttore de /'Anarchie. Ben presto vien~ compromesso nel celebre affare della « bande à Bonnot » di cui fanno parte due suoi amici d'infanzia e d'adolescenza, Callemin e Carouy. Arrestato nel 1912, accusalo di « complicità in furto per ricettazione », compare dinnanzi alle Assise della Seine con gli uomini della " bande » per sentirsi condannare a cinque anni di reclusione: è verosimile che la società abbia colpito non una « complicità » - dubbia - nell'affare vero e proprio, ma l'allività del militante libertario, direttore de l'A narchie e animatore del circolo « La libre Recherche ». Liberato nel 1917, al compimento della pena, passa i!l Spagna, gravato dagli anni di prigione di « una pesante esperienza, intollerabile da portare ». A Barcellona scompare « Le Rétif » e nasce « Victor Serge ». Lavora in una tipografia, milita nella C.N.T.:
le nolme della Rivoluzione russa fanno passare un soffio nuovo d'çntusiasmo e di forza. Legato al militante libertario catalano Segui, prepara con lui il sollevamento del 19 luglio 1917, e, dopo lo scacco, decide di riguadagnare la sua lontana patria divenuta quella dei rivoluzionari. Dopo un nuovo arresto in Francia e un soggior• no in un campo di concentramento, raggiunge finalmente Pietroburgo all'inizio del 1919. I bolscevichi mancano di uomini: malgrado il suo passato libertario, la sud reputazione di « anarchico individualista » un po' sospetta per dei marxisti, Victor Serge è incaricato di occuparsi, in veste di « redattore tecnico », della rivista quadrilingue L'Internationale commun.iste i cui uHici, a Smolny, stanno dirimpetto a quelli di Zinoviev. Non tarda ad aderire al Gruppo comunista francese di Mosca. Ha preso la sua decisione: « Non sarò né contro i bolscevichi né neutrale, sarò con loro, ma liberamente, senza abdicazione di pensiero né di critica ». Scrittore di lingua francese, cerio, è allo stesso tempo russo e non lo dimentica: ben presto consacra al partito bolscevico la piti gran parte della sua attività, redattore dell'organo del Soviet di Pietroburgo, istruttore dei clubs dell'Istruzione pubblica, ispettore-organizzatore di scuole di raggi, incaricato di corsi per la milizia. In séguito passa nei servizi del Komiatern al quale si consacrerà per molti anni, lavorando soprattutto in Germania clandestinamente per il bollettino lnprekorr cui consegna sotto il modesto titolo di Note sulla Germania, firmate R. Albert, una insostituibile cronaca dell'anno terribile e delle speranze deluse dal « fiasco » [ in italiano nel testo. N.d.T.) dell'Ottobre tedesco. A partire dal 1919, polemizza coi suoi vecchi amici anarchici i quali dopo avere spesso esitato, si decidono a condannare la rivoluzione russa: lui, Serge, continua a perseguire il suo sogno, la sintesi di socialismo autoritario e di socialismo libertario. Dopo il 1923, tuttavia, è all'interno del Partito che si svolgono i grandi conflitti politici contro Stalin e l'onnipotenza dell'apparato burocratico. Serge è con Trotskij dal 1923, uno degli animatori dell'Opposizione unificata a Leningrado nel 1926-27, cui assicura una parte dei suoi legami con le oppos1z1oni straniere, dando n Clarté una notevole cronaca della Rivoluzione cinese consegnata a Ciang-Kai-Scck da Stalin. È press'a poco nel momento del suo primo arresto per « atti,•ità troskist1 illegale » che egli termina il manoscritto de L'A n. I de la Révolution Russe. Viene liberato dopo poche setti• mane, avendo il suo arresto prodotto all'estero un pcs• simo effetto negli ambienti dei « compagni di strada "· Rimarrà in libertà precaria dal 1928 al 1933, facendo pubblicare la sua opera dalla Librairie du Travail a Parigi. Viene nuovamente arrestalo nel '33, liberato nel '36 in séguilo a una vigorosa campagna condotta fra gli intellclluali occidentali. la Francia pubblica le sue ultime opere - l'insieme delle sue noie e dei suoi manoscritti e;;sendo stati conservali dalla G.P.U. -, abbandona l'Europa nel 1940 al momento dell'avanzata tedesca, si rifu. gia nel Messico ove muore nel 1947. L'An. I de la Révolution Russe è stato dunque scritto tra il 1925 e il 1928, nel momento in cui Victor Serge, con i suoi compagni dell'Opposizione, era impegnato ne!Ja lolla per il raddrizzamento del Partito comunista russo t: della Internazionale, in un momento in cui la mag• gioranza tra di loro conservava ancora la speranza che un movimento rivoluzionario fuori dalle frontiere sovietiche avrebbe ridato coraggio e fiducia all'avanguardia operaia russa e le avrebbe permesso di scuotere il giogo burocratico, che le era stato via via imposto dopo i terribili anni dell'isolamento, del blocco, de!Ja fame, dell'intervento stra• niero. Nel momento in cui gli sforzi congiunti della pro• paganda staliniana e de!Ja propaganda borghese comin• ciavaao a produrre i loro frutti e a persuadere fin troppi lavoratori che il socialismo non poteva avere altro viso se non quello - orrido - dello stalinismo presentato come il figlio legittimo e il continuatore del bolscevismo, Victor Serge tentava di ristabilire la verità storica dando « un quadro veridico, vivo e ragionato delle prime lotte della rivoluzione socialista russa »: « come coloro che hanno fatto la rivoluzione la comprendevano e la comprendono ». La sua premessa precisa l'obiettivo ricercato. « Lo -7
storico scrive appartiene sempre al ' proprio tempo ·, cioè alla sua classe sociale, al suo paese, al suo am• hientc politico. !\la la sola legittima parziali1i1 che sia oggi compatibile con la piu grande cura della verità è quella dello torico proletario. Poiché la classe operaia è la ,ola che abbia tulio eia guadagnare, in qual iasi cir• co,lanza, dalla conoscenza della ,·erità. Essa non ha nulla eia naaconclere, nella storia almeno. Le menzogne sociali ~en ono eruprc, servono ancora, ad ingannarla. Le rifiuta per vincere e vince rifiutandole n. E, con lo stesso tratto. cli slancio, Serge si pone nella linea cli pensiero ~ di azione dei bolscc,·ichi, dei rivoluzionari per i quali l:i , cri ti, è rivoluzionaria, condanna gli « storici n staliniani. allora ai primi passi, uomini che, egli scrive, « hanno cccluto a tradizioni che non sono le loro e sacrificato a iuteressi parziali e passeggeri gli interessi superiori e pcrmauenli della loro classe n. Ed è per questo, fra !"altro, che la pubblicazione cli questo libro è preziosa, oggi, quando la denuncia delle menzogne fabbricate al tempo cli talin non è seguita che dalla fabbricazione di altre menzogne sacrificanti anch'esse a « interessi parziali e passeggeri » gli interessi superiori della classe ope• raia. cioè la conoscenza della verità, arma indispensabib per la sua ba1taglia. È impossibile riassumere questo libro che tutti devono leggere. Attraverso una abbondante documentazione - oggi praticamente inaccc ibile -, soprattutto i ri• cordi di militanti apparsi ulla stampa e sulla rivista La révolution prolétarienne, attraverso la stampa, le conversazioni con alcuni militanti, le memorie dei controri- , oluzionari e le loro pubblicazioni, Victor Serge fa rivi- ,·ere la rivoluzione esattamente quale fu: non si leggerà senza passione né senza emozione questo affresco: la lott.i dei marinai rivoluzionari a Pietroburgo per la distru• zione degli stocks di vodlw, quest'arma estrema dei privilegiati per demoralizzare e corrompere i lavoratori, la incredibile leggerezza delle Cardes Noires anarchiche di cui Victor Serge, non certo sospetto di ostilità sistematica nei loro confronti, rivela che avevano finito per farsi manipolare dai servizi occidentali e dalle organiz8zazioni militari dei Bianchi, la straordinaria difesa di Kazan, i proclami di Trotskij schioccanti come una bandiera, la tensione di tutte le energie e lo spirito di sacrificio che permettono ai battaglioni dell'Armata Rossa di vincere una battaglia che gli « esperti » giudicavano perduta, ne costituiscono alcuni degli indimenticabili quadri. la Victor Serge non si contenta di descrivere e di raccontare; egli spiega: cosi la genesi del « comunismo di guerra n, il contenuto dei disaccordi tra i bolscevichi al momento dell'ultimatum tedesco per la firma della pace di Brest-Litovsk, l'utilizzazione degli specialisti borghesi, uHiciali dell'Armata Rossa, particolarmente, e so• prattutto il Terrore, la limitazione della democrazia ope• raia imposta dalle necessità della guerra civile. A tutti gli « storici » che denunziano le « orge sanguinanti » del terrore rosso, dimenticando eh 'esso ha fatto meno vittime di una sola giornata della carneficina chiamata« guerra mondiale », Victor Serge risponde che i lavoratori non sono assetati di sangue - e che gli stessi bolscevichi sono stati, agli inizi della rivoluzione russa, vittime del proprio umanitarismo. Egli afferma: « Come il terror.! giacobino, il terrore rosso fu direttamente provocato dall'intervento straniero. Il fatto è che nel 1913, la solidarietà proletaria non era ancora tanto forte da impedire qualsiasi intervento straniero contro la rivoluzione; la Ru sia rivoluzionaria avrebbe facilmente fatto a meno, nel caso contrario, di quattro anni di guerra civile. Un proletariato vittorioso, protetto contro l'intervento stra• niero dalla solidarietà internazionale dei lavoratori non avrà bisogno del terrore o non ne avrà bisogno che per pochissimo tempo [ ... ]. Organizzazione proletaria, coscienza di classe, volontà rivoluzionaria intrepida e implacabile, solidarietà internazionale attiva, ci sembrano i fattori che, portati a un certo grado di potenza, possono in av,•cnire rendere il terrore rosso superfluo ». È una analisi o una testimonianza, questa descrizione del Partito bolscevico al momento della grande crisi del 1918, in occasione della discussione relativa ~ Brcst che lo porla alle soglie della scissione? Entrambe, indubbiamente, lo sguardo di un militante cosciente che
scrive: « Questo partito disciplinato che nessun feticismo della democrazia astratta imbarazza, rispetta, in queste ore gravi tra tutte, le sue regole di democrazia interna. Mette il suo capo riconosciuto in minoranza; la grandi! autorità personale di Lenin non impedisce ai militanti del Comitato centrale di rizzarsi contro di lui e mantenere vigorosamente il loro punto di vista; le questioni più importanti sono risolte con il voto, risolte con delle deholi maggioranze alle quali le minoranze sanno sotto• mettersi senza abdicare alle loro idee [ ... ]. Appassionata, la discussione rimane obiettiva: né i pettegolezzi, né gli intrighi, né le questioni personali vi giocano un ruolo rilevante. Dei militanti parlano un linguaggio politico senza pensare a ferire né a discreditare il compagno avversario: si tratta di provare ch'egli ha torto. L'opposizione, non essendo beffata, non manifesta se non il minimo di nervosismo compatibile con gli avvenimenti e torna prontamente sulle decisioni eccessive. Lenin, acquisita la maggioranza, non trionfa. Ha ben altre preoccu• pazioni ! ». E, alla fine dell'anno I, notando che « gli antichi costumi democratici del partito fanno posto a una centralizzazione più autoritaria » sotto la pressione di implacabili necessità, Victor Serge precisa tuttavia: cc"La salute morale del partito è attestata da una onestà assoluta. Esso ignora la menzogna convenzionale, gli equi• voci, il vecchio gioco degli sciocchi delle due ideologiP. - l'una per 'l'élite', l'altra per 'la massa' -, le differenze tra il pensiero e la parola, la parola e l'azione. Ogni cosa è chiamala con il suo nome. Si vive su idee chiare, di una grandiosa semplicità. Le idee, le parole d'ordine, gli atti non fanno che un tutt'uno, unità formidabile che è al tempo stesso una causa e una conse• guenza di una politica nettamente proletaria: poiché la menzogna sociale proviene dal desiderio di soddisfare, o di dare l'apparenza di soddisfare, interessi in realtà incompatibili ». Giacché - cd è in questo che Victor Scr• gi; ha portato mirabilmente a fine il suo disegno -, il partito non è l'apparato burocratico al di sopra e fuori dalla portata delle masse che comanda e manipola: « Il partito è nelle masse operaie e contadine il fermento or• ganizzatorc. La sua funzione è in tali momenti molteplice: esprime le aspirazioui più generali e più acce - saric delle folle, le traduce in atti coscienti; attira, mo• bilita, iuquadra, disciplina gli elementi più attivi delle classi che esso rappresenta; seleziona tra di loro gli amministratori, le guide, i capi; istituisce tra i capi e le masse uua quautità di coutatti e di scambi perpetui, sia nelle graudi assemblee, uei congressi, nei mectings o nel lavoro quotidiano; assicura infine, in seno alla classe operaia, la vittoria dell'intelligenza e degli istinti supe• riori sulle influenze estranee, le tare ereditarie, gli istinti inferiori ». Il partito, mediante l'organizzazione, è il veicolo della coscienza: questo è il segreto dei bolscevichi, oggi più necessario che mai e che questo libro di Serg<J ci permette di ritrovare. Resta da dire che l'opera, come del resto tutte quelle delle Editions de Delphes è presentata con molta cura e preceduta da una serie di fotografie dei principali personaggi di questo periodo della storia della Rivoluzione. Ci si può soltanto rammaricare che gli editori abbiano integralmente rispettalo la formula della prima edizione: sarebbe stato utile, per il lettore odierno, rinviare a proposito delle frequenti citazioni di Lenin a una edizione - anche in lingua straniera - accessibile delle sue ope• re. D'altra parte, una cronologia avrebbe permesso al Jet• torc novizio - sono legioni - di seguire più facilmenlll il racconto, e alcune indicazioni biografiche di constatare che i dirigenti rivoluzionari furono successivamente massacrati da Stalin. Infine, in linea generale, la prepa• razione di un indice - per quanto fastidiosa essa sia - rende tali servizi al lettore da essere divenuta assolutamente indispensabile per l'edizione o la riedizione di una opera storica seria destinata ad essere frequentemente ul ilizzata dai suoi lettori. Pierre Broué -9
10 - La poesia di Pasternak Pubhlichiamo alcuni estratti, uelti fra i pi1i sig11ificativi, della t< lntrodu:.ione » scritta da Ariclrt>j Si11jarskij per fo raccolta delle poesie di Pasternak, comparsa recentemente in Russia ( 1965); raccolta che costituisce - a quanto riferiscono gli cc addetti ai lavori» - un noleL·ol<- passo i1111an:.i rispetto alla precedente, « porsimoniosa », edi:ione del 1961. Ci sembro una prova critico, pur nella .sua nece.uaric, mutilo:.ione, di notevole interesse, molto piii di quella su Picasso ( di cui ampi estratti sono comporsi ne La fiera letteraria n. 6, /ebbrnio 1966); lo .desso Strada, il quale (Libri e scrittori nelrUnionc Sovietica, Rinascita n. P, 1966) accenna ampiamente alla attività di critico mi/itm1te di Sinjavskij, lo definisce « cauta e precisa ». Adesso Andrej Sinja11sh·ij dovrà scontare. assieme a Yuri Danie/, sette anni di campo di concentramento in Siberia. (Un terzo della pena che, comminatagli in base a una non cliversa logica giuridica da un giudice t:arista, .!contò CernyJcevskij; e questa non è l'unica, atroce, analogia con un remoto passato: quei testi, racconti e romanzi - fra i piU vivi e originali della letteratura sovietica conteniporanea -, che peregrinano per l'Europa mano• .:.critti in. cerca di un editore fanno pensare a Lermontov costrello a far circolare in unu poesia munoscritta il suo « omaggio )> a PUSkin, appena morto.) Un « episodio di retroguar• dia n, se inserito nell'àmbito delle ben piti vaste contraddizioni e aporie della realtà e della politica so1.:ietica, che presenta tuttavia alcuni elementi di novità: innan:itutto il dignitoso 1> coerente comportamento dei due scrittori, che non si .rnno prostrati dinnan:i agli « accu.sa• tori Jocial; )>, replicando con coraggio e opponendo ragioni, meno che mai anticomunisti esaltati 1Tarsis) ma socialisti che dissentono in tema di art.e e di ruolo degli scrittori; e poi le mar,ifesta:ioni di solidarietà nella stessa Urss, riferite da fonti non sospette: una dimo- ~tro:.ione di studenti, di/Jusione di t'Olantini al/.'Università di flfosca dove Sinjavskij in.se• gnava, una lettera ( poi rientrata) di Paustovskij di cui purtroppo non conosciamo il tenore, il giudi:iu del figlio di Esenin, ecc. !../indignazione in Europa, negli ambienti « de gauche » ( ché non ci interessano le gere• miadi di coloro che lagrimano per la l< cultura o/Jesa », per i quali, come dice Fortini. « la vito dei èOntaclini vietnamiti non è cultura abbastanza n}, è stata unanime. Anche l'Unità, dopo uri avvio esitante, ha espresso il suo clissen.so; lo $lesso Alicata, reduce da una delle sue consuete operazioni poliziesche ( vittima questa volta la Rossanda), ha comunicato alln age11:ia Italia la sua disapprova:ione. Ovvero le mille facce di llfario Alicata. Troppo facile dissentire dai giudici sovietici e dalla Pravcla quando poi· si mette il bavaglio alle opinioni indigene eterodosse, e guai a mancare di rispetto al realismo e allo storicismo «( caserecci » o, peggio ancora. a credere che non t.utte le scelte politiche di Togliatti fossero oro. (Senz<i <·ontare rlit! non piccolo piacere deve essere stato per quei russi che non !tanno in simpatia Sinjovslcij lo degracla:.ione della Rossanda la quale, con estrema coerenza, anni fa arrivò ad <•sprimerP il suo punto di vista dinnan:i all'Ambasciatore sovietico a Roma.) E cli averci permesso cli rinvenire ancora una volta questo singolare bilinguismo politico, qui in Europa ( clove si gioca anche il futuro dei contadini vietnamiti, e degli scrittori sovietici), siamo grati ad Andrej Sinjavskij e a Yuri Daniel.
L'opera di Pasteroak è stata per lungo tempo dominio esclusivo di una ristretta cerchia di studiosi e di appassionati delia poesia. Per anni la critica ha continuato a parlare de!J'isolamento artistico e della solitudine di Pasteroak, spiegandoli in parte proprio con il fatto che al lettore riusciva difficile comprendere a prima vista i versi del poeta. « I lettori si sono trovati di fronte ad un artista di tipo assolutamente particolare - ha scrith> un critico alla fine degli anni venti - un artista che richiede da chi voglia comprenderlo uno sforzo immenso. Bisogna in un certo senso trasformare dalle radici il proprio consueto modo di accostarsi all'opera poetica. La sua maniera di sentire le cose ed il suo stesso linguaggio sono apparsi in un primo tempo sconcertanti, inaccettabili, e l'apparizione di ogni nuova opera del poeta è stata accompagnata per lungo tempo da tediose questioni di interpretazione e da altrettanto tediosi giudizi di « incomprensibilità ». La straordinaria ricchezza di metafore che contraddistingue la poesia del primo Pasternak fu spesso interpretata come culto eccessivo della forma, dietro il quale si poteva solo vagamente intuire la presenza di un contenuto profondo. Inoltre, le prime opere di Pasternak davano l'impressione di un distacco quasi totale dalla vita del suo tempo: ed egli fu pertanto ritenuto un poeta lontano dai grandi problemi sociali, immerso in un mondo di esperienze puramente interiori. Ma, in contrasto con questa valutazione negativa di Pasternak, a volte dettata da intolleranza, Majakovskij, già a!J'inizio degli anni venti, citava l'opera del poeta come esempio di una « poesia nuova, pienamente aderente al proprio tempo ». Nello stesso periodo, Brjusov scriveva: « Pasternak non ha dedicato una sola poesia alla rivoluzione, eppure i suoi versi - forse senza che egli se ne renda conto - sono animati dallo spirito del nostro tempo ; la psico• logia di Pasternak non è mutuata dai vecchi libri, ma esprime la vera natura del poeta e poteva quindi formarsi soltanto nelle condizioni della vita attuale "· La peculiarità delle doti poetiche di Pasternak e la sua concezione dei compiti dell'arte gli impedirono di essere un tribuno, un araldo della rivoluzione. Il suo atteggiamento nei riguardi della vita ed il suo modo di accostarsi alla realtà, non sempre in armonia con la situazione storica concreta, erano determinali da un astratto ideale di perfezione etica. E nei suoi versi predomin.i una concezione della vita basata sulle « eterne » categorie del bene, dell'amore, della giustizia universale. Eppure, numerose opere scritte dal poeta in anni diversi evocano la rivoluzione e la nuova realtà sovietica prospettate - il che è tipico di Pasternak - sotto il profilo delle trasformazioni morali che la storia del mondo ha subito ad opera del nostro tempo e del nostro popolo. Allo stesso modo, nell'ultimo periodo della sua vita, e precisamente nel 1957, Pasternak scrisse, rivolgendosi ai lettori stranieri in un messaggio di Capodanno: « [ ...] Ecco ancora un'altra cosa di cui potete ringraziarci. La nostra rivoluzione, quali che siano le diversità che ci dividono, ha dato un nuovo orientamento anche a voi ed ha riempito di significato e di contenuto questo secolo. Non solo noi, non solo la nostra gioventu, ma perfino il figlio del vostro banchiere non è piu come suo padre o suo nonno[ ... ]. Per questo uomo nuovo, che è apparso anche nella vostra vecchia società e che è pit', vivo, piu acuto, piu ricco d'ingegno dei suoi elefantiaci e magniloquenti predecessori, dovete dire grazie a noi, perché questo figlio del secolo è nato nel reparto maternità di un ospedale chiamato Russia. Per ora, non possiamo fare niente di meglio che augurarci l'un l'altro, amiche,•olmente, un felice anno nuovo, auspicando che mai, né adesso né in futuro, il fragore de!Ja guerra abbia ad unirsi, nella notte di Capodanno, al tintinnio delle coppe di spumante. Ma se è inevitabile che il disastro accada, ricordatevi da quali eventi noi sovietici siamo stati formati e quanto severa fu la scuola che ci ha insegnato ad essere forti. Nessuno è piu audace di noi o piu pront" a fare l'impossibile: ogni sfida ci trasformerà in altrettanti eroi, come è accaduto nell'ultima recente prova ». Di un contenuto profondo, necessario agli uomini di oggi e di domani, sono ricchi anche i versi di Paster- - 11
nak sulla natura. che rimangono Corse Cra le cose migliori che il poeta abbia scritto in mezzo secolo di atti- \'ità letteraria. 1 pac<aggi di Pastcrnak, che esprimono una c ..t.rcn1a conu11ozionc vitale cd una rinnovata visione del mondo, sono molto vicini alla sensibilità dell'uomo moderno. Non a caso lo stesso poeta mise in relazione In nascita ciel suo nuovo libro Mia sorella la vita, u-cito ncll"estatc ciel 1917, con il mondo generato dalla nuo,a era: « Ho visto l'estate sulla terra, sembrava non ricono,rcrc se stessa, era naturale e preistorica, come in una ri\"clazionc. Ilo scrilto su di e a un libro, nel quale ho c,prc»o quanto di piu concepibile, di piu straordinario sia dato sapere ulla rivoluzione». [ ... ] \Icntrc J\Iajakovskij o la Tzvctacva vogliono parlare a nome proprio per il mondo intero, Pasternak preferisce che sia il mondo a parlare per lui, in vece sua. " :\on io sulla primm·era, ma la primavera su di mc», « non io sul giardino, ma il giardino su di mc ». La natura. liricamente intesa, è la \'era protagonista. E il poeta è contemporaneamente dovunque e in nessun luogo. Egli 11011 è un estraneo che veda il paesaggio dal di fuori: è il paesaggio stesso, è il bosco, è il mare j ...]. Quc,ta comunione con la natura, in piena soli tu• cline. conferisce ai ver i cli Pastcrnak UD particolare tono cli interiorità e di autenticità. [ ... ] Pastcrnak è profondamente convinto che la poc,ia sia un ri(lesso dircllo, un prodolto della vita. L'ar• ti,ta non inventa le immagini, ma le prende dalla realtà, e aiuta l"opera della natura senza mai sostituirsi ad essa. [ ... ) Questa identificazione dell'arte con la vita, della poesia con la natura e c1ucsto annullarsi dell'arti ta nel paesaggio hanno generalmente un unico scopo: il poeta. proponendo alla_ nostra attenzione versi scritti dalla stc•sa natura, è come se ci garantisse la loro autenticità. l~ !"autenticità, l"attcndibilità costituiscono per Pasternak i! principio estetico piu valido. Le sue teorie letterari<l e la sua opera poetica riUe1tono sempre la preoccupa• zione di « riuscire a non travisare la voce della vita che ri,uona dentro di noi ». r..). Nel corso della sua attività poetica, Pasternak 12 entro ,n contatto con una sfera vastis ima di fenomeni artistici del passato e del presente. onosta11te il carattere assolutamente individuale della sua concezione del mondo e della sua maniera cli scrivere, egli è portato non a rompere i rapporti con il patrimonio culturale di ieri ma a manteDersi in continuo contatto con esso e a sostenere il principio della effettiva esistenza di una continuità storica nello sviluppo dell'arte. Questo suo orientamento lo divise, negli anni dicci-venti, dall'ambiente futurista, che era invece dominato dalla volontà di disi ruggcrc totalmente ogni tradizione artistica. [ ... ] Mentre durante la rivoluzione e negli anni venti il paesaggio, nella poesia di Pasternak, recava impressi i scgn i del momento storico ed era pieno delle « bufer~ del Cremlino » e del « mormorio degli alberi riuniti a comizio», nelle sue liriche del periodo successivo è la storia stessa clte viene assimilata alla natura; e vi predominano processi di crescita, di maturazione, che generano frutti straordinari ma rimangono nascosti, inafferrabili, come il crescer dell'erba o l'avvicendarsi delle stagioni ( dr. L'erba e /e pietre e Dopo il temporale). Il fe. nomeno, naturalmente, è legato non soltanto ad una evoluzione stilistica del poeta, ma anche ad un mutamento dei suoi interessi artistici e alle :trasformazioni subite dal mondo circostante, che gli si apre davanti ricco di aspetti nuovi. Pasternak si interessa ai fatti d'ordine morale, che avvengono però non alla superficie della vita ma in profondità, e si manifestano sommessamente, quasi inosservati, nella vita di tulli i giorni, nei semplici avvenimenti della vita collettiva e di quella individuale, cltc costituiscono secondo lui anche la base del di\'enire storico. Sebbene Pasternak sia stato sempre attratto dalla vita ,, senza pompa e senza ostentazione », è dagli anni trenta che lo vediamo orientarsi in maniera sempre piu decisa verso quei motivi umani che, pur trovandosi in un certo senso ai margini della vita sociale, sono tuttavia pieni di un significato storico nascosto ( cfr. per esempio la poesia Sui treni mattinali). Egli stesso disse un gior• no, in un discorso, che « tutto ciò che è altisonante, ma-
gniloquente e retorico » gli appariva « poco serio, inutile e a volte persino moralmente sospetto ». Particolarmente vicini alla sen~ibilità del poeta sono adesso i villaggi, le casette, i piccoli porti e i traghetti della provincia russa, e con essi i sentimenti sinceri, la gente comune dedit:i ai lavori piu semplici. La natura stessa cerca rispondenza in questo ambiente: il tabacco profumato evoca l'immagine di un fuochista in riposo, la primavera indossa un giubotto imbottito e si trova un'amica nella stalla [ ... ]. Parallelamente vediamo esprimersi nella lirica di Pasternak le sue teorie - che hanno ormai assunto una forma definitiva - sul destino e sulla vocazione dello uomo, sul suo posto nella storia. La persona umana, secondo il poeta, è al tempo stesso la depositaria di altissimi valori morali e un'apparenza insignificante ( l'ordinario e il geniale sono strettamente legati - pensa Pasternak - ed ogni uomo, in potenza, è geniale, ma l'ingegno è semplice, riservato); la persona umana vive oscuramente, di una profonda vita interiore, e dona volonta• riamente se stessa per il trionfo della vita intesa nel suo significato piu vasto, e cioè della storia, della vita universale. Fra « microcosmo » e « macrocosmo », secondo Pasternak, esiste un legame profondo, e per questo ogni singola persona ha un valore assoluto, purché però si trovi in armonia, e non in contrasto con la vita. In una lettera al poeta Kajsyn Kuliev, scritta il 25 novembre 1948, egli cosi riassume le sue opinioni sul destino dell'uomo dotato d'ingegno: « È singolare il fatto che il talento innato sia come un modellino dell'universo immesso nel cuore umano fin dalla prima infanzia, un manuale scolastico che insegna a capire il mondo dal di dentro, nel suo aspetto migliore e piu sorprendente. L'ingegno porta al senso dell'onore e al superamento della paura, in quanto rivela quale elemento fondamentale lo onore stesso sia nel grande dramma della vita. L'uomo dotato sa quanto la vita si arricchisce quando è illuminata da una luce piena e giusta e quanto invece perde se è immersa nella semi-oscurità. E il suo stesso interesse lo spinge ad essere fiero e ad aspirare alla verità. Questa posizione nella vita, rn se stessa feconda e felice, può anche risolversi in una tragedia, ma questo ha un valore secondario [ ... ] ». [ ..."I La lirica del tardo Paslernak gclla sulla posizione del poeta nei conl:ronli del mondo e della poesia una luce alquanto diversa da quella della sua lirica precedente. L'idea della (unzione etica della poesia è ora assolutamente predominante, sebbene egli non ces,i di credere nella capacità del poeta di cogliere un'immagine vivente della realtà ( va d'altra parte ricordato che l'esigenza etica era stata sentita da Pasternak anche in pas• salo). Mentre un tempo l'estetica di Pasternak era dominata dal concello della « poesia-spugna », e cioè di una poesia destinata ad assorbire la realtà, piu tardi, pur senza rinnegare tale principio, egli pare attratto da una altra idea: « il fine ultimo dell'allività è il dono di se stessi [ ... ] ». Contemporaneamente, nelle ultime opere di Paslernak vediamo determinarsi e dominare la coscienza di avere assolto la propria funzione storica. Da tale coscienza traggono origine, in particolare, quella tonalità straordinariamente luminosa e quel fondamentale senso di fiducia nell'avvenire che - se si eccelluano poche poesie in cui aHiorano noie tragiche - caratterizzano la sua lirica piu recente. Tanto nella sua concezione storico-morale quanto nella sua visione dei compiti dell'arte, Pasternak, pur contestando a volte alcune delle premesse e delle esigenze del nostro tempo, rivela tuttavia tratti, opinioni ed esperienze che lo avvicinano molto ad esso. « Tu sei la periferia, non un ritornello », ha detto Pasternak della poesia. Quest'ultima, cioè, deve abbracciare la realtà aderendole strettamente, ma non la deve ridire parola per p3· rola, non deve ripetere all'infinito la verità che ormai tutti conoscono. Questa analogia - la cui strullura è tipica di Pasternak - rende in una certa misura anche il carattere del rapporto di affinità-divergenza che intercorre fra il poeta e il suo tempo. [ ... ] Andrej Sinjnvekij ( lradu:ione di !ti. Fabri.s] - 13
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==