giovane critica - n. 10 - inverno 1966

quattro hanno avuto il pri,•ilcgio di ,1cdere questo spettacolo, non certo allo portata cli ogni bor~a. lé si pote,•a sperare in meglio vi.slo che i posti erano sempre tutti c'Wuriti e che. secondo le dichiarazioni di un dirigente del Piccolo <li i\lilano. ~non si poteva portare lo spettacolo in tournée. in quanto non era possibile montare e smontare le scene'. E allora ci domandiamo: che significato ha parlare di 'importanza?" di ~teatro nazionale?' di ~spettacolo popolare?' u. 2. Azione culturale e inquadratura storica. Di &onte a questa situazione si propone ora una politica culturale, eia destra (qui: difesa degli autori <e nazionali ", testi secondo la tradizione, sovvenzioni all'imprcsariato privato, fuori i « sovversivi ») e eia sinistra. Ma con parecchia con(u ione. Che siguifica inserire l'azione culturale per ii teatro nell'azione politica? Rifiuto di intendere il ruolo di intellettuale come il ruolo di un alIrato della clas e operaia o di un compagno cli strada, o di un servizievole interprete tecnico delle deliberazioni prese dal partito in sede competente, politica. Ecco qui, secondo il vecchio uso: l'intellettuale porta il saluto della cultura. rende omaggio al partito, ai sacrifici ciel popolo c alla •agacia dei dirigenti politici, e poi presenta specifici problemi tecnici della cultura: sempre dimezzalo tra l'autarchia rlclla cultura e della ricerca metodologica« neutra n ( la cosiddetta « autogestione degli intellettuali »), la subordinazione docile alle conclusioni di quelli che chiama « i politici », il mugugno irresponsabile, l'uso strumentale a cui si subordina. E il partito se ne serve, inserendolo io una commis,sione « tecnica». Entrambi - politici e intc!lcuuali - girano a vuoto, nella ricerca delle colpe. Il politico si lamenta delle assenze dell'intellettuale: , anno e vengono ( dice), hanno altro da fare, sono incastrati, non disinteressati, ecc.; e poi: noi non possiamo occuparci anche della cultura, per un modesto stipendio la,•oriamo un giorno intero. E l'intellettuale: i politici hanno una concezione strumentale della cultura, la intendono •·ome un ornamento, ci trascurano, se ne infischiano dell'impegno culturale. E poi, si deve pur vivere, ci resta poco tempo libero e dunque se, per esempio, sono 66 - insegnante, il mio primo dovere è fare lezione bene, indirizzare le ~celte del Consiglio di Facoltà: questo è il mio modo di fare politica seria. Le due parti hanno, su questo piano, ragione entrambe. Non si esce dal vicolo cieco. Infatti, a tratti, gli uni e gli altri hanno periodi di apertura frenetica, si gettano nell'attivismo, il politico ios~gue l'intellelluale, lo pone in mostra, gli propone dieci conferenze, cinque convegni, lo infila in qualche comitato, lo porta candidato alle elezioni, lo presenta segretario di sezione. Da parte sua l'intellettuale si agita: fa comizi, tiene conferenze, va ai convegni, magari vende il giornale per le strade, firma petizioni, scrive dieci articoli, frequenta la sezione e ne diventa segretario per un po'. Dopo qualche tempo gli uni e gli altri si stancano e ogni cosa ritorna come prima. lo altre parole, manca il punto di convergcuza durevole. Il quale va trovato nella politica culturale, elaborata nelle sedi competenti ( ossia, ad es., il Comitato Centrale, quando ci si trovi in un partito). E questo significa un piano organico di scelte primarie, che provochino intorno alle questioni della cultura una partecipazione politica, e a cui ogni iniziativa va riportata ( allora non si deve mellere a disposizione piu tempo, ma forse meno tempo, purché usato razionalmente); inoltre una concezione non antiquata della cultura: parte della strullura, non sovrastruttura ornamentale, travaso di nozioni enciclopediche, esecuzione tecnica irresponsabile. Non esiste la via per un profondo progresso della cui tura ( teatrale, letteraria, ccc.) se la cultura - il ruolo dell'intellettuale - non si inserisce, in prima persona, senza deleghe, nella battaglia politica per una nuova strategia del movimento operaio e del socialismo. E dunque il socialismo non sullo sfondo, ma dentro ogni parola, anche nella minima azione di cultura. Da qualunque punto si consideri la situazione - cultura o politica - non ci sono vie di uscita: o l'integrazione socialdemocratica al neocapitalismo, o la prospettiva socialista che p11ssaper obiettivi transitori ma capace di incidere sempre sul profitto e sui poteri di decisione dei lavoratori: secondo questa strategia non esistono spazi intermedi, coesistenze pacifiche tra forze rivoluzionarie e posizioni moderate. In quale quadro,

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