giovane critica - n. 10 - inverno 1966

Il' frequenze del teatro crescono e quelle del cinema diminuiscono. L'anno scorso il teatro in generale ha visto ai ,uoi bollcghini oltre un milione di pcllalori in piti rispcllo al 1964: dai 10 milioni e 300 mila biglietli venduti due anni fa agli ll milioni e 400 mila venduti l'anno -cor,o: un aumento di piu del 10%. Gli spellatori di cinema, i1wcce, ono scesi anche quest'anno: da 697 a 68:l miloni, dopo ci o ,clic stagioni cli continuo declino. Eppure il teatro co11ti11ua ad essere i11 Italia ::;011<1 depressa, incapace cli reggere il confronto, sul piano che gli compete. di (ronte agli spellacoli delfinduslria culturale ed alla nuo, a organizzazione del tempo libero. La ,pe,a complc;,si,,a degli italiani per i divertimenti ( comprc,i lo por!. la radiotelevisione, i dischi ecc.) è salita da 270 ( nel 1963) a 300 miliardi ( nel 1964); il teatro ( pro- ,a. lirica, ri,·i,la e ,·arictà) da appena 9,9 è salito a 11.4 miliardi ( Ira la pesa complessiva e quella particolare per il teatro la proporzione sia Ira 300 e 11,4). L'Italia in fallo di slrullure teatrali ( strutture di produzione, lavoro critico, in egnamento teorico, tecnico e professionale, di edifici. ecc.) resta una vera e propria zona depressa in relazione a quanto esiste negli altri paesi europei, dove si lro, ano citti, con popolazione intorno ai 300 mila abitanti che possiedono {ino a Ire o quattro sale municipali di teatro. repertori annuali, sul piano nazionale, che raggiungono in alcuni casi il migliaio di allestimenti; una elevala pubblicistica teatrale. Per esempio, nel numero 1187 del New Statesm.an, F. Luft presenta la situazione teatrale in Germania: duecento sale, duecento complessi cl"attori e tecnici legati al teatro da contraili regolari, duecento intendenti esonerati dal rispondere del loro opc• rato e del loro gusto a ministeri, amministrazioni pro- ' inciali e comunali, esonerali da controlli e censure di qualsiasi sorta, e olo responsabili di fronte agli spella• lori e all'opinione pubblica. Duecento teatri con una media, ciascuno, di venticinque spellacoli per stagione, il che vuol dire che gli spettacoli si susseguono ogni dieci giorni all"incirca. Per contro, da noi esistono pochi teatri, in via di deperimento o di liquidazione 2 ; edilizia antiquata senza connessione con la situazione urbanisti64 - ca; prezzi alla portala di poche borse; difetto di scuole di recitazione; mancanza di collegamenti tra scuola e teatro 3 ; orari inadalli ( ma osserva giustamente Raul Radice: « [ ... ·1 in quanto agli orari, i quali hanno importanza soprallullo se si tiene conio dell'ora in cui ha termine lo pellacolo - tre quarti delle persone che lavorano, anche disponendo cli un mezzo per rincasare, dovrebbero ·cmpre sotlrarre per il teatro qualche ora al sonno -, il loro cambiamento non può dipendere unicamente dall"organizzazionc teatrale, e cambiarli non significherebbe poter contare da quel momento su un pubblico maggiore. Se il teatro prospera ancora in Inghilterra, ciò è dovuto i11 gran parie all'adozione cli un orario di lavoro eguale per tulli. Alle cinque del pomeriggio si chiudono gli u.f. (ici e i negozi, alle selle si aprono i teatri, alle dieci lo spellalore è libero di rincasare, andare a cena, far visita ,, un amico »). Ma il vanto del teatro italiano, la perfezione della messinscena? Mentre altrove prospera la tendenza verso la riduzione dei costi, in concomitanza con l'altra tendenza della riduzione continua e costante dello apparato scenogra{ico negli spellacoli allestiti dalle nuove leve teatrali, il teatro italiano pratica la religione della scenografia: teatro sciupone, costi di produzione e fogli paga senza rnisura, spreco nella messinscena da parte del regista demim go che cerca di diventare l'unico creatore di uno spettacolo, invece che eseguire un lavoro d'interpretazione•. E dunque l'intervento dello Stato diventa un rapporto Ira postulanti da accontentare e funzionari che accontentano, una rete di incontri, sollecitazioni, lamenti e favori. Eppure i Teatri Stabili ... A questo propoito precisa G. De Bosio, direttore di uno di questi teatri ( ne Il Contemporaneo, novembre 1965): « Nessun teatro stabile oggi in Italia ( preferirei dire municipale) è ancora arri valo in modo sistematico al traguardo dei dodici mesi di lavoro. Nessun teatro ha una compagnia permanente di sufficiente articolazione; non è possibile pensare ancora organicamente ai doppi ruoli; non sono ancora risolti in modo de[iuitivo i problemi delle sedi di questi teatri, delle sale, degli edifici, uffici, scuole, magazzini. Bisogna mettere il dito sulla piaga. Questo per-

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