teatro Teatro, politica culturale e pubblico 1 Linguaggio specifico e situazione del teatro. Esi- • sie una ragione per occuparci dell'organizzaziont! del tt'atro, oggi, in Italia? Non gioverebbe, invece, recitare il requiem per il teatro, messo alle corde dal prevalere dell'immagine e dei mass-media? Esaminiamo la consueta descrizione del rapporto spettatore-teatro. Quando si apre questo discorso una gragnuola di colpi cade sul groppone dello spettatore: perché è ignorante, perché viene distratto dal cinema ed assopito dalla televisione, perché diserta certe importanti rappresentazioni, ecc. ( secondo Chiaromonte: « La causa principale della crisi del teatro è l'assenza del pubblico. E non c'è pubblico perché l'italiano non ama pensare, non vuol essere giudicato né preso in giro, non gli piace ridere di se stesso e detesta che si rida di lui. È, insomma, antiteatrale per natura »). Ma chi lavora per il teatro, o ne amministra le fortune, o ne recensisce gli spettacoli quale pubbliéo intende servire? e come? Lo Stato con le sue sovvenzioni tira ad addomesticare e a regolare pesantemente la produzione; il recensore spesso non fa altro che sparpagliare un plotone di aggettivi di benevolenza; il drammaturgo offre opere che scivolano via sulla pelle t! personaggi costruiti su palafitte; il regista mira a sbalordire con la sua messinscena ; la scuola ignora pertinacemente ogni segno di cultura drammatica. Pochissimi si portano a considerare le cose dal punto di vista della platea: non si cerca un pubblico piu degno, del quale farsi interpreti ; trovi gente che, avendo scelto il mestiere del teatro, passa la sua vita sul palcoscenico, ma in realtà non crede all'autonomia culturale del teatro e di conseguenza se ne infischia degli spettatori. Eppure il teatro italiano ha urgente bisogno di trovare un pubblico diverso: ma quale? e come educare al teatro questo nuovo pubblico? Se si crede alla necessità della presenza del teatro nel mondo contemporaneo, si finisce con il capire che cosa occorra fare e da che parte dirigere gli sforzi. Ma non stanchiamoci di confermare la sfera di autonomia del linguaggio teatrale. A teatro non si va per conoscere una « storia >• o sapere come va a finire l'intreccio; se mai, ci aspelliamo lo stimolo :id una riflessione sui fatti, vale a dire il mondo delle idee che prendono corso, le allusioni e i simboli della sorte umana. Parola io azione, parola personificata, come usa dire. I teatranti che rincorrono affannosamente nella messinscena il naturalismo di una verosimiglianza puntigliosa disabituano lo spettatore ad ogni sforzo che converta i segni del mondo fenomenico io motivi di tensione interiore, e lo inducono a confronti disastrosi, per esempio, con la versosimiglianza raggiunta dalla narrazione cinematografica: e come potrebbe il linguaggio teatrale gareggiare con la macchina da presa? Quel mondo delle idee del teatro consegue, si, una concretezza precisa ma nel vivo della rappresentazione, quando interpreti e spettatori si « toccano » ( l'attore tra il - 61
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