Verso la vita, r1v1sto oggi, dà ragione ad un cnhco ( e regista) che siamo ben lontani dall'apprezzare, Roger Leenhardt, il quale vi vedeva col distacco del cattolico poco impegnato•• un « progresso che turba, perché acquistato a prezzo di un rilassamento spirituale. Perché è qui il pericolo. Si sente che, per la prima volta, questo film non è il risultato di una lotta, vinta o persa che sia. È 'previsto'. Sconosciuto sino a ieri, oggi tutti sanno che Renoir è il regista di genio della sinistra. Questo clima non è certo estraneo all'impercettibile scivolamento verso l'automatismo, il mestiere, il convenzionale, foss'anche quello del sovversivo, che non può impedirci di essere previsto ». Un giudizio che parte da considerazioni discutibili ( vi si sottintende un certo disprezzo per i legami di Renoir con una situazione politica contingente) ma che è in gran parte valido sin d'ora anche per almeno un film successivo del grande regista. A coronamento ufficiale gli verrà assegnato alla fine del '36 il premio Louis Delluc, che gli meriterà una lettera ufficiale di congratulazioni del partito ". Piu esterno e banale, La belle équipe, dimostra l'allineamento di Duvivier, regista la cui disponibilità è di tutt'altro genere che quella di Renoir, e cioè nient'altro che calcolo e furberia disprezzabili. Si è già detto che il soggetto di Spaak venne proposto a Duvivier su consiglio di Renoir, che riteneva di aver già fatto qualcosa del genere con Lange e non intendeva copiarsi. Si tratta infatti di una sceneggiatura che ricalca Lange nei suoi motivi pili banali, allineandosi ad una moda senza affatto averne assorbito lo spirito e il mordente, non avendone la sincerità dell'atteggiamento. La storia è nota, e non vale la pena di tornarvi. Anche in rapporto a Lange l'impoverimento è evidente: manca del tutto la coralità che faceva di Lange il capolavoro che è: lo stesso elemento della cooperativa è qui legato a moventi individualistici, o almeno di un gruppo minuscolo e isolato dal « mondo cattivo », che arriva agli ideali di indipendenza e della cooperativa grazie al caso (la lotteria) e cui il caso frappone ostacoli dietro ostacoli. Il film ha certo un bello spirito illustrativo: i suoi operai scino verosimili e simpatici, la loro amicizia commovente ( tra questi compare l'emigrato spagnolo, ancora uno dei personaggi che vogliono indicare una solidarietà operaia sovranazionale); ma quel che si deve all'abile e attenta sceneggiatura di Spaak crolJa di fronte alle esigenze commerciali e ai bassi calcoli opportunistici ( e in questo senso sociologicamente rappresentativi) dell'odioso Duvivier. E' noto che il film ba due finali: il primo ottimista 52 per il popolo, per la banlieu; il secondo pessimista (la solidarietà è sconfitta sia dal destino che dagli intrighi personali, i bei sogni restano bei sogni, ideali, irragiungibili, che non resistono alla prova dei fatti, come il socialismo, come la pace ...) per la presentazione sugli Champs Elysées e al centro. Il popolo è contento: la demagogia del finale ottimista è una strizzatina d'occhio al Fronte. I borghesi sono contenti: l'ideologia piccolo-borghese è soddisfatta, quella della destra anche, per la dimostrazione di una allegorica sconfitta del Fronte. E Duvivier fa cassetta, magari anche sincero nei suoi tentennamenti tra Bclleville e « beaux quartiers », e convinto di poter salvare capra e cavoli ( per un po' il gioco gli riesce: a sinistra lo si applaude, nonostante che il suo film precedente, La bandera, porti in apertura una dedica a Franco, il quale ba nel frattempo utilizzato i mercenari alla Gilieth-Gabin per attaccare la Repubblica). Carné fa il suo debutto con ]enny. nclJo stesso anno. Il film è un pasticcio melodrammatico sopravvalutato all'epoca, in cui Prévert non si dà molto da fare, salvo che in certe figure secondarie ( il « dromedario » Barrault è un inimitabile, fantastico Le Vigan, che nel ruolo di « Albinos » - nello scenario originale si chiamava però I' « Archeveque » - dà il meglio di se stesso imitando con arguzia il celebre mercante d'armi e avventuriero sir Basi! Zaharoff, su cui Eisenstcin meditava un film), e per qualche evasione dal mondo fumoso del gran cabaret nelle strade parigine dei sobborghi (il drammatico sfondo del canale dell'Ourcq). Per il resto, melodramma, e del peggiore. D'altronde gli altri progetti di Carné ( un film sulle prigioni minorili, una storia d'amore a Belleville, « nello stile di Primo amore di Charles Ray, ma nello scenario di Utrillo ») erano andati a monte, e la censura del Fronte ( nelJe mani eterne di un imbecille, Edmond See) aveva manipolato anche J enny ". - 47
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