giovane critica - n. 10 - inverno 1966

Noi del night club Caro Mughini, il numero d'autunno di Giovane critica, che mi è appena arrivato e ho potuto soltanto sfogliare, mi ha ricordato il mio pessimo comportamento nei tuoi confronti, comportamento dovuto solo alla mancanza assoluta di tempo, e del quale comunque ti chiedo molte scuse. llfi hai chiesto un saggio sul western e non ho potuto farlo; mi hai gentilmente proposto di sostituirlo con un meno impegnativo, piu rapido articoletto sul ciclo televisivo di Zinnemann, e non sono riuscito, almeno finora, a trovare il tempo necessario nemmeno a questo. Del resto, non vedo perché dovrei nasconderti che dietro alle mie esitazioni, sussistono anche motivi meno occasionali. Il primo, sul quale penso l'accordo sia pacifico, riguarda il limitato interesse che riveste oggi Zinnemann per me e, penso, per i tuoi lettori: i valori di questo re· gista emigrato a Hollywood dall'Europa nazista, e impegnato a inserire un discorso di una certa coerenza nell'àmbito delle st, utture hollywoodiane, erano appunto valori relativi, che potevano risaltare drrl contrasto fra i suoi film (siglati dal Leone della Metro) e gli altri polpettoni che la stessa Casa sfornava a quell'epoca per le platee di tutto il mondo, assetate di lagrime e di romanzoni ben costruiti e conditi con le ricette del divismo e del happy end. Tali valori alla televisione non si possono ovviamente cogliere: il ciclo diviene appunto « retrospettivo », e im· ponendosi ufficialmente come << spettacolo dotato di valole culturale » nelle case e nei tinelli di mezza Italia, si traduce in un assoluto dagli evidunti limiti interni. Qui il discorso diverrebbe lungo, e coinvolgerebbe tutto il sistema di fruizione dei film - non esclusi gli Eisenstein, i De Sica, i Truffaut - da parte degli spettatori televisivi. In tale discorso, la dignità relativa di Zinnemann epistolario - evidente non tanto nel lacrimoso Uomini, con q1tel dottore da Reader's Digest, quanto in Atto di violenza, erroneamente liquidato come minore dal Di Giammatteo, e ancor piu in Teresa, assente dal ciclo - acquisterebbe proporzioni molto ridotte. Il secondo motivo riguarda invece, parlando francamente, il dissenso, il divorzio che oggettivamente si è venuto creando fra i miei orientamenti e quelli ormai chiarissimi della rivista. Intendiamoci però s1,bito su due punti fonda mentali: a) non si tratta di dissensi personali o personalistici {non mi preoccupa, cioè il tuo « garbato dissenso » da un mio articolo, anzi ti ringrazio della attenzione che la tua rivista dedica sempre ai miei lavori, che probabilmente non la meritano); b) non si tratta nemmeno di divergenze di fondo, ideologiche, veramente abissali ( per uscir di meta/ ora, penso che voteremo per lo stesso partito, ammesso che non cambi idea prima delle elezioni, e ammesso - ed è già piu difficile da ammettere - che questo oggi significhi qualcosa). Se penso sia meglio che io non collabori alla tua rivista, ciò si deve proprio a un'esigenza di chiarez::.a: per non aumentare cioè la confusione lamentata da llfa· rio Cannella nella sua lettera Di cosa scrivere? Per chi?, lettera che la redazione accetta evidentemente in blocco e fa sua, e eh.e anzi offre il destro per la garbatissinia, civilissima, sacrosanta polemica nei miei confronti. Ora, la lettera di Mario - che considero un caro amico e un giovane di qualità promettentissime - mi sembra generosa quanto con/usa, pericolosa. È vero che Calvino scrive sul Corriere quel che scriverebbe mll'Unità, è vero che Aristarco scrive sulla Stampa in perfetta coerenza con quello che scrive su Cinema nuovo; e che io bevo coca -1

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