- NE CRITICA GIOVA_ 1O inver~o 1966 ,.,. t o politica cu .I ea r, . . o lzegellano • /U~hc • Sul metodo storico p o/are in Francia d, I Fronte op Il cinema e uhhlico !turale e P
Noi del night club Caro Mughini, il numero d'autunno di Giovane critica, che mi è appena arrivato e ho potuto soltanto sfogliare, mi ha ricordato il mio pessimo comportamento nei tuoi confronti, comportamento dovuto solo alla mancanza assoluta di tempo, e del quale comunque ti chiedo molte scuse. llfi hai chiesto un saggio sul western e non ho potuto farlo; mi hai gentilmente proposto di sostituirlo con un meno impegnativo, piu rapido articoletto sul ciclo televisivo di Zinnemann, e non sono riuscito, almeno finora, a trovare il tempo necessario nemmeno a questo. Del resto, non vedo perché dovrei nasconderti che dietro alle mie esitazioni, sussistono anche motivi meno occasionali. Il primo, sul quale penso l'accordo sia pacifico, riguarda il limitato interesse che riveste oggi Zinnemann per me e, penso, per i tuoi lettori: i valori di questo re· gista emigrato a Hollywood dall'Europa nazista, e impegnato a inserire un discorso di una certa coerenza nell'àmbito delle st, utture hollywoodiane, erano appunto valori relativi, che potevano risaltare drrl contrasto fra i suoi film (siglati dal Leone della Metro) e gli altri polpettoni che la stessa Casa sfornava a quell'epoca per le platee di tutto il mondo, assetate di lagrime e di romanzoni ben costruiti e conditi con le ricette del divismo e del happy end. Tali valori alla televisione non si possono ovviamente cogliere: il ciclo diviene appunto « retrospettivo », e im· ponendosi ufficialmente come << spettacolo dotato di valole culturale » nelle case e nei tinelli di mezza Italia, si traduce in un assoluto dagli evidunti limiti interni. Qui il discorso diverrebbe lungo, e coinvolgerebbe tutto il sistema di fruizione dei film - non esclusi gli Eisenstein, i De Sica, i Truffaut - da parte degli spettatori televisivi. In tale discorso, la dignità relativa di Zinnemann epistolario - evidente non tanto nel lacrimoso Uomini, con q1tel dottore da Reader's Digest, quanto in Atto di violenza, erroneamente liquidato come minore dal Di Giammatteo, e ancor piu in Teresa, assente dal ciclo - acquisterebbe proporzioni molto ridotte. Il secondo motivo riguarda invece, parlando francamente, il dissenso, il divorzio che oggettivamente si è venuto creando fra i miei orientamenti e quelli ormai chiarissimi della rivista. Intendiamoci però s1,bito su due punti fonda mentali: a) non si tratta di dissensi personali o personalistici {non mi preoccupa, cioè il tuo « garbato dissenso » da un mio articolo, anzi ti ringrazio della attenzione che la tua rivista dedica sempre ai miei lavori, che probabilmente non la meritano); b) non si tratta nemmeno di divergenze di fondo, ideologiche, veramente abissali ( per uscir di meta/ ora, penso che voteremo per lo stesso partito, ammesso che non cambi idea prima delle elezioni, e ammesso - ed è già piu difficile da ammettere - che questo oggi significhi qualcosa). Se penso sia meglio che io non collabori alla tua rivista, ciò si deve proprio a un'esigenza di chiarez::.a: per non aumentare cioè la confusione lamentata da llfa· rio Cannella nella sua lettera Di cosa scrivere? Per chi?, lettera che la redazione accetta evidentemente in blocco e fa sua, e eh.e anzi offre il destro per la garbatissinia, civilissima, sacrosanta polemica nei miei confronti. Ora, la lettera di Mario - che considero un caro amico e un giovane di qualità promettentissime - mi sembra generosa quanto con/usa, pericolosa. È vero che Calvino scrive sul Corriere quel che scriverebbe mll'Unità, è vero che Aristarco scrive sulla Stampa in perfetta coerenza con quello che scrive su Cinema nuovo; e che io bevo coca -1
cola, un prodotto degli imperialisti americani. E allora? La situa:;ione oggi si presenta certamente piu sfumata, pi1i di/ f icile di quanto si presentasse negli anni dei blocchi e della guerra fredda: vi sembra forse - a te e a Mario - un buon motivo per disperarsi e tacere? lo non faccio l'elogio dell'integrazione a ogni costo, delle « modifiche dall'interno », che so, del centro sinistra: tengo solo per il reali_•mo ( il quale non significa, almeno spero. qualunquismo filisteo} e per la chiarezza (che non significa o non dovrebbe significare, supina accettazione della realtà). Scrive Cannella: « sinceramente mi sento quasi incapace cli scrivere qualcosa di Antonioni o sullo ultimo film cli Visconti se prima non chiarisco quel che mi 11rge dentro. con la rabbia necessaria, se non parlo cioè cli A mendola, del neocapitalismo, della crisi del movimento operaio, della coesistenza pacifica, ecc.». Temo proprio che q11esti siano problemi suoi - o devo pen· sare che, quando tiene le sue quotidiane lezioni in una scuola statale ( organisnio, almeno spero, non rispondente in pieno alle sue esigenze rivoluzionarie e intransigenti), dica ai suoi ragazzi press'a poco cosi: « chiudete il libro, non posso spiegarvi la storia degli Egizi se prima non premetto qualcosa di A mendola e la coesistenza pacifica »? pero invece che cerchi di fare quel che bene o male cerco di fare anch'io tutti i giorni, cioè di spiegare gli Egizi in modo tale, secondo una tendenza cosi riconoscibile, da lasciar capire quel che penso della coesistenza pacifica e di A mendola, da preparare poi i ragazzi ad affrontare questi e altri argomenti con gli strumenti adatti. Se si vuole scrivere di Visconti e 1i A ntonioni, il problema non è a mio avviso molto diverso. Cultura astraua, a settori, umanesimo sterile in ritardo? Ma d'altra parte si cadrebbe in 11 na strumentalizzazione inutile: si lascino stare addirittura Visconti e A ntonioni e si parli di A mendolti tout court, non utilizzandolo solo come preambolo. Oltre t11tto. mi sembra anche un elementare dovere di cortesia e di chiarezza verso i « quadri potenziali del futuro partito di classe » che dovrebbero costituire, in attesa di migliori occasioni, i lettori di Giovane critica. Schematizzando al massimo, direi che il nostro dissidio è questo: voi riman2date l'esame del muro pericolante (la metafora è tua) ,1 un ipotetico domani in cui tutti i cittadini saranno geo· metri e carpentieri, tutti i muri saranno caduti oppure incrollabili, a me pare che (dato che siamo intanto in questa casa, e che siamo minacciati da questo muro) sia meglio cominciare da un inventario preciso di quel che si ha sottomano, da un bilancio delle proprie forze, da un'analisi degli ostacoli da abbattere. Lavorare subito, dunque. Ma come, dove e per chi? Cannella ha ragione quando avverte i pericoli insiti nella accettazione della polemica come normale routine, che a nulla impegna e nulla vale a scuotere. Del resto, perché stupirsene? Oggi abbiamo Joyce a trecentocinquanta lire nelle edicole, i film « da cineclub » alla tv, i quadri « di avanguardia » sulle scatole di cioccolattini. Prodotti culturali che un tempo nascevano con una funzione di rottura, oggi .rnno pacificamente o comunque meccanicamente accettati. Quel che un tempo era destinato ai pochi eletti viene messo ( almeno teoricamente) alla portata di tutti. Si potrà discutere la politica dell'industria culturale, il « sistema » che trasforma i valori culturali in simboli di status, di raggiunto prestigio sociale ( il disco di Mo· zart o la copia dell'Ulisse in ogni casa, l'abbonamento al teatro, eccetera) : ma il fatto in sé, mi sembra irreversibile. A meno di non cadere in rimpianti reazionari sulla decadenza dell'arte, che mi sembrano fuori questione, il problema « per chi scrivere », legato poi a quelli del « come » e del « dove » scrivere, mi pare che ammetta solo due soluzioni: la prima di tentare un dialogo, onesto e << impeg,nato », con tutte le nuove categorie di << fruitori » ( che brutta pa1ola}, magari fornendo loro gli strumenti per valutare quanto loro viene « offerto », il significato di certe oflerte. la presenza o la mancanza di un sotto/ ondo culturale autentico e ancor valido nei prodotti correnti o riproposti; la seconda consiste nel rifiutare sdegnosamente, vade retro satana, i compromessi e gli equivoci del « neocapitalismo " come pure di certa sinistra in. crisi (e la crisi c'è, eccome} tacendo del tutto o intessen.· do dialoghi metastorici con un pubblico di là da venire, il quale pubblico non può accettare un servizio sociale
come la receruione o la lezione di storia se prima non si sia riassunto il cammino del movimento operaio dal, tumulto dei Ciompi a oggi. Nonostante le apparenze, è proprio la prima strada a presupporre una visione globale, organica; mentre la seconda, sentendo la necessità di premettere i Ciompi agli Egizi e A mendola a Visconti, na· sce evidentemente da una concezione « settoriale ». Mah. A me sembra, insomma, che solo la prima strada possa modestamente servire a preparare la via per una nuova cultura (la quale dovrà sorgere organicamente, non certo grazie a noi soli o alle nostre collaborazioni e non collaborazioni giornalistiche). Né si tratta di una strada necessariamente comoda e di tutta tranquillità: tanto per fare un esempio non certo maiuscolo, io adesso nella mia città mi trovo estremamente « inguaiato » per aver attaccato pubblicamente un parlamentare comunista, dopo che questi, in una « tavola rotonda ii sul JI angelo pasoliniano, si era praticamente associato a un prete in un embrassons nous alquanto ridicolo. Traduciamo questa modesta notiziula provinciale su scala piu ampia, e i rischi di un dialogo « aperto » risulteranno evidenti. È comun· que la strada che mi sembra d'aver scelto, ed è diversa dalla vostra. Di qui la decisione di non collaborare a Giovane critica, pur conservando alla tua rivista un rispetto pieno, che mi auguro almeno in parte ricambiato. Meglio non mescolare ulteriormente le carte, meglio smentire la propria fama di « immancabile » ( cfr. p. 79 dell'ultimo numero) e lasciare ai giovani assetati di purezza come l'amico Cannella un'oasi non contaminata da alcuna macchia, da alcun sospetto : Giovane critica, appunto. Persone come me, che scrivono su riviste « borghesi » o peg· gio, che insegnano nelle scuole statali, bevono cocacola e lavorano per editori non sempre di sinistra, è meglio che non calpestino le aiuole. lo spero soltanto, in tutta sincerità e senza malizia, che non finiate per ritrovarvi sull'alta colonna nel deserto dello stilita bunueliano. Comunque vada, ricordatevi anche di noi, che balliamo nel night club. Ti salu!o cordialmente, e con i migliori aupri, Guido Flnk Ringrntia1110 Guido Fink per la sua lronchczza e lcahò; e per non aver messo del veleno sulla punta della sua spada. pur co,i acuminata. Mario Cannella risponderà implicitamente nel suo stu• dio ldeologin e ipotesi e.5tetiche nella critico riel neorealismo. che Cio11one ~ritica pubblicherò prossimamente. Fare rinv,•ntario delle proprie forze, te~sendo un dialogo serio con tutte le nuove categorie di •fruitori». diagnosticando i tempi di caduta del u. muro » ( caduta positi\la ~ Cesare Luporini acccn• nova ultimamPnte al « mostruoso rdificio clrl dogmatismo » e .,;i lamentava. con l"amarczza di chi è stato costrrtlo - dalla storia - n<l abitare e a parlare in quell'ctlificio. che le sue •macerie,. fos. scro ancora scltanto «parziali») o,•vero poltrire nell'estremismo ••erboso quanlo snobislico ( un alibi?) prorogando l'esame del « muro• ( dei lilm di Visconli e di Anlonioni. ma non solo di quello) n un domani in cui tutti i cittadini saranno • geomclri e carpentieri ,, ? on crediamo che i poli dell'alternativa siano ql1csti. Proprio uno dei nostri principali rollaboratori. Pio Baldclli. ha rcccntemenlc pubblicato un libro su Visconli, salutalo da Sahini come • un'utile tappa» nella denuncia di un • equivoco idcologicJ rd estetico » già compiuta da Asor Rosa per la letteratura. Noi diciamo che continuare a parlare di Vi.sconti come se non ci foMe staia una cri.si ideologica e politica pauroso nel movimento ope• rnio, come ~e ciò non scardinasse alle fondamenta il ruolo e la collocazione dell'intelleltuale, è profondamente deformante. Voi premiate Visconli, noi lo attacchiamo. Alla vostra prospettiva, nelh stima e nel rispetto per una rivista - Cinema nuovo - che resta la pili organica e la pili •classicamente• compiuta d'Italia, ne contrapponiamo un'altra, politica e culturale. Concepita non a 11\volino, ritagliando citazioni: me dal vivo di un'esperienza di organizzazione della cultura - il Cue di Catania e il Circolo « Mondo nuovo • <li Cosenza - che per c5.5crsi s,•olto in provincia non crediamo meno signHicativa. Esperienza cui è legata 1a con~ slot azione del1o svuotarsi dei Cue di ogni funzione e contenuto: la loro azione di diffusione della cultura cinematografica presupponeva appunto la esistenza di un capitale. do investire (in film r in intc.rpretnziooi do offrirne: mi riferisco al neorealismo, H 'serpenlc di 1'1ure• della noslra cultura cinemalogralica degli anni '45.'60), di un mucchietto di 'verità' acqui,itc, oggi finalmente logoratesi. Dice bene Fortini, di non credere piu alla • battaglia ,lclle idee " m• soltanto alle « baltaglie • e alle « idee •· Alla germinazione e ,Ilo sviluppo delle quali, in viola delle (uture • bai• laglie •• contando su un pubblico ristretto ma che esisle (ben pi,i • metafisica • mi appare la nozione di • masse • qua1c emerge, tonlo per citare un emico le cui posizioni sono lontanissime dalle nostre, negli &critti su • il pubblico e la cultura cinematog·ra.fica • di F. M. De Sanclis), è dedicato il nostro lavoro. i;. m. 3
problemi • • della cr1t1ca Sul metodo 4storico-estetico hegeliano e 'è un punto delle Lezioni sull'estetica in cui le componenti metodologiche dello storicismo estetico hegeliano assumono una apparente o provvisoria forma problematica ( nei limiti, intendiamo, cli un 'avvertenza giustifica• tiva). Proprio all'inizio della trattazione sullo sviluppo dell'ideale nelle forme particolari del bello artistico ( all'ingresso, cioè, della << fenomenologia » dell'arte), la questione del « carattere dubbio del simbolico in mitologia e in arte » porta Hegel alla considerazione di un bivio metodologico, quale sembra risultare, ap• punto, d:i due opposte direzioni :nterpretative dell'arte e dei miti antichi. « La prinia - dice Hegel - considera la mitologia come storie semplicemente este• riori, cht: sarebbe indegno confrontare con un Dio, benché considerate per sé possano essere graziose, amabili, interessanti e perfino di grande bellezza; men· tre non debbono però dare occasione ad ulteriori spiegazioni di piii profondi ~ignificati. La mitologia va quindi considerata solo storicamente, - secondo la forma in cui esiste, - poiché da una parte, per il suo lato artistico, essa si mo• strerebbi: per sé sufficiente nelle sue figurazioni, nelle sue immagini, nei suoi ùèi, nelle loro azioni e nei loro casi, anzi darebbe già in se stessa la spiegazione di tutto mettendo in rilievo il significato delle sue immagini; mentre d'altra parte essa, secondo la sua genesi storica, si sarebbe sviluppata partendo da inizi lo• c;ali e in hase all'arbitrio di sacerdoti, artisti, poeti, e ad eventi storici, favole e tra• dizioni straniere. li secondo punto di vista invece non vuole accontentarsi del lato ooltanto esterno delle figure e dei racconti mitologici, ma sostiene che in essi è im• plicito un senso generale piu profondo che è compito della mitologia, come consi• derazione scientifica dei miti, conoscere dietro il suo velarne. La mitologia do·
1 HECEL, E11e1ka (trad. di N. Mer• ker e N. Vaccaro), "Milano 1963, pp. 410-01. vrebbe quindi essere inte·a simbolicamente. Simbolico, infa11i. significa c1ui solo c.he i miti, in quanto prodolli dello pirilo, per quanto bizzarri, frivoli, grollcschi, ccc. possano sembrare e per c1uanto siano mi chiati ad accide11tali1à arbitrarie çslcriori della Cantasia, abbracciano tullavia in sé significati, cioè pen ieri gene· rali sulla natura di Dio, filosofemi»'. Si tratta di un bivio metodologico eHellivo, ·mche se nel testo hcgeliano citato traspare piullosto chiaramente la tendenza a proiettare e dissolvere la negatività reciproca dei due procedimenti al livello di una neutrale collaternlità: quasi pote e, l'intenzionalità storica ( empirica), esser chiusa fuori dallo spazio scientifico (se pure speculativamente delimitato) c però esser destinala a un uHicio solo supplementare o secondario; e il secondo punto di vista, indicato come quello inerente a una considerazione scientifica, non pre• tendesse - conformandosi perfettamente a un disegno finalistico o ideali ticamente unitario - di allribuirsi una superiore capacità di penetrazione e di com• prensione storica ( ovvero il privilegio di quella storia che Labriola chiamava « storia dimostrata, dimostrativa e dedotta »). Si tratta, fondamentalmente, dell'opposizione tra il procedimento storico-estetico ( nel senso oggettivo e specifico), o metodo volto a cogliere l'oggetto artistico nella determinate:;za del suo signif icato («esteriorità », nel linguaggio hegeliano) e il procedimento storicistico in ~enso idealistico o deduttivo-regressivo, che astrae dalla forma propria dell'oggetto per adattare il contenuto di questo al livello formale della categoria, se· condo un piano speculativo-sistematico. Nell'orizzonte hegeliano, il divario tra le due impostazioni metodiche è questione che interessa la mitologia solo quando il mito sia inteso - come deve essere - nella sua unità di fenomeno estetico-religioso; né coinvolge in pari misura le tre fasi della fenomenologia dell'arte, ma si produce e si evidenzia nella sua forma piii problematica di fronte alle opere dell'arte classica, nelle quali la perfetta congruenza di forma e contenuto chiude per se stessa ogni adito al simbolo e alla simbologia. Hegel: « Significato e rappresentazione sensibile, interno ed esterno, cosa ed immagine non sono allora piii distinti gli uni dagli altri e non si presentano piii, come avviene in ciò che è propriamente simbolico, semplicemente come affini, ma si presentano come un tutto, in cui l'apparenza non ha piu altra essenza, né l'essenza altra apparenza fuori di sé o accanto a sé. Manifestante e manifestato sono superati ad unità concreta. In tal senso gli dèi greci, nella misura in cui l'arte greca li pone come individui liberi ed in sé autonomamente conchiusi, non vanno presi simbolicamente, ma sono sufficienti per se stessi. Le azioni di Zeus, di Apollo, di Atena proprio per l'arte appartengono solo a questi individui e non devono rappresentare niente altro che la loro potenza e le loro passioni. Se ora da tali soggetti in sé liberi viene astratto come loro significato un concetto generale che viene accostato al particolare come spiegazione dell'intera apparenza individuale, ciò che in queste forme è artistico -5
2 /vi, pp. 414-415. ' lvi, p. 412: « [. •.] dal fatto che gli antichi non pensassero, nella loro mitologia, a ciò che noi ora vi trovia• mo non consegue affatto che le loro rappresentazioni non siano, e non deb. bano quindi essere considerate in sé come simboli; giacché i popoli, nell'cpo• ca in cui creav:rno i loro miti, vivevano io condizioni esse stesse poetiche, prendendo quindi coscienza del più profondo del loro intimo non' in forma di pensiero, ma nelle ligure della fantasia, senza separare le rappresentazioni astratte generali dalle immagini concrete. Che le cose siano realmente cosi, è quello che qui dobbiamo essenzialmente fissare ed accettare, sebbene non sia da escludere che si possano spesso insinuare io questo genere di spiegazioni simboliche, come nelle ricerche etimologiche, delle combinazioni semplicemente artificiose, ingegnose». 6viene scartato e distrutto »2 • In questo breve trailo, Hegel a suo modo afferma una verità estetico-scientifica fondamentale, che nell'imponente trattato estetico del filo ofo tedesco trova séguito soprattutto a un grado generico ( nel senso cli un'avvertenza solo formale, di un « alibi » speculativo), ma che comporta o richiede chiarimenti ulteriori e degni di considerazione. Per noi, essa significa soprattutto che: 1) lo Zeus di Omero, in quanto idea poetica, non solo non sopporta iJ peso - estraneo e inerte - di un astratto confronto teologico, ma è tale da riassorbire, ai fini della sua parte poetico-contestuale, lo stesso - obbligato - nesso storico con lo Zeus della mitologia: poiché, ad esempio, là dove Omero dice: « 'H xai xvavÉ!)OlV ln' Ò<pf?UOl vEùoE KQov(wv/ .... », l'idea poetica della quieta e propizi'.! terribilità del cenno delle ciglia che fa scuotere l'Olimpo non è peri· frasi o aggiunt<i esornativa alla concezione della potenza e dell'autorità di Zeus, ma è - rispetto allo Zeus della mitologia - una conferma in funzione di una trasgressione qualitativa (l'invenzione di un diverso significato), cioè un'idea che assume dialetticamente il suo precedente mitologico in un diverso ordine contestualc·significativo; 2) le opere dell'arte « bella » in tanto si oppongono a una traduzione generica del loro contenuto determinato in quanto tale traduzione, infrangendo o eccedendo la loro legge interna, coinciderebbe con la negazione della loro signiCicazionc speciEica e quindi della loro stessa ragion d'essere; e però la chiusura estetica che nell'opera d'arte si riscontra al li vello dell'astrazione generica appare inevitabile e totale, ma non è altro, per noi, che l'indice speculativo della complessità del legame storico-dialettico su cui poggia la logica specifica ( l'organicità contestuale) dell'opera stessa. A questo segue, per un lato, che, ove sia inteso nel senso veramente scicn• tiCico, libero cioè da riserve speculative, il riconoscimento hegeliano di cui sopra è tale da eliminare il bivio metodologico già prospettato, poiché comporta non una semplice abilitazione ma l'obbligatorietà, sia pure non esclusiva, dell'accertamento storico-Eilologico ai fini di un'esperienza estetica scientifica in senso proprio. D'altro lato risulta inequivocabile che, in quanto inipone come essenziale la scelta opposta•, il programma concellualistico di Hegcl non può di per sé produrre eh~ un discorso estetico disposto iperbolicamente a vani/ icure l'esteticità dei suoi oggetti. L'opposizione dei due procedimenti si configura insomma, secondo un obbligo rituale interno all'àmbito filosofico hegeliano, come un'alternativa solo apparente o fittizia, destinata a dileguarsi cli fronte all'urgenza e alla prcpo• lenza del disegno unitario-onnicomprensivo e a lasciar quindi via libera a una fu. ga speculativa dall'arte stessa; come dire che, nel momento stesso in cui vede e addita il luogo autonomo della rappresentazione artistica, Hcgel antepone alla via che porta all'opera d'arte la via che ne ollontana, cioè finisce per avvantaggiare - 11 scapito del metodo propriamente estetico ( eh 'è insieme storico e scientifico, in nesso reciproco) - il metodo dell'astrazione speculativa, che riguarda gli og-
• Ovvia conseguenza di tale assimilazione generica: il sostanziale disconosci• mento della trasvalutazione poetica che le figure degli dèi ( e degli eroi) del mito subiscono nei poemi omerici. Si può notare, di passaggio, che nel di• scor.io hegeliano sull'epos il distacco ge• nerico dal testo poetico è segnalato, tra l'altro, da riierimenti testualmente infondati e da dilatazioni estremistiche - per sottrazione dal contesto - dei 1ignificati di taluni luoghi poetico-narrativi. Si tratta di sviste o di arbitrii interpretativi che, nell'àmbito apeculativo hegeliano, tengono ovviamente un posto solo marginale e che, per tanto, al di Cuori del senso sopra accennato, sono - come già avvertiva Engels - trascurabili. • Vale qui la pena di rilevare che il carattere comico di alcune vicende (' errori ' o • licenze ' terrene) degli dèi de11,epos omerico viene artificiosamente giustificato, da parte di Hegel, come una sorta di riscatto ironico dell'este• riore antropomorfismo degli dèi gyeci ( cfr. E,1e1ica, cit., pp. 658, 1421-1422). Non sfugge - a tacer d'altro - quanto poco tale giwtificazione ai accordi con la tesi hegeliana dell'oggettività della forma epica, forma oggettiva di un con• tenuto oggettiYo ( cfr.," ivi, le pp. 1372, 1387-1389, 1411). getti artistici solo nella misura generica in cui ne accetta contenuti per siste• marli al di là della « limitatezza » attribuita alla sfera dell'arte. Con questa ine• vitabile conseguenza: che la fenomenologia estetica hegeliana, chiudendo in una sorta di parentesi i valori artistici concreti e svolgendosi tendenzialmente al di fuori ( al di sopra) di essi, tanto piu esattamente sembra cogliere e definire i suoi oggetti quanto piu esiguo o incerto è il loro valore specifico ( v. il discorso sui miti greci), e - viceversa - tanto piu in effetti li trascende, e però giunge a sva• lutarne paradossalmente la concreta realtà estetica, quanto piu alto è il loro grado di artisticità, quanto piu alto, anzi, tale grado risulta entro le stesse parentesi hegeliane ( a questo riguardo, l'interpretazione dell'epos omerico può essere rite• outa io particolar modo esemplare): s'è già accennato come oell'àmbito hege- !iano affiori una capitale difficoltà metodologica proprio io riferimento alla perfezione delle opere d'arte degli antichi greci. Le varie fasi e il senso ultimo della conversione generica che Hegel impone ai significati artistici nel suo itinerario fenomenologico possono risultare evi• denti anche da una sommaria considerazione dell'esempio medesimo - gli dèi greci (secondo Omero)- da Hegel avanzato per significare l'autosuHicieoza delle rappresentazioni artistiche e quindi l'incompatibilità che si genera tra la forma peculiare di tali rappresentazioni e l'astrazione ( simbolica) come mo• mento di un loro totale recupero concettuale. Il curriculum eterologico a cui nel discorso hegeliano sono indotti i significati poetici di Zeus e delle altre divi, nità omeriche può essere indicato nella seguente progressione schematica. Anzi tutto, Hegel assimila il piano degli dèi omerici al piano degli dèi del mito fino a identificarli, per cui l'ovvio nesso genetico si contrae e si risolve unilateralmente nel senso del genere o prossimo antecedente storico·culturale, con una riduzione - permessa e giustificata dall'ipostasi contenutistica - della ve· rità delle figure poetiche alla dimensione significativa degli dèi della favola reli• giosa popolare, il cc lato » estetico risultando - per l'astratto isolamento io cuì la forma artistica è prospettata - come luogo vacuo, privo di serietà e di ragione '. In secondo luogo, Hegel discrimina, nell'àmbito stesso dei contenuti religiosi del mito, le manifestazioni l'onformi agli attributi della gravità e maestà, impliciti nell'astratta idea del divino, dalle manifestazioni strettamente indivi• duali o esteriori, imposte alle divinità greche dal rigoglioso arbitrio fantastico ch'è l'eccesso ( e il difetto) dell'impulso mitopoietico: distinzione con cui Hegel conforta ed estende al mito greco io generale le note censure moralistiche dello scrittore del Sublime, onde predispoi-re i contenuti mitici all'aggiunta simbolica, ovvero al « riconoscimento » speculativo della verità in essi « adombrata ii'. In conseguenza, il concreto vincolo originario tra il contenuto religioso del mito e il a lato » della rappresentazione sensibile è da Hegel indicato come il !imite immanente della concezione greca del divino ( la religione greca come la -7
• Donde la perentoria sconlcssione hegeliana della verità implicata dal conrello poetico sehilleriano: « Quando gli dèi erano ancora umani/gli uomini erano più divini • ( ivi, pp. 668-670). ' lvi, pp. 656-658. • Clr., ivi, pp. 658, 1421-1422. ' Vedi in proposito le conclusioni critiche a cui perviene GALVANO DELLA Vor.. rr in logica come scien:a positiva. \lr"6ina-Firrnze 1956 (2' ed.). pp. 55-60. 8stessa religione deirartc), la cui negatività risulta sul piano sostanziale, hcgcliano, da un confronto generico dell'esteriore antropomorfismo degli dèi classici con l"autropomor(i mo << santificato » del cristianesimo ( ovvero col mistero cristiano della transustanziazione): per cui, il compenso esterno che la ( manchevole) sog· get1i,·ità di Zeus lro\'a nell'oscura onnipotenza della « Ananke » diviene - per licgcl - indice di un'esigenza d'interiorità alla quale il mito, nella sua ( impari) tcn ione intuitivo-sensibile, non può dare ri posta, se non configurandosi, hegelianamcntc, come riOcsso esteriore, allegorico, della mistica - e misticamente presente - unità cristiana ( secondo un criterio che restaura il simbolismo medioevale della « verità ascosa sollo bella menzogna » per adallarlo a una menomazione spiritualistica della positività reale, storica, dei miti e dell'arte classica)'. In ultimo, Hegel assume le mitiche e poetiche « epifanie » - ovvero gli interventi degli dèi nelle cose umane - come simboli della potenza dell'univer· baie e della sua immanenza sul piano del finito, cioè come segni esteriori dell'« uni· versale di ciò che l'uomo è e realizza come individuo»', inasprendo l'interpretazione razionalistica Cino al punto d'attribuire l'espediente della personificazione allo stesso Omero, cioè fino al punto cli mimetizzare l'interpolazione a dato oggellivo 8 : a questo punto, la ridu2ione concettuale astratta dei significati poetici di Zeus e degli altri dèi è compiuta, « ciò che in queste forme è artistico i·iene scartato e distrutto » fondamentalmente, senz'altro compenso che una ( in sé innocua) finzione speculativa volta a conciliare astrattamente l'immagine e il suo significato, già astrattamente - artificiosamente - disgiunti. Che cosa distingue infine, nel confronto con la realtà oggettiva, empirica, dei fatti artistici, il duplice artificio logico hegeliano ( allegorizzazione dei conte11uti già metaforizzati genericamente) dal metodo dell'escogitazione simbolica di Federico Schlegel, quando si dia come scontato il dislivello tra i due piani e stili speculativi? Né, d'altra parte, il meccanismo formale dello storicismo este· tico hegeliano si discosta dal metodo che Creuzer impiega, nella sua Symbolik. per la storia della mitologia, se non per questa avvertenza: che nella ricerca della « verità interna » o significato generico delle rappresentazioni non si deve « perdere di vista » il lato dell'accidentalità o dcli'« arbitrio dell'immaginazione», ovvero che - proprio in conseguenza del loro verso aberrante o estetico - le determinazioni mitiche e artistiche non possono essere ridotte alla soluzione simbolica nella loro totalità contenutistica ( ch'è poi il simbolo dell'unità con• creta di contenuto e forma). Si tratta - almeno ai fini di un recupero effettivo dei valori estetici - di un 'avvertenza pressocché irrisoria ( un « alibi » speculativo), vi 'IO il segno negativo che l'estetico o sensibile assume nella fattispecie come nel quadro filosofico hegeliano in generale•. ( Ed è chiaro che se nel sistema hegcliano il « sensibile » ha luogo solo come segno d'avvio alla scalata verso l'as- ~oluto. cioè come prodotto mistico destinato a una mistica negazione, tale arbi-
•• V. Opere /ilo,o/iche siovanili ( tr. G. della Volpe), Roma 1963 (2' ed.). pp. 27-28 (Critico della /ilo,o/io· heseliana del dirillo pubblico) e efr., ivi, pp. 271-272 (Mano,crilli economico-/ilo- •o/ici del 1844). 11 Cfr. MARX•EN&ELS; L'ideolosia l«le- •co, Rama 1958, p. 42 ( e pp. 136-137). trio logico torna a scapito tanto piu grave del campo dei valori artistici, in quanto in esso il ruolo gnoseologico del « sensibile » si afferma nella sua positività piu complessa ed espansiva.) Che cosa resta, infatti, nel discorso estetico hegeliano, dei C'oncreti valori poetico·contestuali di Zeus « che aduna le nubi », di Era « dai grandi occhi » o dcli'« amica del sorriso » Afrodite, dal momento che la « verità >> hegeliana di tali idee poetiche coincide di necessità con la loro dissoluzione ete· rologica? Soggetto com'è al meccanismo della dialettica speculativa, il discorso contenutistico hegeliano tende inevitabilmente a riguardare il fatto poetico non qual esso è, ma piuttosto quale si vuole, idealisticamente, che sia: si attua, cioè, anche ndl'àmbito della filosofia dell'arte, quel ribaltamento idealistico per cui -- come dice Marx - « il concreto contenuto, la determinazione reale, appare come formale; la determinazione formale, del tutto astratta, appare come il contenuto concreto », e, insomma, il fatto artistico « ritrova » la sua verità o supe• 1 iore realtà solo nel punto in cui viene sussunto in una categoria storico-filoso· fica (la filosofia dell'arte come la vera realtà dell'arte)••. Si è già indicata la perJita dell'oggettività determinata, empirica, dell'opera d'arte come un ufficio del· l'ipostasi contenutistica e come il risultato di una serie di sostituzioni per identificazione generica: contenuto epico = contenuto mitico = contenuto religioso = contenuto filosofico. L'ovvia priorità del materiale storico della poesia (qui: il mito come precedente sociale-culturale dell'epos) si traduce in tal modo in una conferma del primato sostanziale dell'astratto contenuto, cioè in una con· ferma del dominio del generico, che - previa disintegrazione della concreta realtà poetica - si fa incontrastato ed esclusivo: s'intende come l'intenzionalità storico-contenutistica del grandioso inventario fenomenologico, attuandosi come istanza positiva, antiformalistica ( oltre Kant e oltre Schclling), nelle forme e nella misura imposte dallo schema deduttivistico, possa giungere a configurarsi, a un generico esame, come funzione insieme parafrastica e giustificativa del disegno logico-ideale ( ratio quaerit, intellectus invenit), e come la validità dei suoi esiti specifici - che per noi oggi si riassume soprattutto in un'ampia, magistrale potenzialità di suggestioni problematiche - possa finalmente risultare in rapporto inversamente proporzionale all'obbligo e all'incidenza dell'astrazione spe- <·ulativa. Non sfugge, in questo senso, la rispondenza perfetta che si stabilisce tra la riduzione generica del contenuto dell'opera d'arte e il metodo mistificatorio, ,oprastorico, della « profezia » au rebours, che distorce a tal segno speculativo il processo reale dei fatti da prospettare la storia successiva come scopo della storia antecedente ( laddove tale « scopo » non è che un 'idealistica « astrazione dell'influenza che la storia anteriore esercita sulla successiva »)11 • Importa cioè vedere anzi tutto che, nelle Lezioni hegeliane, tale criterio soprastorico - giustificato metafisicamente dall'unità dell'Idea - trova il suo congruo terreno metodologico mediante l'accorgimento speculativo della progressiva an-estesia del fatto -9
12 La teoria estetica crociana, cioè la teoria che pili nettamente si è oppo• sta, sul piano idealistico, al conccttua1isrno estetico hegeliano, non ha potuto evitare, per essere idcalisticamcnte coerente, un punto d'approdo che non fosse altrettanto ( ma ben piu poveramente) unilaterale e generico. Secondo Croce, l'opera d·arte, di fronte alle generaliz. zazioni contenutistiche di tipo hegeliano, si chiude nel guscio (speculativo) della sua perfetta particolarità, riconfermando in tal modo la sua assoluta autonomia (speculativa). Al lume dell'esperienza estetica che in concreto ne deriva, la coerenza di tale argomentazione, che non consente d'uscire dal terreno metafisico dell'ipostasi, vale per noi quale prova ulteriore dell'impossibilità di una soluzione del problema estetico-logico dell'opera d'arte nella sfera puramente idealistica. 13 V. Estetica come &cien.:adelfespres- ,ione e /ingui,tica generale, Bari 1950 (9' ed.), p. 337. 10art1sllco ( per cui - come risulta anche nei limiti dell'esempio già considerato - il contenuto artistico si avvia a perdere la sua storicità reale, specifica, nel punto stesso in cui viene separato dalla forma che lo determina artisticamente); e, in ~econdo luogo, che proprio tale criterio conduce, per gradi, a quella catastrofe ,oggettivistica dell'oggettivismo estetico hegeliano, di cui è coronamento la tesi della fine dell'arte ( tappa necessaria, a sua volta, della finale concezione di un presente senza passato e senza futuro, trionfo mistico della pura identità di sog· getto e oggetto). È noto che la tesi della morte dell'arte, sia essa considerata come luogo aporetico apparente o effettivo del discorso estetico hegeliano, costituisce un punto cardinale del rapporto tra il piano fenomenologico e il piano speculativosi tematico delle Lezioni. Di ciò dà conto - piu che a sufficienza - la letteratura critica sull'argomento, eh•!, nelle sue direzioni prevalenti, si è eser· dtata a porre in rilievo o invece a negare, a pareggiare in vario modo, sul piano dell'estetica, quel divario antinomico tra metodo e sistema che, dal tempo della « sinistra hegeliana » in poi, è la diagnosi piu perentoria e piu somma· ria del deficit interno all'opera filosofica hegeliana in generale. Se ci si limita .1gli esempi piu conosciuti e piu recenti si trova che, fatto il dovuto accenno al recupero sottilmente speculativo, in senso « hegeliano », che della tesi hanno operato Banfi e Bosanquet, non resta altro di notevole se non l'interpretazione crociana P, quella lukacsiana: cioè, da una parte, la critica unilaterale che Croce ha avanzato per far passare l'unilaterale coerenza razionalistica della tesi hegeliana quale prova autorevole, se pure e contrario, della validità del proprio formalismo estetico 12 ; dall'altra, la traduzione sociologica ( in sé acuta) che, della tesi, Lukacs propone in accordo con la sua intenzionale correzione materialistica della « contraddizione » dell'estetica di Hegel. Ciò che qui mette conto di sottolineare è il fatto che sia Croce sia Lukacs, seguendo o sottintendendo un 'accezione letterale della celebre tesi hegeliana ( decadenza e morte storica dell'arte), colgono, sia pure in diverso modo e con intento diverso, la sostanziale congruenza che si stabilisce tra tale tesi e il metodo storicistico-fenomenologico delle Lezioni. Tradotta in termini scientifici, la famosa definizione crociana, secondo cui l'intero discorso estetico di Hegel è un « elogio funebre dell'arte »", vale infatti a rilevare, per l'aspetto che qui ci interessa, che la tesi della fine delJ'arte è un presupposto fondamentale e decisivo della fenomenologia hegeliana; il che lo stesso Lukacs, pur sempre intento ad avvalorare la distinzione tra un Hegel « positivo » e un Hegel « metafisico », a modo suo conferma quando bcrive che nell'analisi e nella valutazione estetica dei fenomeni concreti il criterio della fine dell'arte non risulta applicato da Hegel « in maniera conse-
" Cfr. Contribuii olio •Iorio dell'esle• 1ico. Milano 1957. p. 132. " Basti qui accennare all'aa,ai dibal• tuia concezione hegeliana del rapporto arie-religione. Già certi hegelisti - an• che ortodossi - del secolo scorso vedevano in tale concezione ( arte come trapasso dalla religione naturale alla religione rivelata) un'aporia del sistema he• geliano dei gradi dello spirito. Si veda, a questo riguardo, quanto scrive Nicolao Merker nella prelazione all'edizione ila• liana dell'Esrerica di Hegel ( cit., p. :XXUI): « Il fallo che nella Fenomenolo&ia l'arte sia una determinazione entro lo religione, mentre nello Hegel maturo essa è un momento autonomo dello ' Spirito assoluto ' è parso a piU di un interprete una contraddizione degna di ri• lievo. Eppure la contraddizione fra la priorità della religione nella Fenomenologia e la priorità dell'arte ( come momento dello ' Spirito assoluto ' antecc• dente quello della religione) nel sistema definitivo sembra piu apparente che sostanziale. La successione arte-religione non implica infalli che prima dell'arte non vi sia religione né che dopo la re• ligione non vi sia piU arte. Si tratta, in effetti, di momenti che vicendevolmente si presuppongono secondo l'assioma dei lati dell'Intiero speculativo che presuppongono se stessi e 1ns1eme anche l'Intiero; e allora il filosofo può, ogni volta che ciò è richiesto dalle concatenazioni soggellive del suo personale sviluppo sistematico, collocare a piacere ognuno di quei momenti una volta prima e una volta dopo, una volta co• me l'uno che produce l'altro e un'altra volta come l'uno che è prodollo dall'altro: e iuomma, data la conrimione di Hegel che nello speculativo ogni momento successivo è piuttosto ' l'assoluto priw, la verità di ciò che appare mediato ', l'occasionale açambio fra i mc,. menti non è affatto contraddittorio nel• la aoatanaa •· guente »". Non pare dubbio, del resto, che tale criterio, se trova un preciso riscontro nella metodica e unilaterale riduzione coocellualistica del fallo artisti· co, eh 'è il fine e la falsa riga dell'itinerario Cenomenologico hegeliano, trae la sua ragione « sostanziale », a priori, nel concello dell'« intuizione sensibile JJ come grado inferiore della dialellica spirituale: bastando, questo responso spe• culativo, a farci intravvedere quanto spesso lo schematico sdoppiamento della estetica hegeliana sia indice dell'incoerenza dei critici piuttosto che di Hegel stesso. A tale riguardo, anche Banfi e Bosanquet, che giungono per vie diverse a ritenere hegelianamente inammissibile la soppressione di una delle forme essenziali alla dialellica spirituale, ci confermano, dalla loro parte, che quanti studiano d'individuare e dimostrare le interne antinomie dell'estetica hegeliana non fanno debito conto, in genere, della onnipotenza risolutiva e taumaturgica ch'è propria della hegeliana mistificazione - speculativa - del principio dia· lettico ( per cui l'opposizione generica, sottraendo e dissolvendo la misura reale delle determinazioni, si converte in metafisica indifferenza o identità: eh 'è poi soltanto lo schermo logico della ambiguità essenziale ad un razionalismo foo· dato misticamente). Finché la critica si eserciti all'interno dell'estetica hege• liana, di q=ta accettando la condizione generico-speculativa, oon si può dare, crediamo, antinomia hegeliana che non trovi, nel contesto, un suo autarchico e astrailo risarcimento 15 • L'innocuità di una inquisizione scolastica o puramente formale intorno alle contraddizioni interne dell'estetica hegeliana si rivela per intero e una volta per tulle in con&onto della coerenza metafisico-sistematica del superamento o « inveramento » dialellico che Hegel produce delle tesi tra• dizionali dell'arte come concello inferiore e come piacere senza concetto: una sintesi, quella hegeliana, che mentre rende giustizia - con l'ipostasi concettualistica - all'istanza di Leibniz, può assumere il « contributo » kantiano per convenzione dialellico-speculativa, assegnando all'arte un posto, ch'è insieme e paradossalmente definitivo e ad interim, nell'alto luogo delle forme dello spi· rito ( la generica dissoluzione della particolarità artistica coincidendo, finalmente, con il totale « recupero » dei valori dell'arte nell'idea o sintesi - ultima e prima - del bello). Dal con&onto con la demiurgica consequenzialità di tali astrazioni, le antinomie rilevate nel discorso estetico hegeliano dalla critica speculativa tendono in genere a risultare, nel loro senso piu vero, nient'altro che proiezioni &ammentarie e metaforiche della contraddizione fondamentale: quella che si produce nel rapporto tra la realtà positiva ( la specifica storicità) della opera d'arte e l'intenzionalità idealistica, soprastorica, del discorso estetico hege• liatw. Pare cosa fin troppo ovvia avvertire che, seguendo tale direzione critica, non si incorre affallo nella pretesa di svalutare o di contestare a Hegel il me1·ito d'aver genialmente convalidato le richieste di conciliazione tra arte e storia -11
16 Cfr. Contributi alla storia dell'este1,ca. cit.. pp. Jl3, 128. 1 7 È noto <'hc Luk3cs discrimina. ncll.1 fiJo-.ofia licgeliana. il formalismo si- '-tematico cl:1ll"istanza contenuti tico-dialettica: di qui procede la sua complessa trac.;posi1ionc ciel metodo hcgcliano in un in,·olucro materialistico. Se non che h rritira marxiana della mistificazione c:;perulati,·a coinvolge. né potrebbe e.iserc altrimenti. anche lo '-pccialc positivi,.;mo della filo ..ofia hcgdiana: tale critica non può ria,;:c.;umer,;i;n;Ìfatti in una semplice contr:lpposi1ionc del metodo dialettico hel'.!C"lianaolla ri~icla staticità dcll'uhimatum .;perulativo. ma riguarda propriamente- J"applica1ionc spcculati,•a e mistica cfr·llo stc ..... o principio dialettico di cui Ilc-,:?:Ch'aI fj._._ato1r forme fondamcnt,tli: sicrhé la denuncia della metodica mistific.-azione ciel movimento storico effettivo. c.-omr interna ncce!-sità del disegno sistrmatieo hegeliano. si converte, per noi, in un riconO!-C'imcnto della sostanziale eoc-rc-11:7m3 i-i1iro-.:;pcculativa della filosofia di li egei ( la contraddizione risultan• do. propriamente, nel conCronto con una applic-a7ione rigorosamente stonc1st1ca del principio dialettico, inteso come norma fun7ionalr, organica, e non come princ·ipio costitutivo della rcalt3 storica). Si tratta dunque di comprendere, sulla trectia della critica marxiana, che in I lrgel la proic7ionc simbolico-speculati- , a è solo in apparenza o solo assai parL.ialmente in contrasto con 1,oggeltivismo ( o contenutismo idealistico) della fenomenologia: quella estetica in particolare. 12 - che rappresentano, rispcllo a Kant, il segno piu postltvo della problematica l'Slctica dei romantici. Ciò che qui si discute e si intende negare è piuttosto la possibilità di dissociare nettamente quel grande merito storico-culturale dal catallcrc extra-scie11tif ico della soluzione che Hegel assegna al problema esteticologico dell'opera d'arte ( una soluzione che, nel punto stesso in cui contempera e ammoderna gli indirizzi estetici tradizionali, li riassume e a suo modo li esalta in tutto il loro lusso metafisico). Chi, restando formo al presupposto di una \'Crità estetica assoluta o puramente formale, presume ancora cli cogliere e d'isolare una parte in se stcs a valida e però sempre attuale delle Lezioni mediante il vccch io generico criterio della « doppia verità n hegeliana, va incontro - sul piano di una analisi cCCettiva dei risultati hegeliani - ad ambiguità e oscillazioni interpretative inevitabili, per le quali l'elogio del metodo di Hegel tende implicitamente a convertirsi in elogio ciel sistema, o, viceversa, la critica del disegno 1dealistico-sistematico tende a ritorcersi sul meccanismo metodologico Lhe in quel disegno trova il suo fondamento e la sua giustificazione. L'esempio in meritr, piu importante ci viene eia Lukacs: il quale, dichiarando - in un <aggio ciel 1951 - che nell'estetica hegeliana acquistano « nettissimo risalto n i tratti positivi ciel pensiero e dello stile del filosofo tedesco ( « l'universalità dello spirito cli Hegel, il suo senso profondo e acuto per le peculiarità e le con· tradclizioni in,ite nello svolgimento storico, la connessione dialettica dei problemi ;,torici con le quc tioni teoretiche e sistematiche concernenti le leggi oggettive generali n). e pur sempre confermando la necessità cli correggere anche nell'àmbito estetico !"antinomia hegeliana tra metodo e sistema ( nella schematica accezione confortata eia Engels), si spinge - inopinatamente - Cino ad ammettere che la « contraddizione» è reperibile io ogni singola analisi concreta di Hegel, cioè Cino a sol· tointcnclcre - senza averne sospetto? - che la (unzionalità ciel metodo rispetto al ;istema è in Hcgel cosi puntuale eia risultare determinante in ogni lato del suo discorso estetico 16 • A guardar bene, non si vede, a questo puuto, come la validità del metodo estetico di Hegel possa a Lukàcs risultare su altro piano che non sia ( osti tu ite le premesse) quello generico-speculativo: non si vede, insomma, come un ri, estimento materialistico del deduttivismo filosofico-storicistico di He1,'.elpos;,a comporre i termini supposti della contraddizione hegeliana senza determinare al tempo stesso una contraddizione vera, e capitale, nel campo della t icerca estetica marxistica. La soluzione lukacsiana può attuarsi, infatti, solo per l'elusione o il fraintendimento della riflessione critica cli Marx sul metodo hegel iano 11 , e, in particolare, delle celebri note estetiche della Einleitung del "1857, nelle quali la consapevolezza marxiana della specificità e complessità del problema storico dell'arte vale a render chiaro non solo il senso unilaterale di ogni astratta soluzione razionalistica, ma anche - e sia pure indirettamente - il carattere mistificatorio dell'accezione storicistico-soggettiva dei contenuti arti-
11 Cfr. io proposito i nostri Àppwati .su una questione marxiano, in Marzùmo ed e,tetica in Italia, Roma 1963, pp. 91-103. 19 Ne deriva inoltre, ed ovviamente, la sconfessione, sul piano scientifico, del criterio estremo che porta a un adattamento individualistico delle forme e dei contenuti artistici, non dissimile, nella sostanza, da quella « norimbergbizzazionc • dei miti tradizionali che Hegel trovava in Hans Sachs e addebitava a un difetto di cultura. ( Che questa specie di anarchismo estetico ahbia trovato la sua sanzione filosofica nell'àmbito neohegelistico gentiliano è per altro un fatto meritevole di particolare attenzione.) .tici che si cela dietro la soluzione concclluali tica hegeliana: nel riconoscimento dcli'« eterno fascino » che proviene dalla verità poetica dell'epos omerico i, implicato infatti il rifiuto di ogni formula metodologica che annulli l'oggettiva concretezza e quindi la storicità reale del fatto poetico. È noto che, per Marx, la verità dell'epos non è un puro e semplice riflesso delle credenze religiose o della realtà sociale che i Greci esprimevano nei miti, ma - anzi - i contenuti del mito greco sono nient'altro che i materiali, pur necessari, della poesia omerica ( di un diverso fatto di cultura, la cui dignità peculiare sopravvive al tramonto della circostanzialità sociale originaria) 18 • L'accento problematico posto da Marx in relazione alla suggestione che l'epos classico continua a esercitare su noi è strettamente connesso all'avvertenza (pur presente in Hegel) dell:. necessità del legame culturale tra epos e mito greco, e però deriva propriamente dal fatto che tale avvertenza storico-scientifica è indispensabile ma non basta a farci cogliere la peculiare positività del contesto omerico: a questo punto, all'interrogativo marxiano non si può dare altra risposta che non .ia il riconoscimento, in concreto, della costruzione logica specifica dell'opera poetica come condizione essenziale alla comprensione della specifica positività conoscitiva o storicità reale dell'opera stessa, e che - quindi - non comporti l'obbligo di un riferimento dialettico determinato ( su base storico-filologica) come obbligo interno all'esame della organica struttura significativa della poe- ~ia, cioè all'esperienza estetica intesa nel suo senso piu profondo e piu vero. F, si intende che in questa risposta alla complessa richiesta storico-materialistica di Marx c'è il rifiuto critico d'ogni giudizio pseudo-storicistico dell'opera poetica, sia che esso risulti dalla chiusa prospettiva estetizzante delle storie lellerarie particolari ( quelle in cui pare - diceva argutamente Labriola - che i poeti « si porgano la mano allraverso o al di sopra dei secoli, per comporre un'illustre catena »), sia che esso si produca mediante il dotto filtro di una «giustificazione» simbolico-concettualistica al modo hegeliano ". Quando ancora si afferma - nell'àmbito marxistico - che l'esame unilaterale dei contenuti dell'opera d'arte rende conto in se stesso del « lato » formale, e ci si :imita a convalidare genericamente tale criterio con il presupposto dell'assoluta identità di significante e significato artistici, questo estetico « buscar il levante per il poniente », in quanto non suffragato da un chiarimento scientifico, ri- ;ulta essenzialmente una conferma e una riabilitazione dell'unilateralità concettualistica hegeliana, e quindi un ritorno al metodo dell'astrazione generica ( al « versus-occasum-semper » idealistico). Di qui il limite dello storicismo contenutistico di Lukacs. Non a caso l'interpretazione che Luluics fornisce delle note estetiche dell'Introduzione appare nellamente restrilliva. Mentre pretende di riassumere e di convalidare il significato storico-scientifico della questione estetica posta da Marx, la formula lukacsiana dell'« autocoscienza storica della - 13
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