finitiva quella del Verga, figlio della sua Isola e in Ragione e Firenze. questo senso dell'Italia e dell'umanità - o anche Quasimodo, il cui 'ermetismo' degli anni '30-40 è anch'esso una esperienza di adeguamento ad quem, ma per un adeguamento a quo: un adeguamento dunque condotto su misure autonome e per una sintesi diversa rispetto a quella proposta dalla civiltà autenticamente ermetica. La verità è che il contatto accelera il processo centripeto della piu risolta civiltà continentale, ma tale processo centripeto avvenendo su un fenomeno cosi doloroso e drammatico qual è l'emigrazione, finisce con il risolversi anch'esso nel fenomeno stesso. Allora il poeta siciliano appare come una strana figura di emigrante, un esule sui generis che porta In giro la sua 'smorfia' ora dolorante, ora amara, ora sprezzante, cioè il suo carico di esperienze secolari fattesi ontologia e Individualità: e Individualità che perciò difficilmente si fa gruppo o tendenza, intesa com'è a risolvere in senso autonomo (si potrebbe dire 'dostoievskiano') la misura di ogni incontro con I segni della civiltà plu generale del paese. La mia esperienza di contatti col mondo poetico fiorentino rientra, penso, In questa costante. Lo stesso gruppo di lavoro con cui opero strettamente (gli amici Inisero Cremaschi, Gino Gerola, Franco Manescalchi, Gianni Tot! che lavorano con me In Quartiere) non è per me un gruppo vincolante ovverossia limitativo della mia libertà: al contrario è un gruppo di libera ricerca,_ che nello scambio delle reciproche esperienze (sulla base, si capisce, di una comune Ideologia dell'uomo e del mondo) può - e in questo senso lo lo accetto - essere di vitale conforto a stimolare, ad accelerare, a fissare Insomma, In termini rigorosi e fattuali, il processo della nostra reciproca libertà e pertanto del nostro individuale 'contributo'. 6- -- Prefazione a un gruppo di poesie dal titolo Ragione e Firenze (apparso In Quartiere n. 13/14, poi come sezione conclusiva nel volume Tra il dubbio e la ragione per I quaderni dello Sciascia). Ritengo utile al discorso sul ' rapporto ' riportare le ragioni del titolo che sono poi, si capisce, le ragioni del lavoro. - Le ragioni dell'Indicazione denominativa si suggeriscono nel bisogno che ho sentito ad un certo punto di proporre a me stesso la misura del rapporto, dapprima affatto fortuito o incidentale, con la città che mi ospita da piu di un decennio. È un'esperienza in fieri e come tale avrà se le avrà chi sa quali conclusioni; tuttavia qualche soluzione appare già chiara ed effettuale alla mia coscienza non so poi se nella traduzione di essa in espressione (poetica o critica). Anzitutto il senso della «storia>, che prima era Intesa da me in una accezione confusa tra l'engagement piu propriamente politico o partitico e lo sfogo emozionale diretto (rapportato se mal alla misura di una visione libertaria, del resto augurativa, aprioristicamente fissata e immobile); poi via via è emersa come disteso impegno etico operante sincronicamente e insieme diacronicamente sull'uomo e sulla cronaca dei suoi fatti vitali, pubblici e privati. Da qui il senso della «inquietudine> critica (o che è lo stesso il senso del «dubbio> etico-ideologico) per ogni apparente stabilità, ma insieme ad esso anche il senso della verità, cioè della «stabilità> medesima. Il tendere a una sintesi del segni (storici e perciò anche linguistici), il cercare la loro composizione rigorosa dai dati puramente empirici e strumentali, l'appassionarsi per una comprensione sempre phl approfondita di ogni dato effettuale fino alla conquista di una legge (morale e ideologica, cioè anche politica, e linguistica, cioè anche estetica), non conformi-
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