giovane critica - n. 7 - feb.-mar. 1965

tutto incentrato sul contrasto tra diritto divino e diritto umano, svolto, per di piu, spesso in battute quasi rituali con riferimenti scarsamente comprensibili ai nostri giorni, ed è intervenuto appunto a modificare il testo secondo i suoi bisogni. Il risultato è notevole, ma non differisce in linea teorica dalle varie rielaborazioni di classici da parte di autori moderni, come quelli di Giraudoux nei confronti di Plauto in Anfitrione '38, di Laforgue in Amleto ecc., e quindi è un po' fuori della nostra problematica anche se alcune soluzioni registiche - quella contaminatio tra le proiezioni della guerra moderna e le barbariche insegne guerriere - ci appaiono stimolanti anche in questo senso. Nel Don Gioi-anni di Molière, Brecht inserisce invece nel contesto originale alcuni passi di suo pugno, come l'istruzione guerriera del barcaioli che dovranno rapire la bella desiderata da Don Giovanni e lo scambio dei vestiti tra Don Giovanni e Sganarello, che in Molière viene solo accennato e non realizzato. Altri passi aggiunti convincono meno, come quello del medico e della fantesca che legge la mano a Sganarello, inutili per lo stesso intento di Brecht, che è quello di demistificare il personaggio di Don Giovanni, trasformandolo da amante-mito in un burattino che compie le sue conquiste solo grazie al suo rango e al suol vestiti. Tanto piu che questa interpretazione veniva già data alla perfezione ,dalla sola Impostazione registica brechtiana, e su questa linea il solo scambio di vestiti era funzionale. A parte questa mancanza di funzionalità, gli Interventi causavano anche un certo fastidio per la mancanza di soluzione di continuità tra testo originale e interpolazione, complicata dal fatto che già la commedia di Mollère contiene notevoli spunti pre-brechtlanl, dal quali Brecht evidentemente è stato stimolato, come ad esempio tutta la parte, nettamente classista, del pescatore che salva Don Giovanni e del racconto della toilette del signore. Anche 66 - in questa interpretazione si hanno, è logico, delle perdite rispetto al testo originario: principale quel tanto di positivo che Molière vede in Don Giovanni come campione della lotta contro la morale tartufesca [Non bisogna dimenticare che Don Giovanni fu scritta in fretta da Molière per riparare al vuoto di repertorio causato dalla proibizione di rappresentare Tartufo in pubblico, e che nel famoso monologo di Don Giovanni sull'ipocrisia egli sfoga tutto il suo risentimento contro la massa dei tartufi che si era scatenata con tanta virulenza contro la sua opera. N. d. A.], di cui si fa rappresentante Sganarello, che rimastica per tutta la commedia vuoti luoghi comuni moralistici, servo compenetrato dell'ideologia del dominio, da cui Don Giovanni si pone fuori, almeno per la parte sessuale. Certo su questa impressione ha influito la mediocre prestazione dell'interprete di Sganarello nell'edizione dello Stabile di Palermo da noi vista, aggravata dal contrasto con la smagliante perfezione del Don Giovanni di Parenti, interpretazione che non riusciva affatto nel non facile còmpito di fornire a Don Giovanni l'antitesi dialettica e di dimostrare nel tempo stesso la vuotezza di questa antitesi, ma anche con la sutura di una migliore interpretazione la perdita avrebbe in ogni caso riguardato la positiva carica iconoclasta del personaggio di Don Giovanni. In ogni modo anche in questo caso l'indicazione piu stimolante per il nostro problema viene non tanto dell'intervento drammaturgico, quanto da un'intuizione registica. Questo ci porta alla seconda soluzione proposta da Brecht per l'interpretazione moderna dei classici, quella appunto che si muove principalmente sul piano registico, anche se a volte può comportare qualche intervento sul testo. E' la soluzione per cui Brecht cl ha lasciato plu indicazioni teoriche, a partire da questo passo contenuto in Ettetto tnttmtdatorlo det classtct:

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