giovane critica - n. 7 - feb.-mar. 1965

disagio: quasi le molteplici chiavi e cifre formali impiegate dal regista - le deformazioni allucinanti, Il documentarismo televisivo, la parola dell'epica, l'incubo razionale fantascientifico - si ribellassero alle continue violazioni e prevaricazioni dell'autore. Non si tratta, come vorrebbe Ernesto Guido Laura 15, di una e non congenialità > di Kubrlck all'umorismo, o viceversa, ma di un umorismo che fatica a liberarsi da un fondo di autentico sgomento, di non mentita trepidazione. SI ride, ma si è colpevoli al tempo stesso del proprio e non preoccuparsi> quotidiano: e il rimorso collettivo, la paura non esorcizzata, restano a gravare sull'opera come residui ingombranti. Kubrick non ripete il miracolo de Il dittatore di Chaplin, dove la plu spaventosa tragedia del nostro secolo veniva vittoriosamente sconfitta dall'ansia di sopravvivere, e quindi da un riso legittimo, non e colpevole > o elusivo. Non ripete nemmeno Il suo stesso miracolo di Orizzonti di gloria, dove le gerarchie e l'oppressione, momentaneamente trionfanti, erano spazzate via moralmente dalla fede nell'uomo. Qui l'uomo è giustamente eliminato: resta il fantoccio, e resta la lezione generica, apocalittica. Dopo Lolita - dove già gli ideali di Orizzonti e di Spartacus subivano parziali rovesciamenti e smentite - Il dottor Stranamore risulta in certo senso allarmante: nel farsi cantore del nostro annientamento futuro, a metà strada tra la fantascienza e la scaramanzia, Kubrick non si arrende alla disperazione e ci incita alla disubbidienza; ma non sa piu trovare alcun argomento per dissuaderci dai giochi pericolosi - niente ideali e niente amore per l'umanità, soltanto la paura, una ben triste compagnia per i nostri giorni a venire. Con questo allarme - che per ora non intacca la validità delle singole opere, Stranamore incluso, e che va riferito senza dubbio alle contraddizioni oggettive cui si accennava a proposito di Loltta - si chiude per ora, e provvisoriamente, il discorso su Stanley Kubrick. Un discorso che Investe le realizzazioni piu che l'uomo, i film plu che la personalità dell'autore. Kubrick non è un regista divo, come Welles o Hitchcock: lavora seriamente, concede poche Interviste, non frequenta i festival e non fa dichiarazioni di e poetica>. Se ha una e personalità perversa> come vuole Sarris, o equivoca come vuole il suo ex collaboratore Dalton Trumbo '", non sono I suoi film a rivelarcelo. Al contrario, un film di Kubrlck tende sempre a schematizzare l'azione, a scarnificare I contrasti di fondo, a rendere e funzionali > le sfumature. Mentre tanti, troppi suoi colleghi trasformano le proprie incapacità in occasioni di lirismo, o vanificano morbidamente nelle loro ossessioni private il mondo che li circonda, Il cinema e indiretto> di Stanley Kubrick, virile e robusto nella sua disposizione saggistica, onesto e e professionale> nelle sue stesse variazioni Intellettualistiche, costituisce pur sempre un salutare antidoto. Guido Fink • Gumo AR1sTARCO, rizzonti di gloria, (recensione) in Cine• ma Nuovo n. 126, Milano, marzo 1958 (poi riportato in Film 1962, Milano, Feltrinelll 1962, pp. 146-147). Il Me! Miller a cui si accenna è un personaggio, Interpretato da Walter Matthau, del film A /ace in the Crowd (Un volto nella folla, 1957) di Ella Kazan. 2 HUMPHREY Coss, Path.s o/ Glory, Dell Books, New York 1957, p. 120. , ibid., p. 162. I dialoghi del film sono stati pubblicati in Cinema Nuovo 134 e 135, Milano 1958. • WILLIAM SHAKESPEARTEr,oilo e Cressida, I, Ill (la traduzione è di O. Baldinl, Rlzzoll 1963, p. 35). • Cfr. ad esempio l'opuscolo pubblicitario distribuito dalla Dear Film in occasione del lancio di Lolita. • Cfr. l'introduzione di SERGIOBORELLIa HOWARDFAST, Spartaco, Milano 1954, pp. XIV-XV. - 59

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