giovane critica - n. 7 - feb.-mar. 1965

tic::tmente all'attuazione del progetto « fine del mondo>; in Sette giorni a maggio un altro generale, sano di mente ma legato a estremisti di destra, cerca di destituire con la violenza un presidente « kennediano >, colpevole di aver firmato un trattato con i sovietici per la sospensione degli esperimenti nucleari; ma i suoi piani vengono sventati. Per chi si fermi a un giudizio superficiale, il film di Frankenheimer è più serio e magari «positivo> dell'altro: intanto « finisce bene>, con retorico sventolare di bandiere e di pacifismo; in secondo luogo attacca esplicitamente gli ultras, e, pur essendo per lo più confinato fra la Casa Bianca e il Pentagono, non dimentica, almeno in senso fisico, la folla, volutamente trascurata da Kubrick: c'è un raduno di reduci fascisti al Madison Square Garden, uno scontro fra picchetti di opposte fazioni alJ'inizio; e spesso il presidente Lyman si appella alJa < voce del popolo>. In realtà Frankenheimer, già autore di un film pioniere nel campo della cosi detta fantapolitica, l'irresponsabile e alJarmante Va' e uccidi (The Manchurian Candidate, 1962), segue uno stanco rimario, privo di autentiche vibrazioni o di coraggio: al generale fascista Scott contrappone il e bravo> colonnello Casey, che pur pensandola più o meno come l'altro in materia di accordi antinucleari pensa sia suo dovere ubbidire comunque al governo e al presidente: la vera alternativa del film non è fra democratici e fascisti, ma fra soldati che ubbidiscono a metà e soldati che ubbidiscono per intero. Diversa, anzi opposta, la prospettiva di Kubrick: l'avvio grottesco, e gratuito, gli permette di esaltare (in modo raffinatamente oggettivo e nonchalant) la disubbidienza al sistema come unica arma che l'uomo oggi abbia per sopravvivere. La molJa del piano R è scattata, il congegno messo In moto non si può arrestare, a meno che non accada l'imponderab!le, un guasto, un incidente, un'esitazione, un rifiuto, un am58 - mutinamento. Non accade nulJa di tutto questo: i personaggi del film, dal presidente Muffley allo scienziato Stranamore, dal folle generale Ripper al pili normale ( ?) generale Turgidson, non sono che marionette condizionate da un sistema mostruoso; e cosi pure l'equipaggio delJ'aereo che, per eseguire il piano R, va stupidamente a morire. Giustamente un critico {rancese ha paragonato questi personaggi ai cani di Pavlov 14 • AIJo spettatore, Kubrick, maestro del cinema «indiretto>, chiede stavolta quasi l'impossibile: fare il tifo alla rovescia, sperare che l'aereo venga abbattuto dai Russi o cada lungo la via: invece vediamo il maggiore King Kong che va a esplodere sulla base siberiana tutto felice e abbracciato alla sua bomba. AIJe ultime immagini, una serie di esplosioni atomiche che suggellano apocalitticamente questa lunga « commedia delJ'incubo >, come è stata definita, si unisce una canzonetta degli anni trenta, le cui parole acquistano, nel contesto, significati diversi: < ci rivedremo, non so dove, non so quando>, riporta al « tornerò e saremo milioni> delJo schiavo crocifisso; ma « sarai lieto di sapere - che mentre me ne andavo - cantavo questa canzone> è un ultimo schiaffo bruciante alla tendenza incarnata nel dottor Stranamore, la tendenza a « non preoccuparsi>, ad amare i propri padroni e la bomba come prodotto scientifico «puro>. (In questo senso la figura di Stranamore è ben pili che una semplice caricatura di von Braun, o di un rimando esteriore al nazismo: « Cammino, mein Fuhrer! > egli grida, levandosi dalla sedia a rotelle, alJe prime esplosioni atomiche.) L'arma della comicità diviene a questo punto essenziale per una partecipazione attiva e non tradizionale delJo spettatore. Ma al di là del riso - un riso nero, come in Lolita - pensiamo alle ultime parole del Galileo di Brecht, o all'Ipotesi sveviana della terra errante nei cieli come una nebulosa, libera da parassiti e da malattie. Ne deriva pili che uno squilibrio, un

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