giovane critica - n. 7 - feb.-mar. 1965

armata, è il primo tentativo di elaborazione e intellettuale> di una materia di per sé frusta; e l'elaborazione non appartiene, esternamente, alla regia o ai movimenti di macchina alla Ophtils, alla Aldrich o alla Welles, si alla struttura oggettiva della vicenda, alla matematica organizzazione di un piano delittuoso (una rapina all'ippodromo, da effettuarsi contemporaneamente all'uccisione di un fantino sulla dirittura d'arrivo, in funzione diversiva), e all'intrusione scontata dell'imprevisto e dell'assurdo in tale schema preciso (la valigia con i biglietti di banca che improvvisamente si apre all'areoporto, lasciando volare via il suo prezioso contenuto). In una serie di incastri, di passaggi in avanti e indietro, il tempo diviene autentico protagonista del film: un e tempo > relativo, scomposto come 1 piani del cubisti, ma in funzione di una organizzazione precisa da parte del personaggi, non già per dipingere in maniera caotica un universo senza coordinate. Lo scacco finale - come altre cose del film - riporta senza dubbio a Huston: ma al denso naturalismo di Giunga d'asfalto si sostituisce qui un secco rigore intellettuale, di natura per qualche verso nuova e stimolante. Le grandi figure di fuorilegge dei primi anni del sonoro - Paul Muni, il primo Cagney, il primo Roblnson - erano altrettanti Mister Hyde liberati da un ipotetico Jekyll al servizio della corruzione pubblica, e la loro sanguinosa fine, scontata fin dall'Inizio, autorizzava gli sceneggiatori a farne altrettanti capri espiatori del materialismo americano tante volte conculcato dal puritanesimo: a loro tutto si poteva concedere, dal maltrattamenti alla donna, al culto senza intingimenti del denaro e della potenza. Più tardi, 1gangsters hollywoodiani dovevano imborghesirsi, trasformandosi in onesti travet del delitto senza alone e senza foschi splendori: e sulle orme di Monsleur Verdoux, l'avvocato Emmerich di· Giungla d'asfalto parlerà del crimine come forma di lotta per la vita. Kubrick torna al clima originario, ma non per e mitizzare,, si per meglio celare, nelle pieghe di un'azione schematica e priva di sbavature psicologico-sentimentali, la natura autentica dei suoi personaggi, veri e propri intellettuali moderni impegnati nel vano tentativo di organizzare a loro modo la realtà (non dimentichiamo la e laurea> del pugile de Il bacio dell'assassino, e l'asserzione del radiocronista per cui e la cultura non giova alla boxe >). E la sconfitta del protagonista (Sterling Hayden) già può significare, in embrione, l'assoluta, desolante Impotenza dell'uomo di fronte alla realtà più stolida (Lolita) e mostruosa (Stranamore). Lolita e Stranamore, come vedremo, non sono comunque film negativi, o imparentati con stilemi e luoghi comuni dell'avanguardia irrazionalista e decadente. Resta peraltro evidente che 11moralismo intellettuale di Kubrick deve assumere dimensione storica, in prospettiva, per poter vibrare di un'autentica speranza, di una fede nei destini individuali e della umanità: Orizzonti di gloria, Spartacus. Il passaggio da un film e impegnato > come Orizzonti di gloria al colorato spettacolo e colossale > di Spartacus non deve far pensare a un abbandono, da parte del regista, delle sue istanze sociali, culturali e progressive. La raccomandazione dovrebbe essere peraltro inutile ora che siamo disposti, grazie forse alla voga francese dei e péplums >, a far credito ai cavalieri e ai romani antichi di Vittorio Cottafavi, come un tempo si era disposti a farne - e 11fatto, sul piano del gusto e della cultura, è ben più grave - alle fabiole e alle corone di ferro, magniloquenti quanto contraddittorie e impotenti, di Alessandro Blasettl. In realtà, Spartacus (id., 1960) è nella carriera di Kubrick il film più vicino, e non solo cronologicamente, a Orizzonti di gloria: anche se è lecito e giusto, sul piano dei risultati, anteporgli le due opere successive. Senza scosse avviene in Kubrick, geniale e riduttore > - 49

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