giovane critica - n. 7 - feb.-mar. 1965

« cose del mondo>. E' il linguaggio di una arretratezza e funzionale>, senza slanci e rassegnata ad agire in una quotidianità soltanto interessata; non tanto, e non piu (o non ancora) la lingua grottesca e senza fronzoli dei parà neocapitalistici - che è ancora una lingua d'élite. L'adozione di stilemi neocapitalistici a livello dirigenziale-politico è assunta attraverso i tramiti di un giornalismo beffardo, effervescente ma esautorato da uno specifico impegno di contestazione e provocazione, e ossessionato soltanto dallo sforzo e dall'urgenza di una informazione anonima e repentina, un puro referto disarticolato ed eteronomo. Scambiano dunque da piu parti, per moralismo, questo (nostro) impegno, questo proposito-urgenza, di uscire dall'equivoco dell'incertezza e dei colpi di mano, di distanziarci dall'uniformità eterogenea e dalla esornativa mistificazione avanguardistica, per qualificarci come altro da, in una disposizione di assoluta autonomia. Un rigetto delle occasioni; l'assunzione e ferma> di una diversa prospettiva operativa. Come scrive Verret: e Il socialismo elimina a poco a poco dalle coscienze le motivazioni suscitate da un mondo concorrenziale: l'egoismo selvaggio, il desiderio del possesso esclusivo, il gusto del dominio e del conflitto, l'amore della violenza. La presenza estranea, e per cosi dire forzata, dell'inumano nel cuore dell'umano ne risulta egualmente ridotta>. Un nuovo riproponimento politico? certo; una nuova forma di impiego. Che non sussiste o si ripresenta come retroguardia di miti decaduti o di una mitologia ideologica trapassata; bensi come base di una e precisazione> Ideologica, per un ri-proponimento marxista dell'attività artistica in una società borghese di cosi evidente e pericolosa arretratezza (e sia pure essa stessa conficcata dentro il confortevole étui, non troppo resistente, di una situazione capitalistica). Quanti sono consumati da tentativi di scalata al potere, da un sor38 - do rancore, ossessionati dall'età, acidi furenti contro l'esistenza (questa vita grama), vinti dalle occasioni, possono adattarsi ad altri esperimenti, concedersi altre libertà; o qualche libertà, tuttavia; affidandosi all'alibi della sconfitta sopravvenuta e delle e novità > che Incombono. Ma noi, piu semplicemente, non possiamo accettare questa tomistica rassegnazione né vogliamo adattarci compostamente per il regno dei cieli; non vogliamo accettare la delega a vivere di rimpianti, a consumarci in un ozio retribuito, a conteggiare per ribattere l'insonnia il numero delle passate occasioni. (Queste lacrime sono già state piante.) Alle spalle anni ed errori non contano già piu; o non sono la zavorra di oggi. E' altrettanto vero che siamo vivi oggi con questa volontà di servire. Certamente: di servire. Non accettiamo di rassegnarci ma, al contrario, di ribattere, rintuzzare, provocare, scoprirci. Non accettiamo ancora una volta la regressione del materialismo storico (il nuovo materialismo) al materialismo deterministico (il vecchio materialismo) « che considera l'uomo un prodotto dell'ambiente e non accetta ia prassi rivoluzionaria [ ...]. E' cioè l'espressione degli interessi conservatori della società borghese> •. Dobbiamo accettare ancora una volta e scegliere la lotta: la sua fatica, il peso dell'errore (del suo errore), le contraddizioni da comporre o da rifiutare, il suo sgomento (se c'è), l'empito comunque culturalmente provocante di un risultato finale. Riconosciamo che un lavoro non è finito - non solo, ma piu rudemente, che tutto o quasi tutto è da rifare. La pacata certezza conforta la nostra vita all'inverno. E' certezza che proprio nel motivato e disprezzo > (e non già plu nel e rifiuto >) di questa società, nella sua dichiarata e allarmante equivocità, nell'indifferenza ribadita verso e contro egemoni e piagnoni, integrati o relegati, può promuoversi una riforma dall'Interno nell'ordine delle strutture. Il disprezzo diventa anche (direi: soprattutto) una forma, un modo di difesa da se stessi;

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==