giovane critica - n. 7 - feb.-mar. 1965

rati) l'agire responsabile comporta un preciso impegno morale; un impegno cioè di opposizione all'ordine precostituito nella norma, al rifiuto degli adeguamenti e degli allettamenti con cui essa società avvolge ed esprime le proprie profferte; comporta un consapevole lavoro e impegno di contrapposizione e di contestazione, per e salvare la dignità prima che la genialità> (Gobettl). Anche se, per premeditazione e con Il responsabile proposito di volerlo esautorare con l'ironia, altri scambiano questo atteggiamento, che a noi sembra e necessario>, per moralismo (o comunque per un atteggiamento labile, equivoco e retrodatabile), a me pare che, a questo punto, e in questo tempo, un avvio realmente autonomo e produttivo al fine di un possibile o probabile rovesciamento delle posizioni tradizionali sia non pili Il rifiuto ma Il disprezzo ( che è e azione> autonoma e contraria); disprezzo articolato e razionale per ogni forma di offerta ufficiale, di accettazione nell'autorità, di rico:.. noscimento comunque esemplificato che provenga come concessione da e questa > società. Una ideologia di contestazione contrapposta finalmente col rigore della totalità demistificante all'Ideologia della classe dominante: che è una ideologia di giustificazione sulle norme tradizionali •. Il disprezzo, Il medievale contemptus, per gli strumenti e I mezzi di prevaricazione Ideologica ed economica proposti, ed esposti, dai potenti; Il disprezzo, e Il rifiuto, per quell'Illusione di forza e di mondana potenza, per la larva di autonomia che questa società insinua nelle profferte persecutorie. Ridurre nel coacervo del disprezzo, nel rifiuto della collusione, in aggiunta all'organizzazione di opposizione culturale (che si dovrà pur compiere un giorno; che si deve fare; che si sta facendo) Il maggior numero di scribi, retori, regnanti con le corti e maneggioni volgarmente grotteschi. Suscitare 11 contrasto e contestare con forza e con determinazione culturale gli strumenti con cui operano, dentro le strutture, i servi del potere e gli accademici in nuce. Non smarrirsi, ancora una volta, dietro le formule. Il moralismo Irrequieto e innocuo entro cui amici abbastanza autorevoli con paternalistica sopportazione (ma con altrettanta irritazione) intendono limitarci; o con cui gli estranei a noi estranei ci liquidano con un colpo d'insofferenza, non è altro, non altro vorrebbe essere che il richiamo a un impegno preciso di ordine Ideologico-politico nei riferimenti di un momento storico e della società (letteraria) che pretende di rappresentarlo e anche di definirlo•. Maestri del compromesso e efficace >, gli uomini che rappresentano a qualsiasi livello questa società hanno sempre pili ridotto il margine del probabile positivo nello svolgimento di un progresso (offerto dagli avvenimenti e dalle situazioni storiche via via sbloccate) per 11gusto del cavillo, che è timore della perplessità e una forma di difesa; della sottigliezza verbosa e antiquata, della indecisione cronica; e in definitiva per il riconoscimento (o la conferma) finale di una propria carenza culturale che si vuol mistificare con tutte le risorse del giuoco. La responsab!lità del potere, e del premere delle occasioni, proponendogli la necessità di verifiche continue, finiva (finisce) per coglierli e rappresentarli nella nudità disarmata e un poco viscida delle loro preclusioni culturali (innamoramenti repentini e instabilità). Il linguaggio della classe politica che dirige - e vorrebbe intanto pedagogicamente ammaestrare e sedurre - non è vero (come sostenuto da altri) che sia piatto nell'uniformità di una esattezza burocratica che rasenta lo scientismo; a me pare che abbia la piattezza piena di equivoci di una cavillosità altrettanto retorica che quella ottocentesca (cosi tortuosa), e che non si renda esplicita ancora una volta proprio per timore delle occasioni e della verità e per 11solito scetticismo (manierato e congenito e tuttavia freddo, spietato) sulle - 3'7

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