bita continuamente in esibizioni o istrioniche o nevrotiche 1 ; non sappiamo, cioè non ci proponiamo, per scetticismo della ragione, di risolvere alcuna questione di fondo 2 • In questo e stato>, a fabbriche erette con la presunzione di una modernità strutturale « effervescente> opponiamo situazioni di miseria piu nera; uno dei tassi piu alti di analfabetismo; autostrade di Venere e di Marte ma poveri sudici miserevoli ospedali dove si muore di vergogna (o dove si muore nell'attesa); cupola di Michelagnolo ma tuguri ubicumque; porciletti, sbiadite baracche per scuole; oppure niente scuole. Avvocati ci governano, verbosi e inconcludenti; ogni tensione si traduce in delusione. Scremati al margine gli uomini onesti e gli uomini sapienti che siano onesti; i galantuomini frastornati in cicliche crisi di improbabili furori. Le strade ridondanti di Keuner. Una borghesia maleducata (le e tristi lepri marzoline" di Marx), sessualmente esagitata, scettica per malanimo o ferma in una indifferenza sublime, conduce le fila burocratiche, attenta agli stipendi e che nulla si muova. Stadi per l'immobilità domenicale di folle ma biblioteche deserte, musei con orari impossibili, campi sportivi scarsi, periferici, costosi; nei giardini sfuggiti per un momento alla speculazione edilizia suonano i cartelli di non calpestare i fiori; nessun albero nelle città; per ogni situazione particolare e locale abbandonata all'improvvisazione la solqzione dei problemi che premono. La classe politica (a cui si adatterebbe la frase di Sartre: e si inventa delle opacità per paura della trasparenza>) untuosa fino al fastidio, ipocrita fino alla noia, indecisa fino all'irritazione, inefficace e inefficiente fino alla rassegnazione. Ogni contrasto partitico o governativo assume l'aspetto di una faida comunale soltanto rissosa; scopertamente inerme di fronte alle responsabilità, la classe che si identifica con le strutture sopporta e sollecita le pressioni gra36 - duate, gli umori, i consigli di chi può - e finisce per lasciarsi convincere e indurre alle solite conclusioni dalle sollecitazioni tradizionali. Una preghiera è soluzione confortevole (e magari pubblica) a un dubbio di coscienza, a una perplessità politica; un sorriso reso con amicizia copre la prossima legnata. Abbiamo sempre improvvisato e tradito; sempre lacrimato sulle disgrazie per compiangerci e mendicare compassione; sempre ostentato, in ogni modo, questa miseria e il suono dei nostri violini. Il profumo di aranci e limoni offerto in cambio di un poco di pietà. Relegati in basso nella «considerazione> mondiale (in quella considerazione, cioè, che si traduce in forza autonoma, in peso operativo) per quanto si riferisce alla nostra efficienza produttiva, organizzativa e di programmazione (nonostante il mistico affascinamento, anche abbastanza recente, dei vari intellettuali per la civiltà dei consumi e l'organizzazione neo-capitalista), illudiamo le giornate con la convinzione che riusciremo a cavarci fuori dal male delle contraddizioni con qualche estremo cavillo. Questa carrellata (ovvia, dopotutto, e per sommi capi) sulla nostra faccia consumata - che esprime nell'indifferenza o nell'ammicco l'arretratezza della nostra società - vuole premettersi a questa nota motivata sulla figura dell'artista in Italia, sulle sue implicazioni socio-politiche e sulle sue rilevanze ontologiche e tradizionali. Scambiano dunque per moralismo l'impegno, che è di alcuni, di voler capovolgere la figura tradizionale dell'uomo di lettere, dell'artista tout-court (quale è sempre apparsa in Italia), per ricuperarla, diversa, in un pragmatismo conseguente, socialmente e politicamente responsabile. Il problema morale è dunque, per noi, un problema di responsabilità nell'agire; direi che è ancora e soprattutto un problema di responsabilità nell'agire; e nella nostra società nazionale (1 cui aspetti si sono appena ora sommariamente decla-
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