giovane critica - n. 7 - feb.-mar. 1965

più universale, e quindi anche la più mistificatrice, ma all'universalità reale del proletariato, alla sua lrrelativa razionalità, non può più corrispondere una ideologia. Ben se ne avvede Il Mannheim quando distingue l'ideologia delle classi dominanti dall'utopia delle classi rivoluzionarie. Ma anche qui vale la considerazione che l'utopia del proletariato non è soltanto l'utopia più generale, meno ideologizzabile, ma è addirittura la non-più-utopia, cioè la coincidenza teorica di ideale volontaristico e di previsione scientifica (ricordiamo quanto Marx si contrapponesse agli utopisti e ai cucinieri del futuro), la commisurazione e la verifica pratica della dinamica dei rapporti di produzione. Nei limiti in cui la formazione dell'ideologia presuppone non soltanto un generico antagonismo, ma la contrapposizione difensiva a una nuova classe emergente, il proletariato non ha più ideologia e la politica, intesa come scelta fra ideologie - scelta etica e irrazionale - la politica e l'etica di per sé, nella loro separazione dall'economia (i rapporti di produzione), vengono a cadere. E il terrore mannheimiano di fronte alla fine della tensione etico-utopistica è soltanto l'espressione della sensiblerie piccolo-borghese per la decadenza del suo universo scisso, e per ciò stesso dotato di un significato morale (morale come scelta, umanesimo come separazione dagli uomini). Anche in un pensatore marxista cosi autentico e originale come Gramsci ricompare l'equivoco, contraddetto da felici intuizioni e soprattutto dal complesso dell'orientaménto teorico. L'accento Idealistico è fin troppo fastidiosamente evidente negli scritti di gioventù, come la Rivoluzione contro il Capitale. In un articolo dell'ottobre 1918 (cfr. Scritti giovanili, Torino 1958, p. 325 sgg.) egli afferma nettamente: e il certo è che l'essenziale della dottrina di Marx è In dipendenza dall'idealismo filosofico e che nello sviluppo ulteriore di questa filosofia è la corrente 30 - ideale in cui il movimento proletario e socialista confluisce in aderenza storica. Si pensi del resto all'uso grande che i socialisti fanno della parola coscienza, coscienza di classe, coscienza socialista e proletaria; è implicita in questo linguaggio la concezione filosofica che si è solo in quanto si conosce, si ha coscienza del proprio essere: un operaio è proletario quando sa di essere tale e opera e pensa secondo questo suo sapere». Questo genuino e involontario accostamento a Lukacs rappresenta l'inizio di un filone sotterraneo in tutto il pensiero gramsciano, felicemente contraddetto dall'esperienza pratica (pubblicistica inclusa) dell'Ordine Nuovo e della fondazione e sviluppo del Partito (in polemica con l'operaismo bordighiano), ma mai veramente superato sul piano della teoria, malgrado il dichiarato (ma incerto) distacco dalle iniziali simpatie soreliane. Se infatti scorriamo le più mature pagine dei Quaderni del carcere troviamo fianco a fianco la giusta definizione del rapporto classe-coscienza di classe e classe-ideologia rivoluzionaria, e soprattutto una ammirevole comprensione dei processi di penetrazione, mediazione e diffusione dell'ideologia nella classe, e insieme una concezione idealistica del rapporto medesimo, che culmina in una discutibile accezione del termine stesso di « ideologia,. Leggiamo nel Materialismo storico e la filosofia di B. Croce (Torino 1952) innanzi tutto una definizione dell'ideologia come « concezione del mondo che si manifesta implicitamente nell'arte, nel diritto, nell'attività economica, In tutte le manifestazioni di vita individuale e collettiva, equivalente laico della • fede ' e materialistico della • religione ' crociana (che è fede+morale adeguata); detta ideologia è la conversione, lo sbocco finale di ogni filosofia che sia diventata movimento culturale > (p. 7). L'uomo non è isolato, ma è sempre uomo-massa, uomo di un determinato gruppo sociale: per ciò che riguarda uno di tali gruppi, diciamo pure classi, e la coscienza di es-

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