prima (tratta dal saggio sulla reificazione, ib. p. 216) la coscienza di classe non è affatto una coscienza generica (Gattungsbewusstsein), non è particolare del proletariato, ma si caratterizza come tendenza al superamento dell'immediatezza e all'attingimento di un rapporto con la totalità della società, al di là del feticismo; si adombra quindi la possibilità di una scienza, esterna alla classe in quanto tale, che in essa trova soltanto il suo inevitabile portatore, per tutte le considerazioni prima fatte. Nella seconda (cfr. specialmente la conferenza sul materialismo storico, ib. p. 263) il legame classe-ideologia è organico, al punto di relativizzare i contenuti (le categorie, astrattamente scisse dal metodo) come verità condizionate a tutta la fase storica della dissoluzione del capitalismo e non oltre. Ciò che ha un aspetto giusto, ma scopre la confusione idealistico-storicistica della coscienza di classe con la classe e ripropone, a livello di uno storicismo assoluto, una distinzione di giudizi di fatto e di valore, di scienze storiche e naturali. La classe è l'ultimo travestimento dell'idea hegeliana. Da un altro punto di vista - nei termini del riformismo borghese - anche autori cosi diversi come Geiger, Halbwachs, Gurvitch tracciano un distinzione fra fasi contigue della coscienza di classe, dal semplice livello rivendicativo alla elaborazione di una «cultura di gruppo >, sistema autonomo ed esclusivo di valori. Ma il carattere spontaneo, interno alla classe, della coscienza spinge inevitabilmente a non cogliere il salto qualitativo che c'è fra autocoscienza e spontaneità da un lato, scienza e organizzazione rivoluzionaria dall'altro. Per cui il sindacato appare come la espressione pili coerente della < cultura > operaia. E il sindacato come culmine della coscienza di classe e garanzia contro le intromissioni della politica e della cultura di per sé borghesi ritorna, unitamente all'esplicita riduzione dell'ideologia a mito, in Sorel, che non a caso si contrappone aspramente a ogni mediazione intellettuale rivoluzionaria (polemica contro gli illuministi, specialmente Diderot, e il giacobinismo), parzialmente confluendo con la critica leniniana (di tutt'altra origine) contro l'evoluzionismo e l'opportunismo della socialdemocrazia contemporanea. La forte demistificazione delle ideologie e del processo di razionalizzazione degli interessi di classe si rovescia nel rifiuto stesso della ragione e del progresso storico e nell'esaltazione dell'ideologia-mito come arma della lotta di classe. E allora serve poco la distruzione, per quanto in sé suggestiva, del marxismo-storicismo (mescolati in modo da stemperarne i caratteri rivoluzionari in un democraticismo generico), se poi il punto di arrivo doveva rivelarsi un attivismo casualmente posto al servizio della causa proletaria. Con gli stessi strumenti, e forse più coerentemente, la bella e tutt'altro che disprezzabile critica delle ideologie compiuta dal Pareto si svolgeva in una giustificazione dei residui al servizio dell'utilità sociale (dell'imperialismo). Senza quel gusto della violenza (che è poi connaturale al vitalismo del mito), anzi con una qualcerta predilezione per il metodo democratico del confronto pacifico, lo storicismo neokantiano, da Rickert a Max Weber a Mannheim toccava paradossalmente le stesse sponde, contrapponendo in uno spazio irrazionale (lo spazio delle «scelte> etiche e politiche) sistemi ideologici in sé razionali, cioè coerenti e conclusi, accettando la critica soreliano-paretiana e recuperando la < verità > razionale al livello di una distinzione dei giudizi di fatto da quelli di valore. Anche nelle formulazioni più avvedute del pan-ideologismo, come quelle del Mannheim, sfugge la specificità del concetto marxiano di ideologia, che non è semplicemente il sistema di idee della classe dominante, ma un particolare sistema di idee dominanti la cui universalità è funzione della universalità formale, meramente politica, della rivoluzione borghese. L'ideologia borghese è l'ideologia - 29
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