timila volte di piu. Se aspettiamo, le cifre continueranno ad accumularsi, e i milioni di diseredati, di disgraziati, di agonizzanti a moltiplicarsi, perché questo è il risultato dello sfruttamento feudale e capitalistico. Per risolvere i problemi, non basta maneggiare cifre, o scriverle su lavagne e fogli; ma bisogna pensare al modo di cambiare la situazione. Ci sono molti esperti in cifre, ma gli esperti che ci occorrono devono saper cambiare la situazione, condurre i popoli alla rivoluzione, devono insomma conoscere, apprendere, sviluppare l'arte dei rivoluzionari, che è quella di saper portare le masse alla lotta! Perché sono le masse che fanno la storia, ma possono farlo solo se sono portate alla lotta». Ma vicino a questo impeto, mi pare che operi anche la riflessione pacata, che pondera accuratamente i termini delle situazioni: da qui deriva nei responsabili la certezza che non esiste rivoluzione senza organizzazione, senza una tecnologia avanzata, senza la creazione di nuove strutture democratiche socialiste, senza la partecipazione (dal basso) delle masse all'esercizio del potere, senza la prudenza necessaria a trasformare Cuba da paese agricolo in paese industriale. E, soprattutto, impegno della rivoluzione nella consapevolezza di operare nel legame con il passato e nel rapporto con il resto del mondo: < Sono sei anni di resistenza vittoriosa, e nello stesso tempo sono quarantasette anni di offensiva vittoriosa dei popoli e delle rivoluzioni - dice Fide! -. Perché la nostra rivoluzione forma parte di quel potente movimento rivoluzionario mondiale che cominciò' con la storica rivoluzione degli operai e dei contadini dell'Unione Sovietica. E' chiaro che da soli non avremmo potuto resistere all'imperialismo. Senza questa poderosa forza rivoluzionaria mondiale non avremmo potuto resistere al blocchi militari ed economici, ai tentativi di strangolamento per fame operati dall'imperialismo americano>. E ancora, nell'altra direzione, il presente della rivolu24 - zione: « Se un giorno gli imperialisti yankees, facendo uso di tutte le loro forze e di tutti i loro mezzi, si decidessero a distruggere questo paese, dopo non potrebbero dire che questo: li abbiamo distrutti, è vero, ma non li abbiamo avviliti. Noi sappiamo che questo pericolo è sospeso sulle nostre teste, ma sappiamo anche che oltre a noi esiste un intero continente, il mondo intero, perché noi non siamo solo cubani, ma anche sud americani, e ancora qualcosa di piu: siamo esseri umani, abitanti del pianeta Terra, e ciò che importa è la vittoria dell'umanità». In questo quadro va situata la presenza del cinema cubano. L'anno 1962 segna una data fondamentale per il cinema cubano. In quel periodo cessa bruscamente l'afflusso dei film nord americani: ed erano ogni anno circa 560 film, per un complesso di 500 sale sparse nell'isola. I dirigenti dell'ICAIC (il primo organismo culturale dopo il trionfo della rivoluzione: si tratta di un ente che regola l'intero ciclo del cinema cubano: produzione distribuzione esercizio; vi lavorano dalle trecentocinquanta alle quattrocento persone fra impiegati, tecnici e autori; dispone di sessanta cinemobili che proiettano in ogni angolo del paese) si trovano costretti a provvedersi presso la produzione sovietica e quella delle democrazie popolari: gli spettatori cubani si vedono, dunque, arrivare la massa della produzione cinematografica devota al personaggio positivo e al sedicente realismo socialista: spesso si tratta anche di fondi di magazzino. Di fronte a questa caterva indiscriminata di pellicole, spesso il pubblico reagisce disertando le sale. Si cercano altre fonti di rifornimento: il cinema italiano, quello francese, ecc. A questo punto, si apre una durissima polemica - fondamentale per l'intero campo della cultura cubana e per il lavoro degli intellettuali - tra A. Guevara, responsabile del cinema cubano, e Blas Roca. Roca a quell'epoca fa parte
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