cioè della «forma> naturale), in una sorta di recupero, ma in termini astorici, di quel mondo disumanizzato: «E' troppo semplicistico dire che io accuso questo mondo industrializzato, inumano, dove l'individuo è schiacciato e condotto alla nevrosi. La mia intenzione invece (anche se si sa spesso molto bene da dove si parte, ma mai dove si finirà) era di tradurre la beltà di quel mondo, dove anche le fabbriche possono essere molto belle ( ...) » 7 • Il rapporto uomoambiente si risolve epidermicamente, per via di sensazioni. Il discorso sulle cose di Antonioni appare dunque, qui, svolto e articolato nella ricerca formale: il colore soggettivo, il tono cioè degli stati d'animo rende il disagio di certe anticipazioni, del tutto uniformemente violentato, della dialettica tra l'immutabilità dei sentimenti e il progresso tecnologico, della loro fluidità di fronte a questa concretezza schematica. A ragione l'autore non vuole che si giudichi l'aspetto e formale> disgiuntamente dai valori del film; ma questo aspetto sta forse a significarci, sul piano della sostanza, la propensione ad affidarsi ad una dialettica di sensazioni, ad un procedimento per analogia, o per allusione, che rischia - è chiaro - di lasciare a margine i punti nodali del problema. L'itinerario dei personaggi de Il deserto rosso è, per molti versi, tipico del regista; Antonioni sembra operare una frantumazione del triangolo borghese, la situazione viene cioè scomposta per gli elementi dialettici che può offrire, come analizzando dall'interno un canovaccio tradizionale e svolgendolo, narrativamente, secondo il modulo del refus de la tragédie, della mancanza di certi nodi tradizionali. La donna resta ancora, romanticamente, li e filtro> esistenziale, essa rappresenta ancora la disponibilità, o perlomeno avverte con maggiore acutezza la disadattazlone, la ambivalenza o la malattia dei sentimenti, li peso dell'estraneità, della «ritualità• (un rito meccanico) degli atti vitali, e il sotterraneo sgretolarsi del mondo delle certezze•· L'altro polo è l'integrazione (il marito), il grigiore e l'aridità; lo spiraglio all'insoddisfazione - l'instabilità di Corrado - si rivela banale, un'inutile evasione: l'esperienza del noi (gli altri) non aggiunge niente di nuovo. Giuliana avverte lo slittamento e l'inadeguatezza dei valori tradizionali (o « ratificati>, quello che Ibsen definiva amore viscoso), phi che rimessi in discussione, posti come dati (in questo senso Antonioni ha ragione quando dice che nel Deserto non vi è crisi di sentimenti - L'eclisse -- ma che essi sono un fatto acquisito). Restano ancora alcune alternative tipiche del regista ferrarese: il sesso, una stanca evasione che si risolve nel gioco barocco di un erotismo inutile e impotente (la scena della baracca, forse il punto pili solido del film), l'evasione, il tentativo di e uscire> (la nave, il marinaio che non capisce), la morte (il mistero?). Non è difficile avvertire come questi ultimi motivi risultino applicati dall'esterno; e questa giustapposizione non è che il riflesso della difficoltà di inserire o adattare quei « residui • che sono frutto di una sensibilità umorale: di qui il ricorso alla e costruzione>. D'altronde, questa applicazione esterna si avverte, probabilmente, anche come conseguenza di una mancata decantazione stilistica, in certa stanca simbologia, In alcune parti del dialogo, che non sono solo difetto di struttura, ma bisogno-esterno-di esplicazione del regista. Non è ciò riflesso di un aver eluso i nodi centrali del problema, di un avervi girato attorno? I personaggi de Il Deserto rosso, si legge nel diario dell'aiuto regista•, non predicano e la catastrofe della bomba atomica, non sono legati al terrori dell'essere sospeso alla minaccia della morte universale. Per essi la bomba è già scoppiata, non sulla città, ma all'interno del loro tessuto vitale. L'anno mille della nostra epoca ha - 21
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