giovane critica - n. 7 - feb.-mar. 1965

sione dai termini odierni, e collegare l'anelito verso questo neoumanesimo ad una visione, più che vaga nel suo decadentismo, astorica e inconcludente. Perché Antonioni sembra pensare ad una sorta di duplice «piano>, ad una natura incorrotta sulla quale agisce, come interna corrosione, la civiltà industriale: e il discorso, allora, va proprio nel senso di una regressione. Vale a dire, egli giunge ad una elusione della questione. Perché il concetto stesso di natura si è modificato, e non si tratta più di una regressione verso quel tipo di natura. L'operatività di un discorso attuale, la possibilità insomma di incidere sul contesto reale per costruire, o recuperare, un certo tipo di umanesimo, non può prescindere da un concetto di individuo (e di realtà-ambiente) che è mutato, che non ruota più attorno ai poli di una certa polemica romantica. « Questo ritorno - dice ancora Scalia - alla natura ignora la metamorfosi della natura in industria, la realtà attuale dell'industria, il nuovo 'ambiente· umano, le possibilità di costruzione scientificotecnica del nuovo 'determinismo' sociologico ed epistemologico>. Significa in sostanza attuare una separazione tra mondo delle scienze «positive» e mondo della scienza umana, "sottrarre allo scrittore la responsabilità di una conoscenza drammatica e positiva della realtà, costringerlo a una nostalgia delle origini 'naturali' (e non obbligarlo criticamente a una revisione rinnovatrice), e confermarlo in una concezione della letteratura come sublimazione o scoperta di 'verità' ~d 'essenza' umana, extrastorica e ipotecnica> •. Chi ha tentato una sorta di operazione di e recupero> della parabola favolistica (non è che il segno di una mediocrità sostanziale che l'autore ha voluto attribuire alla protagonista), ha invece dato risalto alla finale accettazione della realtà, quest'inferno, operata da Giuliana ( « lo devo pensare che tutto quello che mi capita è la mia vita>). E in questo ripiego 20 - ci sembra piuttosto lontana la lucidità che Calvino vedeva nei personaggi de L'eclisse; vi è solo - si potrebbe dire - un passaggio dall' « avventura> come dimensione esistenziale ad un'accettazione di quella realtà. Il ciclo (il film) si richiude su se stesso, in questo rapporto di schiacciamento tra ambiente e personaggio, non di maggiore conoscenza, di recupero o costruzione cioè di un nuovo individuo, di un suo modo di agire sulla realtà •. Antonioni sarebbe la testimonianza dell'essere in mezzo alla crisi, tra il vecchio che tramonta e il nuovo che impaurisce; ma allora, con questa abdicazione, torniamo a dare alla macchina, alla tecnica, a fenomeni storici insomma, un distacco dall'uomo, un valore a sé su cui non si agisce. In questo dissidio, forse, sta la « crisi » di Anton ioni. Anche se, poi, quell'abdicazione finale non è quasi che il portato logico di una visione che corre lungo tutto l'arco del film; il problema sembra essere quello di un adattamento, di un colmare l' « assenza di futuro>, il dissidio tra lo sgretolamento dei valori tradizionali, l'insufficienza dei sentimenti e il dominio della tecnica (il futuro programmato), con uno sforzo di accettazione che lascia, più che un vuoto angosciato o un nuovo interrogativo, una sorta di « rappacificazione»: anche Giuliana appartiene ai «vinti», ma la sua sconfitta ha un altro significato. Il film è questa storia di adattamento•, del tentativo di superamento della nevrosi di quest'oggi chiuso tra il vecchio che crolla e il nuovo che si annuncia e non si definisce (forse diversamente si porranno i termini per le nuove generazioni: l'inserimento del bambino nel mondo dei robot appare, per questo verso, senza attriti). Ma, a guardar bene, la soluzione può anche apparire, in Antonioni, permeata di un inconcludente estetismo, potrebbe cioè essere rivolta nei termini stessi In cui è posta la dlsadattazione (perdita del colori,

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