cose, che si svolge in una direzione mirante a dilatarne i confini semantici fino ad assegnar loro una simbolica funzione di corrispondenza alla ontologica « malattia dei sentimenti>, intorno a cui ruota la tematica antonioniana, nasce, quindi, da un nucleo fondamentalmente lirico. Entro questa dimensione, perciò, non v'è sviluppo alcuno dei personaggi, ma un insistere, con molte variazioni, su uno stesso sentimento, indagato fino a dissolverne i tratti. In quale misura giova una tale disposizione nei confronti della realtà, quale la sua capacità, cioè, di incidere nei nodi cruciali di essa, per rivelarne l'essenza pili profonda? L'interrogativo è giustificato dal fatto che, nei suoi ultimi lavori, Antoniani sembra aver affrontato alcuni grandi temi contemporanei: l'alienazione capitalistica al denaro, ricondotta alla sua concretezza esistenziale ed i pericoli che essa comporta, individuati o nella progressiva resa incondizionata dell'intellettuale alle lusinghe della industria culturale (La notte: dove Il cedimento viene esemplificato attraverso la contrapposizione Giovanni -Tommaso) o nella impossibile consonanza dei sentimenti (L'avventura, L'ecltsse). Ne Il deserto rosso è il mondo industriale, il dominio tecnologico delle cose sull'uomo a sottolineare la perdita dell'intenzionalità del progresso scientifico nel mondo odierno e a prospettare un orizzonte umano di estrema razionalità, ma privo di ragione, di equilibrio. Non è merito ultimo del regista ferrarese aver arricchito la sua sensibilità e i suoi temi con un innesto sapiente della problematica pili avanzata. Ed è dal confronto fra Il suo bagaglio culturale e i termini di questi discorsi che scopriremo i limiti e l'intrinseca inadeguatezza di mezzi di cui Antoniani dispone per affrontare la realtà che egli rappresenta. In verità, fedele ai suoi motivi, che si è tentato di definire - con Il margine di semplificazione implicito in ogni definizione - in una fondamentale disposizione lirica, l'alienazione antonioniana, nelle opere e nei momenti pili rivelatori, è ancora la romantica difficoltà del vivere e l'altrettanto romantico idoleggiamento di una condizione non ancora contaminata, intatta (sentimenti o natura che siano). Si rintracci questo motivo nei suoi film: la figlioletta dell'operaio nel Grido, partecipe non casuale del pellegrinaggio del protagonista, è l'unico punto fermo, l'unica certezza d'affetti e di sentire in un mondo che presagisce un inevitabile sgretolamento d'affetti e di sentimenti. Mimetizzando un perfetto stato di natura, o, durante il volo, a contatto diretto con la natura stessa, Vittoria (L'eclisse) sembra raggiungere una compiuta identità con se stessa. Pare perfino superfluo accennare alla favola che, ne Il deserto rosso, contrappone gli incorrotti colori della natura al mondo ostile del progresso industriale. Un ritorno a ritroso, dunque, un rifiuto della storia per una anacronistica rivalutazione di un mondo vergine? Non diremmo: gli interrogativi sollecitati dall'opera di Antoniani, comunque, non spingono in questa direzione. Vi è troppo lucida consapevolezza e sufficiente disincanto nel suo discorso per poter pensare a questo vagheggiamento come ad una possibile soluzione o prospettiva per il nostro futuro. E d'altro canto appare chiaro in lui un certo ritardo con cui il cinema, e non soltanto il cinema, si trova nei confronti di una realtà in sviluppo, che richiede non solo dei modi rappresentativi consoni e sufficientemente appropriati ad essa, ma soprattutto una prospettiva ideologica che non risolva le contraddizioni in una alternativa che è un'insanabile antinomia, ma che, sul presupposto di tale nuova realtà - che è la nostra non recusabile realtà - operi per un'azione contestatrice all'interno di essa stessa. Sono sufficienti i mezzi di cui dispone Antoniani per una ' revisione ' siffatta? E' qui che i limiti della sua poetica, le suggestioni cui essa soggiace risultano ovviamente limi- - 17
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