causa dei mali: che l'adesione di un tempo, al socialismo, o al marxismo, fu e rimase sentimentale, come dire un sollievo del cuore più che un convinto appagamento della mente. Oggi è diverso, e il cuore non basta più (forse non è mai bastato). Oggi 'pagano' anche i morti e sono rovesciati nelle tombe e sono chiamati in causa; figuriamoci i vivi. I vivi hanno il duro ordine dei problemi che li attende, in un contrasto feroce, sottile, eccitante>. Il discorso è stato condotto, pertanto, sulla necessità o meno che il marxismo dovrebbe avvertire di tenere presenti il dolore, le sofferenze, la morte, le malattie, cioè la fenomenologia della e tragedia>. A mio giudizio, l'ignoranza e il rifiuto aprioristici di tali problemi può costringere, infatti, alla costruzione mistificata di vuote difese, dove i predetti problemi vengono allontanati e soffocati, come non facenti parte della realtà oggettiva. In questa maniera si cancella dalla realtà, abbastanza meccanicamente, una parte di essa, che anche sovrastrutturalmente dovrebbe essere, invece, presa in considerazione. Il marxismo, che è un sistema di conoscenza globale del mondo, avrebbe il dovere di spiegare e discutere le ossessioni dell'uomo, il timore delle malattie, l'angoscia, per esempio, senza peraltro utilizzare un vocabolario di esorcismi, che tutt'al più modificano le etichette e collocano quella sezione di realtà in una categoria innocua e senza autentici significati. Invece di respingere come • decadenti > questi problemi e di lasciarli sospesi, dobbiamo avere il coraggio di parlarne, di ammetterli come esistenti, come presenti tra noi, e dentro di noi (è, per me, ripugnante rassicurare se stessi con il ricorrere alle spiegazioni metafisiche o con la formazione inconsapevole di un nuovo misticismo, quello del razionalismo, nel quale ogni altra diversa istanza si consuma nella indifferenza), e dobbiamo esaminarli con strumenti scientifici. Quest'apertura e questa dialettica, preparata ad assorbire ogni esigenza che costituisca parte Integrante dell'uomo, non dovrà assumere mai il vizio della meschina solitudine piccolo-borghese, la quale vive chiusa in pseudo-problemi esistenziali artificiosamente creati per giustificarsi con un illustre alibi, ma contenere in sé la consapevolezza che anche il dolore, l'angoscia, le malattie, la morte, la tragedia sono concetti in gran parte legati alla propria storia pubblica e la cui risoluzione positiva dipende anche dalla trasformazione, in un possibile futuro, del nostro sistema sociale. La condizione dell'intellettuale marxista, che è più vicina alle mie esperienze, quella del sud, è ancora più ossessiva e responsabile di quella dell'intellettuale del nord, perché il primo deve fare i conti non solo con tali questioni, ma anche con la maggiore diffidenza e ostilità dell'ambiente sociale ed economico in cui svolge la sua attività, abituato conformisticamente a riporre la sua fiducia solo nel e vecchio>, nel e passato> e, per lo più, critico reazionario del proprio tempo presente, aprioristicamente giudicato irrimediabilmente corrotto, perché ogni oggetto e ogni situazione si mostrerebbe e si manifesterebbe attraverso i segni del caos e del disordine. I sogni feudali e le nostalgie di questi cavalieri dell'apocalisse non sono, però, tanto astratti e limitati (che, anzi, la loro diffusione è consentita dal qualunquismo sostanziale dell'industria culturale: televisione, quotidiani di informazione, cinema in parte, si trasformano in cinghie bianche e mute di segnali autentici, in precedenza disinfettati o diminuiti in base a studi di sociologia e di psicologia di massa), da non risultare estremamente fastidiosi per l'intellettuale e lo studioso marxista intenzionato a muoversi attivamente in una ricerca culturale ed epistemologica, priva di condizionamenti dogmatici e aperta a ricevere tutte le domande che l'accelerazione confusa delle idee cl conduce con maggiore inquietudine e più consape- -13
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==